Il museo online di Frederik Ruysch

È da poco stato aperto un museo online riguardante la vita e le opere dell’anatomista olandese Frederik Ruysch (1638-1731), forse il più grande artista della preparazione medica della storia. Il sito “De anatomische peparaten van Frederik Ruysch” (per ora soltanto in lingua olandese, ma l’inglese è promesso a breve) contiene informazioni bibliografiche e storiche, ma la sezione davvero spettacolare è quella dedicata alle preparazioni stesse: mediante un sistema di zoom ad alta definizione, è possibile “esplorare” gli esemplari preservati da Ruysch fin nei minimi dettagli.

Ruysch (l’uomo che sta sezionando un bambino nel dipinto qui sopra, il celebre La lezione di anatomia del dottor Frederik Ruysch, di Jan van Neck) era il più grande artista medico del suo tempo. Le sue composizioni sono state definite “i Rembrandt della preparazione anatomica”. Creò più di 2.000 esemplari, tra cui spiccano i fantasiosi tableaux allegorici composti usando scheletri fetali e altre parti anatomiche perfettamente preservate. Purtroppo, della dozzina di tableaux realizzati da Ruysch non ne rimane nemmeno uno, ma Steven J. Gould ce ne dà un’accurata descrizione: “… i temi allegorici erano quelli della morte e la transitorietà della vita… Ruysch costruiva la base di questi paesaggi geografici usando calcoli renali e della vescica (che fungevano da “rocce”), e la flora di questi paesaggi era costituita da vene  e arterie iniettate e indurite per creare gli “alberi”, mentre i “cespugli” e l'”erba” erano creati dal tessuto più ramificato e vascolarizzato dei polmoni e dei capillari. Gli scheletri dei feti […] erano ornati di simboli della morte e della caducità della vita – le loro mani stringevano delle ephemeropterae (farfalle che vivono soltanto un giorno nel loro stato adulto); gli scheletri piangevano il loro stato nascondendo il viso nei loro “fazzoletti” ricavati dal mesenterio delle meningi, elegantemente iniettato; “serpenti” e “vermi”, simboli della corruzione, e creati a partire da intestini umani, si attorcigliavano attorno alle pelvi o alla cassa toracica”.

In questi quadri che dovevano fungere da memento mori, spesso trovavano posto delle didascalie che davano voce ai piccoli scheletri: uno di questi tiene nella mano una collana di perle, ed esclama: “Perché dovrei desiderare le cose di questo mondo?”. Un altro, che suona un violino con un arco ricavato da un’arteria essiccata, si lamenta laconicamente: “Oh fato, oh fato crudele”.

Oltre ai suoi celebri tableaux, adorati fra gli altri da Pietro il Grande di Russia, Ruysch divenne celebre per i suoi preparati in soluzione: la sua formula era segretissima, e includeva l’iniezione con cere colorate per sopperire alla depigmentazione naturale. La figlia Rachel gli dava una mano, adornando questi esemplari con pizzi, vestiti, e addirittura turbanti che nascondevano i tagli e le parti non complete dell’esemplare, e aggiungevano una nota di grazia e delicatezza al preparato.

Gli esemplari venivano poi immersi nella soluzione top-secret ideata dall’anatomista olandese, consistente in spiriti vari, pepe nero, e altri ingredienti sconosciuti. Il risultato? Ancora oggi, dopo secoli, i suoi preparati hanno un colorito roseo e naturale che è difficile riscontrare nei tipici esemplari anatomici, anche moderni, immancabilmente bianchicci e spenti.

Nel suo gabinetto delle curiosità, i filosofi e i medici che passavano in visita potevano ammirare, oltre ai suoi tableaux, anche “parti anatomiche in vasi di vetro, scheletri di bambini, e organi preservati… assieme a uccelli esotici, farfalle e piante”.

Come dicevo, nessuno dei suoi diorami allegorici sembra essere sopravvissuto all’inclemenza del tempo; di contro, molte delle sue preparazioni in vitro possono essere ammirate in musei quali la Kunstkammer di San Pietroburgo, e altri musei anatomici in giro per il mondo. Il nuovo sito (http://ruysch.dpc.uba.uva.nl) promette di ingrandirsi con il tempo e di ospitare la più grande bacheca virtuale delle opere di Ruysch consultabile online. Bravi ragazzi!

