Il pappagallo nudo

Oscar è un pappagallo femmina della specie Cacatoa, con un piccolo problema: è affetta da una rara e contagiosa sindrome, cosicché ogni penna che nasce sul suo corpo la irrita, e la estirpa con il suo becco.

Oscar è, quindi, completamente nuda se si eccettuano alcune penne sul capo che non riesce a raggiungere con il suo becco. I veterinari le avevano dato 6 mesi di vita, ma nonostante tutto Oscar è in piena forma da 13 anni. Sa imitare Mick Jagger alla perfezione, e assicura ai volontari dell’associazione che lo ospita un quotidiano spettacolo.

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Loto d’oro

Con il poetico nome di Loto d’oro, o Gigli d’oro, si designava la pratica cinese di deformazione artificiale dei piedi femminili. Oggi questo termine è sostituito da altri meno discriminatori: il riferimento al fiore che ondeggia nel vento era infatti dovuto all’andatura oscillante che i piedi conferivano alla donna.

Pratica durata all’incirca mille anni, e progressivamente abbandonata nella prima metà del 1900, la fasciatura dei piedi era messa in atto fin dalla più tenera età (dai 2 agli 8 anni) con l’intento di rendere e mantenere la lunghezza del piede intorno agli 8 centimetri. Purtroppo, però, nelle classi meno abbienti le bambine venivano mandate a lavorare molto presto: di conseguenza, il Loto d’oro veniva praticato soltanto quando dovevano sposarsi, intorno ai 15 anni, rendendo il processo ancora più doloroso e traumatico, in quanto le ossa erano completamente formate e meno elastiche.

La tecnica consisteva innanzitutto nel piegare le quattro dita più piccole verso la pianta del piede, lasciando intatto soltanto l’alluce. In seguito, un’ulteriore fasciatura era applicata, con l’intento di avvicinare il tallone all’alluce, inarcando il collo del piede. Molto spesso la carne in eccedenza fra alluce e tallone veniva asportata con un coltello mano a mano che il piede si distorceva.

Come si può intuire, camminare in queste condizioni provocava incessanti e atroci sofferenze: le ossa  si frastagliavano lentamente per poi saldarsi in modo irregolare. Spesso i metatarsi si rompevano, o venivano appositamente rotti, così come le articolazioni. I piedi necessitavano inoltre di continue attenzioni: le unghie andavano tenute cortissime, i calli andavano tagliati, le pieghe della pelle cosparse di allume per disinfettarle. Nonostante tutte le cure, le fuoriuscite di sangue e pus, e le infezioni, erano continue.

Per raggiungere una completa deformazione passavano dai 3 ai 10 anni. Alla fine, il tallone rimaneva l’unico punto d’appoggio: le scarpine dovevano quindi essere molto rigide e, al contempo, continuare a costringere il piede in modo che la deformazione non regredisse. Andavano infatti indossate anche di notte.

Nelle epoche passate i piccoli piedi femminili, oltre che essere esteticamente (ed eroticamente) attraenti, erano una sorta di “carta d’identità” che attestava la virtù, la sopportazione del dolore, la docilità e le abilità muliebri della donna.

Un decreto imperiale abolì la pratica della fasciatura del piede nel 1902, ma la resistenza che il popolo cinese oppose al cambiamento fece sì che ancora 50 anni dopo la pratica non fosse stata del tutto abbandonata. Pare anzi che fossero le stesse donne le più restie a sbarazzarsi di questa antica tradizione, in motivo dei vantaggi sociali che apportava.

Kure Kure Takora

Kure Kure Takora è un delirante show per bambini del genere tokusatsu (live-action) prodotto in Giappone fra il 1973 e il 1974. Ogni episodio è assurdo, bizzarro, straniante, violento e indescrivibile.

Il protagonista delle surreali storie è un polipo rosso, che dà il nome alla serie, il quale ogni volta che vede qualcosa – qualsiasi cosa – vuole possederla (al grido di “Kure! Kure!”, cioè “Dammelo! Dammelo!”). Affiancato da un’arachide di nome Chonbo, che regolarmente è vittima di abusi da parte di Takora. Totalmente senza carattere né coraggio, Chonbo ha però la qualità però di vomitare monetine per le macchine a soldi.

