Il trapianto di organi da un corpo morto a uno vivo è oggi una realtà. Eppure il trapianto tabù per eccellenza, quello della testa, non sembra sia ancora stato effettuato sull’essere umano. Questo non significa che gli scienziati non ci abbiano almeno provato…
Gli amici degli animali si scandalizzeranno per questo argomento, ma è un fatto storico: cani e scimmie vennero usati per tutti quegli esperimenti scientifici che, per quanto crudeli, stanno alla base delle conoscenze che oggi rendono possibili i trapianti di cuore (e, in generale, di altri organi). Ognuno può pensarla come vuole: sacrificio necessario, o violenza bell’e buona, senza scusanti? Bisogna comunque considerare che, all’epoca in cui si svolsero i fatti che stiamo per raccontare, non c’era ancora una sensibilità particolare nei riguardi degli animali, e le varie associazioni per la protezione degli animali dovevano ancora nascere. (Questo giusto per dire che, forse, questi pionieri della scienza sono più “scusabili” dei loro nipotini che, al giorno d’oggi, continuano a sviluppare ricerche tramite vivisezioni e violenze sugli animali, quando si potrebbe forse pensare a qualcosa di meno efferato).
Comunque sia, le ricerche sul trapianto nascono storicamente da uno dei più famosi strumenti di morte della storia moderna: la ghigliottina. Erroneamente attribuita al Dr. Guillotin, questa macchina di morte era in uso fin dal 1300; la discussione che nell’800 infiammò gli scienziati riguardava l’effettiva durata dell’agonia del condannato alla decapitazione. Quanti minuti ci metteva a morire, una testa tagliata? E, soprattutto, poteva essere tenuta in vita?
Nel 1812, il fisiologo francese Julian Jean Cesar Legallois ipotizzò che una testa irrorata da sangue ossigenato avrebbe potutto continuare a vivere. Il dr. Charles Edouard Brown-Séquard, quasi cinquant’anni dopo, tentò l’esperimento: decapitò un cane, tolse tutto il sangue dalla testa e dopo 10 minuti pompò sangue fresco nelle arterie. Il medico racconta che dopo poco la testa tornò in vita, muovendo gli occhi e altri muscoli del volto, eseguendo movimenti che sembravano del tutto volontari. Dopo qualche minuto, la testa morì nuovamente, fra “tremiti d’angoscia”.
Verso la fine degli anni ’20 del XX Secolo, il fisico sovietico Sergej Brjuchonenko riuscì a tenere in vita per circa tre ore la testa di un cane separata dal proprio corpo. Questo fu possibile grazie all’uso di anticoagulanti e di una primitiva macchina cuore-polmone sviluppata da Brjuchonenko stesso e da lui chiamata autojektor. La testa tagliata reagiva a diversi stimoli: sussultava in seguito a un rumore come quello di un martello sbattuto dietro di lei; le pupille reagivano alla luce; si leccava l’acido citrico dalle labbra; e mangiava un pezzo di formaggio che però usciva subito dal tubo esofageo posto all’altro capo.
Le teste di cane di Brjuchonenko divennero famose in tutta Europa, anche grazie ad alcuni filmati. Eccone uno:
In seguito, l’Unione Sovietica scioccò il mondo quando nel 1954 si venne a sapere che lo scienziato russo Vladimir Demikhov aveva creato un cane con due teste. Egli era riuscito a impiantare la testa di un cucciolo sul corpo sano di un cane adulto. Innestando testa, spalle e zampe anteriori del cucciolo nel collo di un pastore tedesco adulto, aveva fatto in modo che il cuore del cane “ospite” tenesse in vita anche l’ibrido impiantato. Nonostante le due teste condividessero il medesimo sistema circolatorio, vivevano due vite indipendenti. Dormivano e si svegliavano in momenti diversi. Il cucciolo mangiava e beveva autonomamente pur non avendone bisogno, visto che riceveva tutto il suo nutrimento dal cane “ospite”. Quando il cucciolo leccava avido una ciotola di latte, tutto quello che gli finiva in bocca sgocciolava fuori dal moncone del suo tubo esofageo sul collo rasato del pastore tedesco.
Sembra pura crudeltà, ma se Christian Barnard nel 1967 riuscì ad eseguire il primo trapianto di cuore umano, la strada a questo evento fu aperta senza dubbio dagli esperimenti di Demikhov. Tutti i problemi di rigetto erano stati studiati, in primis, dal chirurgo sovietico.