(Scoperto via Morbid Anatomy)

L’uomo mellificato

In alcuni degli ultimi post, qui su Bizzarro Bazar, abbiamo parlato di terapie mediche che oggi appaiono poco ortodosse, come le sanguisughe, o la lobotomia. Circonfuso dall’alone misterioso della leggenda, ecco a voi uno dei rimedi più estremi dell’arte medica: l’uomo mellificato.

Il farmacologo e medico cinese Li Shizhen (1518-1593), nel suo enciclopedico trattato Bencao Gangmu (“Compendio di materia medica”) parla di questo antico rimedio, attribuendo la tradizione agli Arabi. La “ricetta” di questa panacea per tutti i mali è quantomeno sorprendente.

Serviva innanzitutto un vecchio, dai 70 agli 80 anni di età, a cui restasse poco da vivere e che si proponesse volontariamente come “donatore” (così lo definiremmo oggi). L’uomo veniva quindi nutrito esclusivamente con il miele, sempre e soltanto con il miele. Veniva immerso ogni giorno in vasche di miele.

Dopo circa un mese, il corpo era completamente impregnato e purificato dalla dolce sostanza: anche le urine e le feci erano esclusivamente costituite da miele. Abitualmente, dopo questo periodo, il vecchio moriva. Veniva quindi posto in un’apposita bara di pietra, e interamente ricoperto di miele. Sul coperchio della bara veniva apposta una targa con la data esatta della morte.

Dopo cento anni, durante i quali il cadavere era lentamente macerato nel miele, i sigilli venivano tolti, e la bara scoperchiata. La “confettura” a base di miele e resti umani veniva quindi posta nei barattoli, e venduta a peso d’oro. Andava spalmata sugli arti feriti o rotti (sembra che fosse un toccasana per le fratture). Ma c’è di peggio: il composto, se preso per via orale, guariva immediatamente da ogni male.

Lo stesso Li Shizhen ci tiene a sottolineare che non sa se si tratti di una leggenda o di una pratica reale. Certo è che il miele è stato un ingrediente fondamentale delle pratiche funerarie in molte culture differenti, anche grazie alla sua lunga conservazione. Per migliaia di anni (almeno 2700) il miele è stato usato per curare le ferite, ma soltanto recentemente sono state chimicamente spiegate le sue proprietà antisettiche e antibatteriche. Anche in Occidente, comunque, i corpi dei morti sono stati utilizzati come ingredienti farmaceutici: dal Medioevo fino al diciottesimo secolo era credenza comune che i preparati medicinali a base di polvere di mummia fossero particolarmente potenti, e nell’impero romano il sangue dei gladiatori morti veniva utilizzato come rimedio per l’epilessia. Queste convinzioni si possono collegare anche al vero e proprio cannibalismo, che si fonda spesso sull’idea di incorporare e assumere, assieme alla carne del defunto, anche le sue virtù e qualità.

Li Shizhen

Il blues del cucchiaio

Hannes Coetzee è un chitarrista sudafricano che ha inventato una tecnica particolare per suonare: utilizza un cucchiaio, che tiene in bocca, per eseguire gli slide sulla chitarra. In questo modo è capace di tenere una base ritmica con le mani, e contemporaneamente sviluppare la linea melodica con il cucchiaio.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=NCKTeRW3OhQ]

Lobotomia transorbitale

Una delle pratiche mediche più discusse della storia, ormai completamente abbandonata, è la lobotomia. Eppure questa tecnica chirurgica ha goduto di un grande successo e diffusione fino a tempi relativamente recenti.

La lobotomia è una procedura neurochirurgica che consiste nel tagliare le connessioni della corteccia prefrontale, la parte anteriore dei lobi frontali del cervello. Introdotta nel 1935, ebbe un’inaspettata fortuna per più di vent’anni. Veniva utilizzata per ridare la pace agli animi tormentati, agli schizofrenici incurabili, e agli psicotici all’ultimo stadio.

