I Sokushinbutsu erano dei monaci buddhisti giapponesi che, applicando una tecnica antichissima, forse importata dalla Cina, causavano la propria morte nel tentativo di divenire dei Buddha. Fin qui, niente di strano: quale religione non conta fra i suoi proseliti degli asceti pronti a tutto pur di raggiungere il Paradiso?
Ma i Sokushinbutsu hanno qualcosa che li rende unici. La loro tecnica consisteva nel raggiungere uno stato di auto-mummificazione che avrebbe reso il loro corpo incorrotto e virtualmente eterno.
Tutti conosciamo le mummie egiziane, o quei corpi antichi recuperati dai ghiacci siberiani. Ma qui siamo di fronte a una vera e propria arte della preparazione della salma, mentre questa è ancora in vita.
Il procedimento era complesso e richiedeva una forza di spirito e una pazienza notevoli. Per 1000 giorni (poco meno di tre anni) i preti dovevano nutrirsi con una dieta speciale consistente in noci e semi, prendendo inoltre parte a un regime di attività fisica che eliminava ogni traccia di grasso dai loro corpi. In seguito, dovevano mangiare soltanto corteccie e radici per altri mille giorni, bevendo unicamente tè velenoso tratto dalla linfa dell’albero Urushi, normalmente usato come lacca per verniciare le tazze. Questo causava vomito e una rapida perdita di fluidi corporei, ma soprattutto rendeva il corpo troppo velenoso per essere divorato dagli scarafaggi.
Infine, il monaco auto-mummificante si chiudeva in una tomba di pietra di poco più grande del suo corpo, e lì restava senza muoversi mai dalla posizione del loto. I suoi unici collegamenti con l’esterno erano un tubo per l’aria e una campana posta all’esterno della tomba. Ogni giorno il monaco suonava per far sapere che era ancora vivo.
Quando la campana smetteva di suonare, il tubo veniva rimosso e la tomba sigillata. Dopo altri 1000 giorni, i monaci aprivano la tomba per controllare che la mummificazione fosse andata a buon fine.
Se i corpi mostravano una perfetta mummificazione, venivano immediatamente esposti nel tempio per l’adorazione. Spesso, però, quello che i monaci trovavano era un semplice cadavere decomposto. Anche se non erano considerati veri Buddha, questi resti venivano onorati per la loro dedizione e la loro forza di spirito.
Questa pratica sembrava estinta da secoli, finché un mese fa è stato rinvenuto un corpo di un vecchio che avrebbe tentato di raggiungere lo status di Buddha seguendo questa ricetta.
Trovo questo tipo di pratica (e altre simili presenti in svariate religioni) inutile e fuorviante. Penso che ci sia più saggezza nel vivere la vita di tutti i giorni (cosa che cerco di fare) con rinnovata curiosità, voglia di imparare tenendo ben conto del lato oscuro (che non vuol dire affatto negativo) che circonda la vita. Insomma vivere e basta. Vi sembra poco?
Tu parli da un punto di vista distante anni luce nel tempo e nello spazio da quello vissuto da questi monaci. Contrariamente a quanto possa sembrare essi non volevano la morte ma la vita eterna. Volevano sublimare la dicotomia degli opposti in un’unicità. Questi monaci sono il frutto della loro epoca e della loro cultura. Non vanno ne criticati, ne compatiti. Infatti, non sempre è giusto esprimere giudizi di valore. A volte bisogna solo guardare quello che abbiamo di fronte e meditare. Ma penso che sia la paura a farti parlare così. L’incomprensibile è quello che ti spaventa.
Ma sono solo versioni antiche di Berlusconi! 😉
Saluti,
Mauro.
Per i miei princìpi questa pratica é inutile. Non vedo correlazione tra corpo e anima. Per me é solo farsi oggetto e dimostrare qualcosa a terzi… ed eternare il proprio corpo é presuntuoso. Non trovate?
L’uomo cerca di conservare tutto fin dagli albori… corpo, anima, possedimenti, affetti, amori, attimi… è una fatica improba, ma sembrerebbe che sia sempre più facile che arrendersi all’impermanenza.
Detto questo, credo che in questa pratica si possa leggere anche la vittoria della mente sul corpo. Quest’ultimo rimane soltanto come esempio e testimonianza della forza di volontà del monaco. Non è tanto, quindi, un “eternare” il proprio corpo, quanto piuttosto un dimostrare di saperne fare a meno.
Ti segnalo questo articolo, che può andare a integrare le informazioni qui contenute… 😉
http://www.nippon.com/en/nipponblog/m00046/
(per esempio che bevevano acqua naturalmente addizionale di cianuro da una fonte locale, o che il te di urushi eliminava anche la flora batterica intestinale)
Per quanto ne so di Buddhismo, questo rifugge da “performances” estreme, predicando la terza via fra la schiavitu` dei desideri e l’ascesi che astrae tutto da ogni richiesta terrena. Quindi mi chiedo se questa pratica esasperata che in un certo senso abusa la credulita` dei fedeli (almeno quelli che pensano che il monaco-mummia stia ancora meditando) sia veramente in linea col Buddhismo. Leggendo pero` che molti monaci sceglievano questo cammino quando erano in eta` molto avanzata, posso intendere che fosse un’esperienza “legittima” di concludere la propria esistenza terrena, una testimonianza che fara` riflettere chi ne verra` a conoscenza.