Sorprendete i vostri ospiti al prossimo pool-party!
Questo simpatico cucciolotto di salamandra gigante chiede soltanto un po’ di spazio, un po’ di pesci e crostacei da sbafarsi, e un po’ del vostro affetto.
Le salamandre giganti asiatiche (famiglia cryptobranchidae) possono vivere fino a 50 anni in cattività, quindi si tratta di un investimento a lungo termine.
La salamandra gigante giapponese arriva fino a un metro e mezzo di lunghezza, ma se proprio siete di quelli che vogliono tutto più grande degli altri, c’è sempre la varietà cinese, che arriva oltre i 180 cm di lunghezza, per 40 kg di peso. Ormai, però, le salamandre cinesi raramente raggiungono questa stazza.
E se un giorno al vostro cucciolo dovesse succedere qualcosa di brutto… be’, potete sempre chiamare gli amici a cena!
A parte gli scherzi, la salamandra gigante cinese è fra le specie più a rischio di estinzione: oltre alla scomparsa dell’habitat dovuta all’inquinamento, la situazione critica delle salamandre in Cina è da imputarsi proprio alla cucina e alla medicina tradizionale, che ne fanno ampiamente uso.
La strana e incredibile storia di Carl Tanzler è divenuta nel tempo una sorta di macabra leggenda urbana, ma è accaduta realmente: è una storia di amore, devozione, ossessione maniacale e morte.
Carl Tanzler (soltanto uno dei suoi molti nomi, Conte Carl von Cosel essendo il secondo più celebre) nacque a Dresda nel 1877. Spostatosi a Zephryhills, Florida, nel 1927, divenne radiologo allo U.S. Marine Hospital a Key West. Sua moglie e le sue due figlie lo raggiunsero qualche anno più tardi.
Tanzler era stato affidato al reparto tubercolotici, che in quegli anni era davvero un brutto spettacolo. La maggior parte dei suoi nuovi amici americani erano pazienti, e Tanzler fu costretto a vederli morire uno ad uno a causa della terribile malattia. I medici che lavorano in reparti simili cercano di “desensibilizzarsi” al fine di mantenere la propria integrità mentale; Tanzler però era tenero di cuore, e pare che ogni volta che un paziente non ce la faceva, egli soffrisse duramente. Il medico tedesco non era inoltre propriamente stabile a livello psicologico. Sempre pronto a inventarsi nuove fantasiose cure, si fregiava di aver ricevuto fantomatici premi e onorificenze – che portarono in seguito a dubitare che avesse perfino un’autentica laurea in medicina.
Carl sosteneva inoltre di essere spesso visitato in sogno da una sua ava defunta, la Contessa Anna Costantia von Cosel, che immancabilmente gli mostrava una bellissima, esotica donna, dicendogli che lei e nessun’altra sarebbe stata il suo grande amore.
Seppur sposato con figli, Tanzler finì nell’aprile del 1930 per incontrare quella splendida donna vista in sogno: si trattava di Elena Milagro “Helen” de Hoyos, 22 anni, una bellezza incomparabile, e gravemente malata. La tubercolosi le aveva portato via tutti i famigliari più stretti, e Tanzler decise che l’avrebbe salvata ad ogni costo. Con il consenso della famiglia, cominciò ad utilizzare metodi non ortodossi e non testati per curare la sua Elena, intrugli di erbe e terapie a raggi X. Nel frattempo, si era dichiarato a lei, manifestandole il suo amore, sommergendola di regali, ma la giovane Elena non ne voleva sapere. Malgrado tutto, Carl sperava che la giovane l’avrebbe amato se lui fosse riuscito a salvarle la vita.
Nel 1931, nonostante i suoi ossessivi sforzi, Elena, il suo unico grande amore, morì. Carl, sempre con il consenso della famiglia (al corrente della sua infatuazione), le costruì un mausoleo sopraelevato, per paura che l’umidità del terreno potesse intaccare il suo corpo. Ogni giorno si recava al cimitero a trovarla, e la famiglia di Elena era commossa dall’affetto dimostrato dal dottore per la giovane. Quello che non sapevano, però, è che l’ossessione di Tanzler stava prendendo una brutta piega.