Insieme ad altri folli personaggi (l’iguana scema, la gang dei Pomodori di Mare, ecc.) Takura cerca in ogni episodio di guadagnarsi le attenzioni e l’amore della tricheca sexy Monro, che dopo aver richiesto i pegni d’amore più assurdi e impossibili immancabilmente perde interesse per il pretendente.

Ecco il primissimo episodio di una serie lisergica e scorretta che andrebbe rivalutata.

[AGGIORNAMENTO: la serie è stata ritirata da YouTube per violazione di copyright. Per darvi comunque un assaggio dell’atmosfera, ecco un video musicale che ne riprende degli spezzoni.]

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Il più lento possibile

Organ²/ASLSP (As SLow aS Possible) è un’opera musicale scritta nel 1987 da John Cage, “il”  compositore fondamentale del ‘900. Il brano musicale, per organo, è basato su un suo lavoro precedente per pianoforte, che durava tipicamente dai 20 ai 70 minuti.

In effetti, Cage aveva specificato che il brano andava eseguito “il più lentamente possibile”, ma non aveva specificato nello spartito esattamente quanto lentamente avrebbe dovuto essere suonato.

Nel 1997 un convegno di musicisti dibatté a lungo sulle implicazioni del brano. Un organo, infatti, non ha alcun limite di tenuta di una nota e, se mantenuto correttamente, potrebbe avere una vita infinita. Il progetto che nacque da queste considerazioni è uno dei più stupefacenti della storia della musica – ma d’altronde, si sa, quando c’è di mezzo il folle e geniale John Cage, tutto è possibile.

Dapprima, si è costruito un organo apposito, che fosse il più resistente possibile.

Il 5 Settembre 2001 è cominciata la performance all’interno della Chiesa di S. Burchardi, ad Halberstadt, Germania: il brano si apre con una pausa, che è durata fino al 5 Febbraio 2003. Il primo accordo, a partire da quel giorno, è durato fino al 5 Luglio 2005. Poiché l’organo suona incessantemente, una campana di vetro ne limita il rumore.

La performance di Organ²/ASLSP terminerà il 5 Settembre del 2640, per una durata complessiva di 639 anni.

Se vi interessa assistere al prossimo cambio di nota, all’interno della cattedrale di S. Burchardi, eccovi un breve calendario degli appuntamenti a venire:

  • 5 Luglio, 2010
  • 5 Febbraio, 2011
  • 5 Agosto, 2011
  • 5 Luglio, 2012
  • 5 Ottobre, 2013
  • 5 Sttembre, 2020

Walt Disney

Uno dei primi classici brevi di Walt Disney è un gioiellino macabro (appartenente alla serie Silly Symphonies) intitolato The Skeleton Dance, del 1929. Diretto da Walt in persona, venne animato da Ub Iwerks.

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Contrariamente a quanto vuole la leggenda urbana, Disney non si fece mai criogenizzare per poter essere “resuscitato” quando le tecnologie ne fossero state in grado. In effetti, la prima notizia di un cadavere criogenizzato risale a un mese dopo la sua morte. E, giusto per sfatare un altro mito, il suo corpo non sarebbe nascosto segretamente sotto l’attrazione “Pirati dei Caraibi” a Disneyland.

Eppure i film della Disney qualche segreto non proprio onorevole lo racchiudono effettivamente: ecco un filmato che svela come la pigrizia abbia in alcuni caso prevalso sulla creatività…

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Mike, il pollo senza testa

Il 10 Settembre 1945  il contadino Lloyd Olsen, padrone di una fattoria a Fruita, Colorado, decise che era ora che sua moglie Clara gli cucinasse un bel bollito di pollo.

Scese nell’aia, prese un’accetta affilata e con un colpo deciso staccò la testa ad uno dei suoi galli. Ma il pennuto non aveva voglia di morire: dopo aver corso un po’ in giro, il gallo si tranquillizzò, e ricominciò a raspare il terreno alla ricerca di cibo, e ad aggiustarsi le piume proprio come tutti gli altri polli.

Quando, la mattina seguente, Olsen lo trovò ancora vivo, pacificamente addormentato con il collo riparato sotto l’ala, decise che – visto che l’animale aveva tanta determinazione nel restare vivo – avrebbe tentato di trovare un modo per nutrirlo. Lo battezzò Mike, e cominciò a somministrargli acqua e sementi attraverso un contagocce.