La risposta americana, in quel periodo di Guerra Fredda, non tardò a farsi sentire: si chiamava Robert White. Chirurgo ambizioso, White aveva ricevuto un ordine – battere Demikhov. L’unico modo per farlo era eseguire un trapianto di testa vero e proprio. Demikhov aveva soltanto impiantato delle teste aggiuntive ad un corpo sano: White avrebbe decapitato un animale, sostituendo la sua testa con una nuova. Così avrebbe dimostrato la superiorità tecnologica degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica.
Dopo diversi esperimenti (nel 1962 tenne in vita il cervello di una scimmia, rimosso dalla testa; nel 1964 rimosse il cervello di un cane e lo posizionò sotto la pelle del collo di un altro cane, per comprendere se potesse rimanere in vita), finalmente nel 1970 eseguì l’esperimento più difficoltoso di tutto il suo programma di ricerca: il trapianto totale di testa. Nel corso di un’operazione attentamente coreografata e circondato da un grande numero di assistenti, rimosse dal corpo la testa di una scimmia e la riattaccò su un altro corpo. Dopo qualche ora la scimmia si risvegliò nella sua nuova realtà. White scrisse che “dimostrava di aver coscienza dell’ambiente esterno, accettando il cibo che le veniva messo in bocca, masticandolo e deglutendolo. Gli occhi seguivano il movimento delle persone e degli oggetti posti nel suo campo visivo”. Quando White le mise un dito in bocca, la scimmia gli diede un morso. Non era sicuramente una bella vita, per la scimmia resuscitata.
La scimmia non poteva camminare, né saltare da un albero all’altro, o svolgere alcuna funzione normale: era tetraplegica, paralizzata dal collo in giù, perché la spina dorsale era stata recisa. Il nuovo corpo non era null’altro che una pompa che portava sangue alla testa. Da un punto di vista chirurgico, il lavoro era davvero eccezionale. Ma la scimmia sopravvisse un giorno e mezzo, prima di soccombere alle complicazioni post-operatorie. Con la massima sorpresa da parte di White, l’opinione pubblica reagì in modo inaspettato: sgomenti di fronte a tale assenza di scrupoli etici, i suoi connazionali lo additarono come un nuovo barone Frankenstein. I fondi a poco a poco sparirono.
Robert White cercò di portare il proprio lavoro al passo successivo: il trapianto di testa umana. Si poteva trapiantare un cuore, per cui che motivo c’era di non provare un simile esperimento? Malati terminali potevano godere di molti altri anni di vita, seppure bloccati in un corpo paralizzato. Dal punto di vista chirurgico era possibile. E se il paziente era già tetraplegico, che differenza avrebbe fatto?
Nonostante alcuni candidati si fossero fatti avanti per il trapianto di testa, White non operò mai il suo innesto definitivo: ammise che ci sarebbe voluto del tempo prima che l’opinione pubblica fosse pronta ad accettarlo. Predisse che la “leggenda di Frankenstein, in cui un intero uomo è costruito cucendo assieme parti di corpi diversi, diventerà realtà agli inizi del Ventunesimo secolo”. Non ne abbiamo ancora notizia, ma il trapianto di testa potrebbe risorgere come pratica effettiva, proprio come preventivato da White, in questi stessi anni.
Il Fuoco di Sant’Elmo è una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell’aria durante un temporale, all’interno di un forte campo elettrico. Fisicamente, si manifesta come un bagliore brillante, bianco-bluastro, che in alcune circostanze appare come un fuoco, spesso in getti doppi o tripli, che scaturisce da strutture alte e appuntite, come alberi maestri, guglie e ciminiere. Può anche apparire tra le punte delle corna del bestiame durante un temporale, o tra oggetti appuntiti nel mezzo di un tornado.
Prende il nome da Erasmo da Formia (detto anche sant’Elmo), il santo patrono dei naviganti. Il nome è dovuto al fatto che il fenomeno spesso appare sulla testa dell’albero maestro delle navi durante i temporali in mare. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un fenomeno così misterioso, i fuochi di Sant’Elmo erano visti dai marinai come segno di buon auspicio: gli alberi della nave erano, per così dire, “protetti” dall’anima del Santo. Infatti si narra che sulla punta della pira del rogo su cui Sant’Elmo venne arso vivo comparvero fiamme bluastre, ritenute dai presenti i segni dell’anima del Santo che si innalzava al cielo dal luogo del martirio.