Le prime tecniche prevedevano l’apertura del cranio per effettuare la lobotomia, ma questo rendeva la terapia economicamente irraggiungibile per molte fasce di popolazione; fu così che il dottor Freeman, nel 1945, mise a punto con l’aiuto del suo collega Watts una tecnica che prevedeva l’uso di lunghi strumenti ispirati ai punteruoli rompighiaccio (ice pick lobotomy). Questa nuova tecnica poteva essere svolta come una terapia da ambulatorio, senza bisogno di sale operatorie e grandi dispendi. L’idea del dottore era che la lobotomia avrebbe risolto praticamente tutti i mali psicologici moderni.

Nella lobotomia transorbitale così come la praticava Freeman, al soggetto veniva sollevata la palpebra superiore dell’occhio; il punteruolo (chiamato orbitoclast) veniva martellato fino a rompere il sottile strato osseo sopra l’occhio, e inserito dunque nel cervello. E qui cominciava il vero show di Freeman: con movimenti sicuri e decisi, muoveva i punteruoli avanti e indietro, e lateralmente, al fine di distaccare i lobi frontali dal talamo. Nel 1948 Freeman impreziosì la procedura, aggiungendo il “taglio profondo frontale”, un movimento del punteruolo direttamente dentro al lobo, un taglio che metteva talmente sotto pressione lo strumento chirurgico che talvolta si spezzava, rimanendo all’interno. Freeman era conscio dell’aspetto spettacolare delle sue operazioni, che spesso praticava in pubblico. Era arrivato a esibire una tale maestria da riuscire a operare i suoi punteruoli con una mano sola. Nel 1947 Watts, il collega assieme al quale aveva sviluppato la tecnica, si distaccò da Freeman, disgustato dalla piega che aveva preso una pratica chirurgica che auspicava più seria.

Già tra il 1940 e il 1944 erano state operate 684 lobotomie solo negli Stati Uniti; grazie alla promozione evangelica che Freeman fece della cura, i numeri impennarono verso la fine del decennio. I danni collaterali della lobotomia erano spesso evidenti: i pazienti molte volte rimanevano in stato semi-vegetativo, o mostravano evidenti problemi di linguaggio – non di rado rimanevano disabili per tutta la vita. Certamente la lobotomia era efficace per facilitare la cura dei pazienti più violenti: all’epoca, inoltre, i farmaci per malattie di tipo psichiatrico erano ancora agli albori. Per mettere maggiormente questa pratica nel contesto di quegli anni, bisogna ricordare che non si trattava dell’unica terapia radicale e invasiva in voga nella prima metà del XX secolo: elettroshock, shock da insulina, terapia malarica, coma indotto da barbiturici, shock cardiaci… i medici, all’epoca, non ci andavano certo per il sottile.

Si stima che negli Stati Uniti siano state lobotomizzate più di 40.000 persone, 17.000 in Gran Bretagna, 9.300 nei paesi Scandinavi. Nel 1950 l’URSS vietò la pratica, bollandola come contraria ai diritti umanitari, perché “trasforma un malato di mente in un idiota”. Negli anni ’70 la lobotomia lentamente cessò di essere utilizzata, anche se alcuni casi si segnalano fino agli anni ’80. Fra i più famosi lobotomizzati, ricordiamo Rosemary Kennedy (sorella di John), che si sottopose all’intervento a 23 anni e rimase per sempre ritardata, e la sorella di Tennessee Williams, Rose, la cui sorte sembra abbia ispirato diversi motivi ricorrenti nell’opera del drammaturgo americano.

Ross Sisters

Le Sorelle Ross erano un trio di cantanti e ballerine texane e raggiunsero la popolarità negli anni ’40 con il film Broadway Rythm (1944, di Roy Del Ruth).