“Mike, il meraviglioso pollo senza testa”, divenuto in fretta una celebrità, visse tranquillo e pasciuto per ben 18 mesi. Gli scienziati scoprirono che la decapitazione gli aveva lasciato intatta la base del cervello, che è sede di gran parte dei riflessi motori di polli e galline. Un grosso grumo di sangue aveva inoltre bloccato l’arteria, impedendogli di morire dissanguato.

In quei 18 mesi Mike passò dal peso di due libbre e mezzo alla bella stazza di otto libbre: “era un bel pollo grasso, che non aveva idea di essere senza testa”, raccontano i testimoni. “Miracle Mike” partì in tour per tutti gli Stati Uniti, fu assicurato per 10,000$, la sua foto venne pubblicata su Life e Time, e ovviamente vinse un Guinness World Record. Morì soffocato proprio durante questa “tournée”, in un motel dell’Arizona, una sera che gli Olsen non riuscirono a trovare in tempo il contagocce che usavano per sbloccargli la trachea.

Ancora oggi, però, la storia di Mike ispira ottimismo: a maggio, nella cittadina di Fruita, si tiene annualmente il Mike’s Festival – con danze, musica, esposizione di automobili, costumi, e gare folli come la “corsa senza testa”. Il favoloso Mike ha un suo sito internet, un negozio di gadget, degli sponsor e addirittura un fan club.

E ci insegna che perdere la testa non è poi tutta questa tragedia.

Tabù alimentari

L’uomo è un animale onnivoro, e può mangiare e digerire cibi di origine vegetale e animale alla stessa stregua. Eppure la maggior parte degli esseri umani consuma soltanto poche varietà di prodotti alimentari.

Alcune popolazioni si nutrono di alimenti che disgustano altre popolazioni: i tabù alimentari sono fra i più radicati, e intimamente legati al gruppo etnico di cui si fa parte. Secondo alcuni antropologi (tra cui Marvin Harris) sarebbero stati i fattori ambientali a far prediligere un certo cibo a un determinato popolo. Il tabù della carne di maiale per ebrei e musulmani nel Medioriente deriverebbe dalla difficoltà nell’allevare questo animale, che è tendenzialmente stanziale e abbisogna di ombra e acqua: permettere il consumo di carne di maiale avrebbe significato mettere in pericolo l’identità stessa della tradizione nomade.

Secondo altri antropologi (come ad esempio Steven Pinker) il tabù alimentare sarebbe alla base stessa della nostra identità. Nel primo periodo di vita di un bambino sarebbe assente la distinzione fra cibi buoni e cibi disgustosi: così, proprio nel periodo cruciale in cui si apprende a preferire dei cibi piuttosto che altri (fino ai 4 anni), i genitori escludono dalla dieta del bambino alcuni alimenti, e questo basta affinché i bambini crescano trovandoli disgustosi. La tattica, poi, si perpetua da sé: i figli, crescendo, diventano dei genitori che non danno da mangiare cibi disgustosi ai propri figli.

Nelle tribù è talmente importante questo elemento aggregativo (il pasto comunitario, le regole interne per la consumazione del cibo), che si è notato come la maggior parte dei tabù alimentari proibiscano proprio il cibo preferito dalla tribù nemica.

Oggi, nel mondo, esistono ancora fortissimi tabù alimentari. Quello che è buono e appetibile per alcuni, per altri è disgustoso e detestabile. Insetti, cavallette e lombrichi sono cibi prelibati per milioni di persone; ben quarantadue popolazioni mangiano ratti, mentre sono molte le popolazioni che non berrebbero mai un bicchiere di latte, in quanto secreto dalle ghiandole animali, come la saliva o il sudore. Per non parlare del formaggio, che altro non è se non latte andato a male. Un americano inorridisce in una nostra macelleria se gli viene proposta carne equina, e noi facciamo lo stesso di fronte a una zuppa cinese in cui galleggiano due zampe di cane. E come reagireste se in un ristorante sushi tradizionale in Giappone, vi servissero un pesce spellato e tagliuzzato, ma ancora vivo?

Praticamente tutti gli animali sono commestibili e vengono mangiati, in tutto il mondo.