Ogni notte Carl si introduceva nel mausoleo, e sottoponeva il cadavere della ragazza a ripetuti trattamenti di formaldeide per cercare di mantenere il corpo incorrotto. Si sdraiava di fianco a lei, parlava con lei per ore. Ad un certo punto installò perfino un telefono, per poterla chiamare durante il giorno e illudersi di comunicare con la sua Elena. Il fantasma della fanciulla lo visitava ogni notte, chiedendogli di portarla via da quella tomba.
Nel 1933 Carl fece appunto questo: trafugò la salma, e la portò a casa. Elena era morta da due anni a questo punto, e Tanzler lottò furiosamente contro il decadimento del suo corpo, utilizzando una marea di preservanti, vuotando una dopo l’altra bottiglie di profumo per nascondere l’odore della carne marcescente. Nonostante l’inevitabile putrefazione avanzasse veloce, Carl cercava di figurarsi un felice rapporto di coppia, parlando con il cadavere, improvvisando per lei romantiche canzoni d’amore all’organo (di cui era un dotato suonatore).
Mano a mano che la decomposizione progrediva, i suoi metodi divenivano più estremi. Cominciò ad usare corde di pianoforte per legare assieme le ossa che si staccavano. Quando gli occhi di Elena si decomposero, li sostituì con occhi di vetro. Quando la sua pelle si ruppe e cadde a pezzi, la rimpiazzò con una strana miscela di sua invenzione, seta imbevuta di cera e gesso. Gli organi interni collassarono, e lui riempì le cavità con stracci per mantenerne la forma. I capelli caddero, e lui ne fece una parrucca. Ad ogni stadio di decomposizione, Carl tentava di bloccare l’immagine di Elena, ma il risultato era che la ragazza stava divenendo sempre più una rozza e grottesca caricatura di ciò che era stata un tempo, una macabra bambola in putrefazione. Secondo alcune testimonianze, sembra che Tanzler avesse anche inserito un tubo di carta al posto delle parti intime, come sostituto della vagina durante i rapporti sessuali. In realtà, nei rapporti dell’epoca non si fa menzione di questo dettaglio, ed è plausibile pensare che il rapporto fra lui ed Elena fosse di tipo squisitamente (!) platonico.
Nel 1940, nove anni dopo la morte di Elena, la sorella di quest’ultima sentì delle voci riguardanti le strane abitudini di Tanzler. Si recò a casa sua, dove trovò quel che restava del cadavere di Elena, ancora vestita nei suoi abiti. Tanzler fu arrestato, ma i reati commessi erano già caduti in prescrizione e lui non fu mai punito per ciò che aveva fatto.
Tutti i giornali parlarono di questa storia, ma stranamente l’opinione pubblica si schierò dalla parte di Tanzler. La sua ostinata corsa contro l’inevitabile in qualche modo commosse e toccò il cuore degli americani; certo, egli era un maniaco ossessivo, illuso di poter preservare un amore che non era nemmeno mai esistito… ma la gente intuì che al di là degli aspetti più macabri e morbosi della notizia, vi era qualcosa di più. Sotto la patina di sordida necrofilia, la vicenda di Tanzler era fin troppo umana. Il medico tedesco si era aggrappato con le unghie e con i denti a ciò che amava di più al mondo, rifiutando di lasciare che sparisse nelle nebbie del tempo.
L’ossessione di Carl non finì quando gli portarono via i suoi affezionati resti. Ormai l’idea del suo amore aveva prevalso su qualsiasi realtà. Usò la maschera funebre della sua amata per costruire una bambola con le sue fattezze. Scrisse un’autobiografia, e passò i suoi ultimi anni mostrando il bambolotto ai curiosi e raccontando infinite volte la sua incredibile storia. Morì nel 1952, fu trovato accasciato dietro uno dei suoi organi.