Ecco uno spettacolare estratto dal film: comincia come una normale armonia a tre voci, ma dopo circa un minuto si trasforma in un numero che ha dell’eccezionale.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=61cY1ILv60k]

Il pesce dalla testa trasparente

I ricercatori del Monterey Bay Aquarium Research Institute sono finalmente riusciti, l’anno scorso, a filmare un pesce degli abissi che era rimasto per anni un mistero: avevano potuto studiarlo soltanto dopo che qualche pescatore ne aveva ritrovato la carcassa, ma la decomposizione rendeva difficile comprendere quali fossero le reali caratteristiche del pesce. Avevano compreso che si trattava di un pesce della famiglia degli opisthoproctidae, ma qualcosa non tornava comunque: sulla testa dei pesci morti c’era sempre una specie di misteriosa gelatina di cui gli scienziati non comprendevano l’origine.

Il Macropinna microstoma (questo il nome del pesce) aveva in serbo un segreto spettacolare, rivelato ora dalle telecamere dei ROV – Remotely Operated Vehicle, i robot che si immergono nelle profondità marine per studiare la fauna abissale. Gli stupefatti ricercatori hanno scoperto che la parte superiore della testa del pesce è una cupola contenente un fluido trasparente. I grandi occhi a botte, caratteristici di tutti i pesci di questa famiglia, puntano normalmente verso l’alto, per distinguere le prede, ma possono anche essere rotati per guardare in avanti… quando è giunto il momento di mangiare. Il macropinna è per il resto molto scuro, e resta praticamente immobile a una profondità di circa 700 metri, a scrutare verso l’alto, guardando il mondo attraverso la sua incredibile testa trasparente.

Nello straordinario filmato dei ricercatori, si può notare anche l’abilità del macropinna nello sfuggire al tentativo di cattura: i suoi strani occhi funzionano fin troppo bene!

Una piccola nota: attenti a quelle due capsule verdi visibili attraverso il fluido – sono per l’appunto le lenti dei suoi occhi tubolari, puntate verso l’alto. Gli altri due punti neri sopra alla bocca del pesce sono in realtà i suoi organi olfattivi.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=RM9o4VnfHJU]

Vagina dentata

The Latin expression vagina dentata defines one of the most ancient archetypes of mankind: mythical representations of female genitalia equipped with ferocious dentition can be found in very different cultures and traditions.

In what can be read as an early warning against the dangers of the vagina, Hesiod recounts how, even before being born, Chronos castrated his understably surprised father Uranus from inside his mother Gaia’s vulva. In many other mythological tales, the hero on his quest has to pass through the gigantic vagina, armed with teeth, of a goddess: this happens in the Maori foundation myths, as well as in those of the Chaco tribes of Paraguay, or the Guyanese people. From North America populations to South East Asia, this monstrous menace was a primal fear. In Europe, particularly in Ireland and Grat Britain, cathedrals and castle fortifications sported the Sheela na Gig, gargoyles showing oversized, unsettling vulvas.

As you can guess, this myth is linked to an exquisitely masculine unconscious terror, so much so that Sigmund Freud interpreted it as a symbol of castration anxiety, that fear every male adolescent feels when first confronted with the female reproductive organ. Others see it as an allegory of the frustration of masculine vigor, which in a sexual intercourse enters “triumphantly” and always leaves “diminished”. In this sense, it is clear how the vagina dentata might be related to the ancient theme of the puella venenata (the “poisonous girl”), to other myths such as the succubus (which was perhaps meant to explain nocturnal emissions), and female spermophagus figures, who feed on men’s vital force, as for example the Mesopotamian demon Lilith.

The history of the vagina dentata, which was sometimes told to children, could have also served as a deterrent against molesters or occasional sex. Even in recent times, during the Vietnam War, a legend circulated among American troops regarding Viet Cong prostitutes who allegedly inserted razor blades or broken glass in their intimate parts, with the intent of mutilating those unwary soldiers who engaged in sex.

What few people know is that, in a purely theoretical way, a toothed vagina could be biologically possible. Dermoid cysts are masses of specialized cells; if these cells end up in the wrong part of the body, they can grow hair, bones or teeth. Inguinal dermoid cysts, however, do not localize in the vaginal area, but usually near ovaries. And even in the implausible scenario of a complete dentition being produced, the teeth would be incapsulated inside the cyst’s own tissue anyway.