L’entomofagia (il mangiare insetti) è fra le pratiche globalmente più diffuse. Questo signore ha provato ad importare questa tradizione culinaria “adattandola” ai gusti occidentali, proponendo un menu interamente a base di insetti:

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In tutto il sud-est asiatico, invece, uno dei cibi più apprezzati è il balut: si tratta di uova di anatra fecondate, che contengono cioè l’embrione quasi completamente formato del pulcino: lo stadio di sviluppo al quale sia preferibile consumare questa prelibatezza è strettamente questione di gusti personali.

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In Papua Nuova Guinea i pipistrelli si fanno arrosto:

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Anche da noi sono considerate commestibili le cosce della rana; ma ne mangereste il cuore ancora pulsante?

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Forse l’unico tabù fondamentale condiviso dalla maggior parte delle popolazioni al mondo è il divieto di mangiare carne umana; eppure perfino il cannibalismo è stato accettato, in certe culture, nonostante fosse regolato da precise condizioni, e rigidamente motivato all’interno di un determinato quadro simbolico e tradizionale.

Scopitone

Lo scopitone era l’antesignano, nei favolosi anni ’60, del videoclip. Come una sorta di juke-box dotato di schermo, permetteva di visualizzare un filmato assieme alla musica di una canzone.

Morto già alla fine del decennio del 1960, lo Scopitone rivive oggi nelle collezioni di vari appassionati, che raccolgono i video originali dell’epoca.

Eccovi una splendida ed inquietante versione di Can’t Take My Eyes Off You a cura dei dimenticati Freddy Bee 4. Sembra di assistere a un convegno di becchini, e particolarmente degni di nota sono: 1) il cantante, uscito direttamente da una tavola di Charles Addams; 2) le go-go girls che danzano un improbabile balletto sulle note della cover.

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Zdzisław Beksiński

Zdzisław Beksiński (1929-2005) è noto come uno dei maggiori artisti polacchi della seconda metà del ‘900. Nel 1975 una giuria di critici lo nominò miglior artista dei primi trent’anni della Repubblica Polacca.

Dopo un primo periodo di opere minori, nel 1971 Beksiński ha un terribile incidente stradale, quando rimane bloccato con la sua auto all’interno di un passaggio a livello incustodito, nel cuore della fredda campagna polacca. Se la cava con tre settimane di coma e molti mesi di convalescenza. Grazie alla famiglia, e alla sua grande forza d’animo, torna ad essere la persona affabile di una volta: eppure, da quel momento, la sua arte cambia radicalmente.

I suoi dipinti ad olio assumono una qualità gotica, surreale, macabra. Fra architetture impossibili e inquietanti comincia ad agitarsi una moltitudine di figure mostruose, dalla carnalità corrotta e putrida, esseri semifusi con la pietra, nature morte di mondi lontani.

Zdzisław è un uomo schivo e timido: nonostante la sua arte post-apocalittica sia piuttosto cupa e tenebrosa, l’artista è conosciuto per i suoi modi gentili, per la sua piacevole conversazione e per il suo senso dell’umorismo. Non ama la notorietà, e spesso non si presenta all’inaugurazione delle sue mostre. Quando qualche giornalista riesce a fargli una domanda sui suoi quadri, risponde semplicemente “non riesco a pensare a una frase appropriata da dire sulla pittura”.

Alla fine degli anni ’90 il suo nome è famoso in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone, paese in cui conquista il primato di unico artista contemporaneo polacco inserito tra le prestigiose collezioni dell’Osaka Art Museum, e naturalmente nelle collezioni di musei polacchi e svedesi.

Ed è proprio allora che il destino si accanisce su di lui. Sua moglie, Zofia Stankiewicz, muore nel 1998. L’anno seguente, il giorno della vigilia di Natale del 1999, suo figlio Tomasz Beksinski, noto presentatore radiofonico e giornalista musicale, si toglie la vita.

Il vecchio pittore rimane solo, cade in depressione. Nemmeno la sua morte arriverà in modo sereno: Zdzisław Beksiński viene assassinato il 22 febbraio 2005, accoltellato con 17 pugnalate dal figlio del suo maggiordomo, a causa di un prestito di 100$ che l’artista aveva rifiutato di dare al ragazzo, allora diciannovenne.