Ma la leggenda esige un altro finale: secondo molti resoconti, il suo corpo fu trovato fra le braccia della sua bambola con il viso di Elena Hoyos.
In Marocco, le capre hanno imparato a scalare gli alberi.
Le capre sono ghiotte dei frutti dell’argania, una varietà di albero endemica del Marocco. Dai frutti vengono ricavati due tipi di olio, uno per uso cosmetico e uno per uso alimentare. I guardiani devono tenerle a distanza fino alla completa maturità del frutto, nel mese di luglio.
Band di culto formata a Londra nel 1989, i Tiger Lillies sono tra i più originali e sconcertanti gruppi musicali in circolazione. Il loro stile unico è un misto di cabaret gitano, di rimandi brechtiani e di black humor, il tutto condito dall’uso di strumenti talvolta inusuali e da arrangiamenti rétro.
I loro testi, spesso controversi, esplorano l’universo oscuro dei depravati e dei perdenti, raccontando sordide storie di violenza, morte, sesso e blasfemia. Il loro mondo è una sorta di bassofondo crepuscolare e post-apocalittico in cui prostitute, freaks, ubriachi e assassini incontrano sorti orribili. Ma l’incredibile espressività facciale del cantante Martyn Jacques, il suo look da clown “andato a male” e la sua voce in falsetto (sgradevole, inquietante, eppure magnetica) contribuiscono a stemperare i toni delle liriche, calandole in una dimensione teatrale e surreale.
Così quando i Tiger Lillies ci cantano le loro fiabe macabre piene di bambini che sanguinano a morte, prostitute ubriache dalla pelle di serpente, accoppiamenti con animali e altre simili atrocità, l’umorismo nerissimo riesce comunque a distanziarci e a lasciarci turbati, sì, ma anche ghignanti.
Esref Armagan è uno straordinario e controverso pittore. I suoi dipinti potrebbero sembrare abbastanza “normali”, naif e semplici, nonostante l’uso sensibile del colore, se non fossimo a conoscenza di un piccolo dettaglio: Esref è cieco dalla nascita, e non ha mai avuto occhi per vedere o percepire la luce.
Esref è nato povero e non ha avuto alcuna educazione. Ha iniziato la sua carriera facendo ritratti: chiedeva a un parente o a un amico di sottolineare con una penna il volto su una fotografia, poi con i suoi polpastrelli “leggeva” le linee tracciate sulla foto e le replicava sul foglio da disegno. Ma la sua abilità, con il tempo, si è spinta molto oltre.
Ha sviluppato una tecnica inusuale per i suoi dipinti: dopo averli disegnati, li colora usando le dita con uno strato di pittura ad olio, poi è costretto ad aspettare da due a tre giorni perché il colore si secchi; infine può continuare il suo quadro. Questa è una tecnica non ortodossa, dovuta al fatto che Esref è cieco e opera senza il controllo esterno di altri collaboratori. La principale qualità dei suoi lavori, al di là della brillantezza dei colori o la composizione artistica, sta nell’incredibile fedeltà con cui Esref replica la tridimensionalità. Gli oggetti più lontani sono disegnati più piccoli, e con una incredibile precisione di prospettiva. In un uomo nato senza occhi, questo è un talento che nessuno penserebbe di trovare.
Alcuni neurofisiologi e psicologi americani si sono interessati al caso, e hanno portato l’artista turco a disegnare i contorni del battistero della Basilica di Brunelleschi a Firenze (ritenuto uno dei luoghi in cui l’idea di prospettiva è storicamente nata). Il filmato presentato qui di seguito è in bilico fra la plausibilità e l’agiografia mediatica; alcuni infatti hanno avanzato dubbi sulle effettive competenze di questo pittore, che potrebbe essere segretamente “guidato” da qualcuno nei suoi exploit artistici. Sembrerebbe però che le risonanze al cervello del pittore abbiano indicato un’attività della corteccia cerebrale nelle zone normalmente “morte” in altre persone cieche.