Therefore, despite stories on the internet about mysterious “medical cases” of internal cysts growing teeth that pierce the uterus walls, in reality the vagina dentata remains just a fascinating myth.

As expected, this uncanny idea has been exploited in the movies: the most recent case is the comedy horror film Teeth (2007, directed by M. Lichtenstein), the story of a young girl who finds out her private parts behave rather aggressively during intercourse. Less ambitious, and more aware of the humorous potential of its subject matter, is the Japanese B-movie Sexual Parasite: Killer Pussy (2004, by T. Nakano).

In Tokyo Gore Police (2008, by Y. Nishimura) a mutant girl grows a crocodile mandible in place of her thighs:

Many great authors have written about vagina dentata, including the great Tommaso Landolfi, Stephen King, Dan Simmons, Neil Gaiman, Mario Vargas Llosa and others.

Sanguisughe medicinali

Uno dei rimedi più antichi della medicina galenica sta tornando in auge, complici anche le star di Hollywood. Parliamo delle sanguisughe, o mignatte, utilizzate per scopi terapeutici o cosmetici.

Appartenenti alla sottoclasse Hirudinea, le sanguisughe sono degli anellidi che vivono normalmente nelle paludi. La loro bocca è una sorta di ventosa con la quale si attaccano alla pelle dei vertebrati, incidendola con le loro mascelle dentellate. Riescono così a incamerare notevoli quantità di sangue, gonfiando il loro corpo elastico: una volta sazie si staccano dall’ospite, e possono restare senza mangiare per diversi mesi, addirittura fino a un anno.

Le sanguisughe (hirudo medicinalis) sono state usate in medicina per millenni. Secondo alcuni perfino il serpente della verga di Esculapio rappresenterebbe in realtà una sanguisuga. Eppure nell’ultimo secolo questo rimedio antichissimo è stato confutato e abbandonato dalla medicina ufficiale, parallelamente alla tecnica del salasso.

Per fortuna (delle sanguisughe) la medicina alternativa e, talvolta, anche quella tradizionale ritornano di tanto in tanto al buon vecchio parassita ematofago: la bocca delle sanguisughe secerne un potente anticoagulante, per permettere alla ferita di sanguinare a lungo, e un forte anestetico. Il morso delle sanguisughe non è infatti doloroso. Alcuni lo paragonano alla puntura di una zanzara, altri non se ne accorgono nemmeno. Per l’applicazione si utilizzano sanguisughe “affamate” per mesi, e tenute in acqua dolce fresca; da due a dieci esemplari vengono posizionati sulla parte del corpo che deve essere curata. In questo modo si cerca di sfruttare le qualità antinfiammatorie, anticoagulanti e spasmolitiche delle sostanze rilasciate dalla sanguisuga.

Qualche tempo fa anche la diva hollywoodiana Demi Moore ha dichiarato che il segreto della sua bellezza sta nell’utilizzo regolare di sanguisughe. “Quando sono sazie – ha raccontato – si staccano e rotolano via come ubriachi al bar”.

Oltre alla medicina alternativa, la naturopatia o l’ayurveda, la sanguisuga ha però alcuni seri utilizzi ancora oggi in ambito medico: viene utilizzata in chirurgia plastica e ricostruttiva per scongiurare il rischio di cheratosi.

Non solo: un team di ricercatori guidato dal prof. David Pritchard, dell’Università di Nottingham, ha studiato a lungo gli effetti del particolare anestetico rilasciato dalle sanguisughe sul corpo umano, giungendo a una sorprendente conclusione.
Si è scoperto che la sostanza iniettata dalle sanguisughe per non far provare dolore alle prede è in grado di diminuire sensibilmente le risposte immunitarie del nostro organismo. Ciò significa che malattie autoimmuni, causate da un’eccessiva e sproporzionata reazione immunitaria, come la sclerosi multipla, la febbre da fieno e patologie asmatiche potrebbero essere trattate con successo con le sanguisughe.

Che si prospetti un loro ritorno, in grande stile?