Del fuoco di Sant’Elmo scrissero nell’antichità Giulio Cesare e Plinio il Vecchio; ne parlano il diario che Antonio Pigafetta scrisse nel suo viaggio con Ferdinando Magellano, e il capolavoro di Herman Melville “Moby Dick”. Un fenomeno affascinante, magico, che persiste tuttora sui quotidiani, tecnologici voli a bordo dei nostri sofisticati Boeing.
Ormai da diversi decenni, il wrestling è uno degli sport di maggior successo a livello mondiale. Alcune icone sportive, come Rey Misterio, Hulk Hogan, Eddie Guerrero o Ultimate Warrior, sono conosciute anche a chi non è uno spettatore abituale degli incontri di wrestling.
A partire dagli anni ’90, per assicurare spettacolarità e audience, alcune società cominciarono a dedicarsi ad un genere di lotta che privilegiasse lo scontro cruento e un tipo di show sopra le righe. Comprendendo che il sangue, e il pericolo della sfida senza esclusione di colpi, facevano grande presa sul pubblico, alcune league si specializzarono in spettacoli ultraviolenti e dal forte impatto visivo.
Questo tipo di incontri, estremamente fisici e sanguinosi, continua tutt’oggi, grazie a leghe quali la nipponica Big Japan Pro Wrestling, o l’americana Combat Zone Wrestling. I wrestler molto raramente combattono a mani nude. È infatti permesso l’utilizzo di elaborate e fantasiose armi improprie (spesso preparate a bordo ring) quali lampade al neon, croci ricoperte di filo spinato, assi, sedie, lastre di vetro, cactus, e chi più ne ha più ne metta.
L’abilità del wrestler, a questo punto, non risiede più tanto nella tecnica di lotta, quanto nella sua resistenza al dolore, nella teatralità delle sue reazioni, e nelle abilità di stuntman che dispiega.
Sarà vero? Sarà falso? Il filo spinato sarà di autentico ferro? I vetri non saranno magari fatti di quella pasta di zucchero utilizzata sui set cinematografici, quando Bruce Willis deve sfondare una vetrina? In fin dei conti, che importa? Ciò che rimane è lo spettacolo, sempre più grandguignolesco, dei lottatori – novelli gladiatori alla ricerca dello shock e delle potenti emozioni del sangue, che intrattengono una folla in visibilio. La nostra società ha sempre progettato valvole di sfogo per la violenza. Da un certo punto di vista, it’s only show-biz… o forse la violenza tocca le nostre corde più profonde?
È morto a Roma qualche giorno fa l’uomo più piccolo del mondo. He Pingping si trovava in Italia per la registrazione di uno show televisivo. Aveva 21 anni.
Su YouTube si possono trovare alcune delle peggiori cover di brani classici mai registrate su nastro. Ecco una compilation (assolutamente soggettiva) delle migliori/peggiori perle della rete.
The Final Countdown completamente rovinata. (Non che ci volesse molto, ma questa esibizione sorpassa ogni aspettativa).
Ecco a voi il cucciolo con cui stupire gli ospiti al prossimo party: la talpa dal muso stellato. Animale davvero speciale, capace di annusare sott’acqua, i suoi tentacoli nasali nascono in un modo totalmente unico e imprevedibile: appaiono prima come rigonfiamenti del muso, e in seguito si aprono come una banana che si sbuccia.
La crypsis è la capacità di mimetismo dimostrata da alcuni animali (normalmente insetti, invertebrati e rettili) che riescono a camuffare la loro apparenza imitando altre forme viventi o, nella maggioranza dei casi, adattando il loro aspetto ai colori dell’ambiente. Se pensate che il camaleonte, come vuole il luogo comune, sia l’animale che più incarna queste capacità di mimetismo, non avete ancora visto nulla.
Il polpo è di per sé uno fra gli animali più sorprendenti: privo di endoscheletro, può scivolare in pertugi impossibili. Può addirittura camminare sul fondale marino. Ma esiste una varietà che ha fatto della crypsis una vera e propria arte. Godetevi questi due video dedicati al polpo invisibile. La celerità con cui cambia il suo aspetto è davvero impressionante. Ancora più incredibile è sapere che il polpo può vedere soltanto in bianco e nero.
La circoncisione di Gesù avvenne, secondo i Vangeli (Luca, 2,21) 8 giorni dopo la sua nascita. Per secoli la Chiesa Cattolica Romana ha festeggiato questa ricorrenza (il primo giorno di Gennaio), e la Chiesa Ortodossa continua a farlo tutt’oggi.
In sé la cosa non avrebbe nulla di strano, se non fosse che il prepuzio tagliato del Salvatore ha, nel corso del tempo, scatenato acerrime lotte e controversie.