Quindi, bufala o miracolo? Esref, ormai avvezzo alle mostre internazionali, continua ad affermare che gli piacerebbe essere ricordato per il suo lavoro, piuttosto che per il suo handicap. “Non capisco come qualcuno possa considerarmi cieco, perché le mie dita vedono più di quanto veda una persona che possiede gli occhi”.
Cosa succede nella gola di una interprete lirica quando canta il suo pezzo forte? Questo video endoscopico può aiutarci a capire gli sforzi e le strane involontarie contrazioni che hanno luogo a livello faringeo e laringeo durante il canto.
La paura della morte è un processo psicologico riscontrabile in pressoché tutte le culture, ed è dovuto alla capacità del pensiero umano di figurarsi in future e passate situazioni, a trascendere il presente per visualizzare immagini differenti. La certezza della nostra dipartita deriva dall’osservazione della più basilare delle leggi naturali: il mondo è un continuo cambiare di forme, un aggregarsi e un disgregarsi senza tregua, e se siamo vivi lo dobbiamo al fatto che qualcun altro è morto. Quindi, sappiamo che siamo spacciati. Allacciamo la cintura di sicurezza ogni giorno, guardiamo bene prima di attraversare sulle strisce, facciamo check-up medici, ma in fondo sappiamo che prima o poi toccherà a noi. Secondo alcuni psicologi questo terrore è talmente paralizzante che la stessa cultura non sarebbe altro che uno stratagemma per sfuggire dalla paura della morte: un complesso sistema di produzione di senso, di modo che ci illudiamo di sapere cosa ci serve, cosa è importante, cosa si può fare e cosa no, quali sono le regole del successo, quali sono i valori e le tradizioni, chi siamo veramente – un’imponente struttura simbolica in cui ognuno occupa una precisa posizione con doveri e diritti. Questo per combattere l’idea della morte, che annulla ogni senso e vanifica ogni nostro sforzo.
Dall’altro versante, la morte è stata combattuta concretamente e simbolicamente con le tecniche più disparate. Dagli elisir di lunga vita e la ricerca della pietra filosofale nell’alchimia classica, alle pratiche magiche e spirituali del Taoismo religioso, fino alla costruzione di mitologie che spostassero la vita oltre i limiti del corpo vero e proprio (il Nirvana, l’aldilà, la resurrezione Cristiana, ecc.) o che concedessero la consolazione di un’immortalità differita (raggiunta attraverso opere artistiche o dell’ingegno, attraverso la rilevanza storica acquisita dalla persona, attraverso l’atto di mettere al mondo dei figli per continuare a “vivere” nel loro ricordo, ecc.).
Oggi però anche la scienza tenta l’impossibile. Da trent’anni i ricercatori stanno studiando e mettendo a punto processi che rallentino l’invecchiamento. Ovviamente restare giovani non basterebbe, ma dovrebbe essere coadiuvato da ulteriori progressi medico-chirurgici per proteggerci da malattie e incidenti. Inoltre il quadro si complica se pensiamo alla densità di popolazione attuale – andrebbero risolti ovviamente anche i problemi relativi alle risorse energetiche. Da queste poche righe, è chiaro che stiamo parlando ancora di estrema fantascienza, nonostante l’ottimismo di alcuni ricercatori (vedi questo articolo).
A quanto ne sappiamo, in natura esiste un solo animale virtualmente immortale. Si tratta della turritopsis nutricula, un tipo di idrozoo della famiglia Oceanidae. Questa medusa è l’unico animale in grado di invertire il proprio orologio biologico: dopo aver raggiunto la maturità sessuale, la t. nutricula è capace di ritornare allo stadio immaturo, e regredire allo stato di polipo. Un po’ come una farfalla che si tramutasse in bruco, insomma. Questa sorprendente trasformazione è possibile grazie a un processo chiamato transdifferenziazione, in cui un tipo di cellula altera il proprio corredo genetico e diviene un altro tipo di cellula. Altri animali sono capaci di limitate transdifferenziazioni (ad alcune salamandre possono crescere nuovi arti), ma soltanto la t. nutricula rigenera il suo corpo tutto intero. Il processo teoricamente potrebbe essere ripetuto all’infinito, se non fosse che le meduse sono soggette agli stessi pericoli degli altri animali e poche di loro arrivano ad avere l’opportunità di ritornare polipi, prima di finire sul menu di qualche pesce più grosso. Ma, chi lo sa? forse proprio questa minuscola medusa svelerà agli scienziati il segreto per invertire l’invecchiamento.
Il progresso tecnologico avanza a passi da gigante. La scienza si sta già avvicinando alla produzione di organi di ricambio, la ricerca su clonazione, staminali e nanotecnologie applicate alla medicina promette di cambiare il modo in cui pensiamo al futuro. L’idea che non noi, non i nostri figli, ma magari i nostri lontani pronipoti potrebbero avere accesso a vite, se non eterne, lunghe qualche centinaio di anni, stimola la fantasia e pone inediti problemi morali e filosofici. Certamente molti lettori, stando al gioco della speculazione fantascientifica, si domanderanno: ne vale davvero la pena? Chi vorrebbe vivere così a lungo? Non sarebbe forse meglio trovare un modo per imparare a morire serenamente, piuttosto che imparare a vivere in eterno? Altri penseranno invece che, se c’è questa possibilità, perché non provare?
Se qualcuno fosse curioso di approfondire il discorso, questo libro di E. Boncinelli e G. Sciarretta traccia il sogno dell’immortalità dalle origini mitologiche fino alla scienza moderna; il bellissimo documentario Flight From Death – The Quest for Immortality analizza invece la psicologia della morte, la creazione della cultura come schermo protettivo, e l’accettazione del nostro destino finale.
In chiusura, proponiamo come spunto di riflessione la splendida incoscienza (e l’intuitiva saggezza) di una delle più belle fiabe, il capolavoro di James M. Barrie Le Avventure di Peter Pan: “Morire sarà una grande meravigliosa avventura.”
Bizzarro Bazar festeggia oggi il suo primo compleanno.
Un anno fa, pubblicando il primo post, non sapevamo quale interesse potesse suscitare un blog incentrato sul meraviglioso, il macabro, il weird e il perturbante. Il bilancio però è stato positivo. Con il passare dei mesi Bizzarro Bazar si è guadagnato una folta schiera di lettori in cerca di nuove sorgenti di stupore, pronti a mettersi in discussione, a valorizzare il difforme e il deforme, e a confrontarsi con argomenti talvolta considerati tabù. Per un blog così “di nicchia”, superare le 7000 visite mensili è un bel traguardo. Soprattutto quando le prime visite ti arrivano da qualche anonimo utente che digita su Google le parole chiave “cerco belle donne amputate sopra il ginocchio”, o “fotografia necrofila con animali”. Rischi del mestiere… Ognuno è sempre stato il benvenuto qui, anche quando le sue idee cozzavano con le nostre (vedi il putiferio scatenato da questo post, e proseguito su Facebook e su numerosi altri siti e forum animalisti che hanno rebloggato l’articolo originale).
Per il nostro sollievo, abbiamo constatato che la maggior parte delle persone che arrivano su questo blog stanno cercando trattazioni di argomenti specifici, poco affrontati altrove: il post sui gemelli siamesi è il più ricercato, seguito dall’articolo sul crush fetish, la lobotomia, e l’acrotomofilia. Ma il vero segno che le nostre “esplorazioni” hanno fatto breccia nei vostri teneri cuoricini è il fatto che il primato assoluto vada alle parole “Bizzarro Bazar”, le più digitate per giungere fino a noi.