Il Medioevo, si sa, fu l’ “epoca d’oro” delle reliquie: oltre ai corpi (incorrotti e non) dei santi, o ai frammenti di legno della Santa Croce, comparivano di volta in volta le reliquie più varie e fantasiose. Il campionario comprendeva il latte della Vergine, le tre vertebre della coda dell’asino cavalcato da Cristo al suo ingresso a Gerusalemme, il pelo della barba di San Giovanni Battista, la cinta di Maria caduta a terra durante la sua ascensione al cielo e addirittura un piolo della scala vista (in sogno!) da Giacobbe.
Il Santo Prepuzio era una delle reliquie più gettonate: a seconda della fonte, in varie città europee c’erano otto, dodici, quattordici o addirittura diciotto diversi Santi Prepuzi. Contemporaneamente.
Secondo la versione “ufficiale” dell’epoca, Carlo Magno, mentre pregava presso il Santo Sepolcro, avrebbe ricevuto in dono il Prepuzio da un angelo. In seguito, l’avrebbe regalato a Leone III il 25 dicembre 800 in occasione della sua incoronazione. Secondo un’altra versione invece il prepuzio sarebbe un dono di Irene di Bisanzio, ricevuto da Carlo Magno in occasione delle nozze. Leone III collocò la reliquia nel Sancta sanctorum della Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, assieme alle altre.
Ma Roma era soltanto un nome tra gli altri, sull’affollata mappa delle basiliche che rivendicavano il possesso del Santo Prepuzio: ce n’era uno a Santiago di Compostela, uno a Coulombs nella diocesi di Chartres (Francia), uno a Chartres stessa; e anche le chiese di Besançon, Metz, Hildesheim, Charroux, Conques, Langres, Anversa, Fécamp, Puy-en-Velay, e Auvergne ritenenevano ciascuna di essere in possesso dell’unico vero Santo Prepuzio.
Uno dei più famosi prepuzi era quello conservato dal 1100 in poi ad Anversa, prepuzio che era stato venduto al re Baldovino I di Gerusalemme in quel di Palestina nel corso di una crociata. Durante una messa, il vescovo di Cambray ne vide uscire tre gocce di sangue che macchiarono i lini dell’altare. In onore di questo santissimo e sanguinante pezzetto di pelle, nonché della macchiata tovaglia, venne subito costruita una speciale cappella e vennero periodicamente tenute festose processioni; il miracoloso prepuzio divenne oggetto di culto e meta di pellegrinaggi.
Nel 1557 venne rinvenuto un Santo Prepuzio nella cittadina di Calcata (Viterbo). Il Prepuzio di Calcata è degno di nota perché è il più longevo di cui si abbia notizia: il reliquiario venne portato in processione anche recentemente (nel 1983) durante la Festa della Circoncisione. La tradizione ebbe fine quando dei ladri rubarono il contenitore ricoperto di gioielli e le reliquie in esso contenute.
Il Prepuzio di Calcata fu anche al centro di un acceso dibattito teologico. Infatti i monaci di una abbazia rivale, quella di Charroux, sostenevano che il Santo Prepuzio conservato nella loro chiesa fosse stato donato direttamente, dall’immancabile Carlo Magno. Nei primi anni del XII secolo il Prepuzio venne portato in processione fino a Roma, perché Innocenzo III ne verificasse l’autenticità, ma il Papa rifiutò di farlo. La reliquia in seguito andò perduta, per ricomparire solo nel 1856, quando un operaio che lavorava nell’abbazia dichiarò di aver trovato il reliquiario nascosto nello spessore di un muro. La riscoperta portò ad uno scontro teologico con il Prepuzio ufficiale di Calcata, che era venerato ufficialmente dalla Chiesa da centinaia di anni. Nel 1900 la Chiesa risolse il dilemma vietando a chiunque di scrivere o parlare del Santo Prepuzio, pena la scomunica (Decreto no. 37 del 3 febbraio 1900). Nel 1954, dopo lungo dibattito, la punizione venne portata al vitandi (persona da evitare), il grado più grave della scomunica; successivamente il Concilio Vaticano Secondo rimosse dal calendario liturgico la festività della Circoncisione di Cristo.
Il Santo Prepuzio di Calcata rimase per lungo tempo l’ultimo sopravvissuto ai vari saccheggi. A seguito del furto in epoca moderna del reliquiario di Calcata, non si sa se qualcuno dei Prepuzi sia tuttora esistente. Il mistero riguardante una delle più bizzarre reliquie della storia cristiana resiste ancora.