Bizzarro Bazar va di pari passo con la nostra continua ricerca quotidiana di motivi di meraviglia. Crediamo fermamente che la fantasia e lo stupore siano le principali virtù dell’uomo meritevoli di lode. Assieme all’umorismo, qualità imprescindibile.
Questo mondo è talmente strano e sorprendente che siamo certi di non rimanere mai a corto di argomenti. Un sentito ringraziamento va a quanti ci seguono costantemente, ci segnalano notizie e curiosità, e ritornano a leggerci ogni qualvolta abbiamo tempo di pubblicare un nuovo post.
C’è stato un tempo in cui il cinema era ancora coraggioso, libero, estremo… e oltraggioso. Negli anni ’70, la sperimentazione era ovunque.
Anche Claude Lelouch, proprio il cineasta più “sobrio” della Nouvelle Vague, adepto del cosiddetto cinéma-vérité, ha avuto il suo leggendario momento di follia. Nel 1976, con grande scandalo, esce un cortometraggio da lui diretto, della durata di poco più di 8 minuti, intitolato C’était un rendez-vous (“Era un appuntamento”). Si tratta di un unico piano sequenza, una selvaggia corsa in macchina (una Mercedes-Benz 450SEL 6.9, per i fanatici di automobili) attraverso le strade di una Parigi semiaddormentata (sono le 5 e 30 del mattino).
Vediamo molti dei luoghi celebri della capitale francese: Arco del Trionfo, Opéra Garnier, Place de la Concorde, Champs-Élysées. Il guidatore non tocca mai, neanche per un momento, il pedale del freno: scala soltanto le marce, per evitare i pedoni e le altre automobili. Corre, corre all’impazzata. Non si ferma nemmeno ai semafori rossi, imbocca sensi unici contromano, sale sul marciapiede per evitare un camion della spazzatura, continua la sua folle corsa fino a un inaspettato, sorridente finale.
La leggenda che si è creata attorno a questo cortometraggio è quasi più divertente dell’opera stessa: c’è chi discute sull’identità dell’anonimo guidatore (l’ipotesi più plausibile indica il regista stesso come protagonista al volante), chi dimostra che l’audio è in realtà la registrazione della Ferrari 275 GTB di proprietà di Lelouch (la Mercedes in questione aveva infatti solo tre marce, mentre nell’audio si sente scalare fino a cinque marce). Molte speculazioni sono state fatte sull’effettiva velocità della corsa – Lelouch ha dichiarato che la velocità massima raggiunta era superiore ai 200 km/h, ma diversi gruppi indipendenti hanno stimato una velocità massima di 140 km/h.
Quale che sia l’ipotesi più corretta è di scarsa importanza una volta compreso il reale valore di questa pellicola. Oggi YouTube è infestato di video in cui decine di ragazzini (e adulti) eseguono simili bravate, riprendendosi con il telefonino. Ma in quegli anni realizzare un’impresa illegale di questo genere, montando una cinepresa 35 mm sul parafango di un’automobile, sfidando ogni rischio pur di ottenere immagini completamente inedite e reali, senza velocizzazioni, trucchi o effetti speciali, faceva parte di quella sperimentazione che ha reso il cinema vivo e vibrante. Significava mettere in gioco la propria vita, quella di altri, rischiare addirittura la galera per amore delle immagini. Un cinema punk, scorretto, sfrenato, puro e duro, come non se ne vede da un po’ di tempo. Un cinema alla ricerca del limite del mostrabile.
Il limite… Non c’è un modo onesto per spiegarlo, perché le sole persone che sanno veramente dov’è, sono quelle che l’hanno superato. Gli altri – quelli ancora in vita – sono quelli che hanno spinto il loro controllo fino a dove sentivano di poterlo mantenere, e poi si sono ritirati, o hanno rallentato, o hanno fatto quello che dovevano quando è stato il momento di scegliere tra l’Adesso e il Dopo.