Soldati fantasma

La Seconda Guerra Mondiale era finita. Il 2 settembre 1945 entrò formalmente in vigore l’ordine di resa imposto dagli Alleati alle forze armate giapponesi. A tutte le truppe dislocate nei vari avamposti per il controllo del Pacifico vennero diramati dispacci che annunciavano la triste verità: il Giappone aveva perso la guerra, e i soldati avevano l’ordine di consegnare le armi al nemico. Ma, per quanto incredibile possa sembrare, alcuni di questi soldati “rimasero indietro”.

Shoichi Yokoi era stato spedito nell’arcipelago delle Marianne nel 1943. L’anno successivo gli Stati Uniti presero il controllo dell’isola di Guam, sconfiggendo la sua armata, ma Yokoi fuggì e si nascose nella giungla assieme ad altri nove soldati, deciso a resistere fino alla morte all’avanzata delle truppe americane. Passò il tempo, e sette dei suoi nove compagni decisero di separarsi: del gruppo originale, rimasero Yokoi e altri due irriducibili soldati. Alla fine, anche questi ultimi tre decisero di separarsi per motivi di sicurezza, ma continuarono a mantenere i contatti finché un giorno Yokoi scoprì che i suoi due compagni erano morti di fame e stenti. Ma neanche questo bastò a convincerlo a darsi per vinto. Anche una morte solitaria era preferibile alla resa.

Yokoi imparò a cacciare, durante la notte, per non essere avvistato dai nemici. Si preparò abiti con le piante locali, costruì letti di canne, mobili, utensili. Un giorno di gennaio due pescatori che stavano controllando le reti lo avvistarono nei pressi di un fiume. Riuscirono ad avere la meglio, e dopo un breve combattimento riuscirono a catturarlo e a trascinarlo fuori dalla foresta. Era l’anno 1972. Yokoi era rimasto nascosto nella giungla per 28 anni. “Con vergogna, ma sono tornato”, dichiarò al suo rientro in patria, dove venne accolto con i massimi onori. La fotografia del suo primo taglio di capelli in 28 anni apparve su tutti i giornali, e Yokoi divenne una personalità. L’esercito gli riconobbe la paga arretrata in un ammontare di circa 300$.

Ma Yokoi non fu il più tenace dei soldati fantasma giapponesi. Due anni più tardi, nel 1974, nell’isola filipina di Lubang, venne scoperto il rifugio segreto di Hiroo Onoda, ufficiale dell’Esercito imperiale giapponese che si trovava lì dal 1944.

Dopo essere sfuggito all’attacco statunitense nel 1945, Onoda ed altri tre commilitoni si erano nascosti nella giungla, decisi a frenare l’avanzata del nemico ad ogni costo. Il codice etico e guerriero del bushidō impediva loro anche solo di credere che la loro patria, il grande Giappone, si fosse potuto arrendere. Così, nonostante fossero arrivate notizie della fine della guerra, essi non vollero prestarci fede, e anche alcuni volantini furono reputati dei falsi di propaganda degli Alleati. Dopo che un compagno si era arreso e gli altri due erano rimasti uccisi, Onoda continuò da solo la “missione” per quasi trent’anni.

Nel 1974 un giapponese, Norio Suzuki, riuscì infine a scovarlo e a confermargli che la guerra era finita. Onoda si rifiutò di lasciare la sua posizione, dichiarando che avrebbe preso ordini soltanto da un suo superiore. Suzuki tornò in Giappone, con le foto che dimostravano che Onoda era ancora in vita, e riuscì a rintracciare il suo diretto superiore, che nel frattempo si era ritirato a fare il libraio. Così il vecchio maggiore intraprese il viaggio per Lubang, e una volta arrivato in contatto con Onoda lo informò “ufficialmente” della fine delle ostilità, avvenuta 29 anni prima, e gli ordinò di consegnare le armi. Finalmente Onoda si arrese, riconsegnando la divisa, la spada, il suo fucile ancora perfettamente funzionante, 500 munizioni e diverse granate. Ma al suo rientro in patria, la celebrità lo sorprese negativamente; per quanto si guardasse attorno, i valori antichi del Giappone secondo i quali aveva vissuto e per i quali aveva combattuto una personale guerra di trent’anni, ai suoi occhi erano scomparsi. Onoda vive oggi in Brasile, con la moglie e il fratello.

Sette mesi più tardi di Onoda, un ultimo soldato fantasma venne rintracciato a Morotai, in Indonesia. Si trattava di Teruo Nakamura, ma il suo destino sarebbe stato ben diverso da quello degli altri tenaci guerrieri solitari giapponesi. In effetti Nakamura era nato a Taiwan, e non in Giappone. Non parlava né cinese né giapponese; inoltre, non era un ufficiale come Onoda, ma un soldato semplice. Aveva vissuto per trent’anni in una capanna di pochi metri quadri, recintata, nella foresta. Già gravemente malato, visse soltanto quattro anni in seguito al suo ritrovamento. Taiwan e il Giappone si scontrarono a lungo sulla sua vicenda, su questioni di rimborsi e risarcimenti, e l’opinione pubblica si divise sul diverso trattamento riservato ai precedenti soldati fantasma.

Voci relative ad altri avvistamenti di soldati fantasma si sono spinte fino ai giorni nostri, ma spesso si sono rivelate dei falsi, e Nakamura rimane a tutt’oggi l’ultimo “soldato giapponese rimasto indietro” ufficialmente riconosciuto. Eppure, forse, da qualche parte nella giungla, c’è ancora qualche guerriero, ormai ultraottantenne, che scruta l’orizzonte per avvistare le truppe nemiche, e ingaggiare l’eroico combattimento che attende da una vita.

Ecco la pagina di Wikipedia che dettaglia tutti i ritrovamenti dei vari soldati fantasma giapponesi dal 1945 ad oggi.

6 comments to Soldati fantasma

  1. andrea says:

    Una enorme stima e rispetto. Valori immortali

  2. Max says:

    Onore, solo per onore… del resto nella cultura giapponese, il Bushido E’ il “VERBO”. E in questo “Credo” sono cresciuti, assorbendolo,a tal punto da poter tranquillamente affermare che LORO SONO IL BUSHIDO. Quindi ci si sarebbe dovuti stupire se non l’avessero fatto.
    Affermando questo non intendo affatto ridicolarizzare questi irriducibili soldati, al contrario a loro va tutta la mia stima e comprensione. Ma, cogliere loccasione per porre l’attenzione su altri soldati che imbevuti di una “Fede simile”, hanno continuato a combattere una guerra ormai palesemente persa.
    Anche loro, a mio avviso, hanno diritto ad uguali stima e rispetto.

    • bizzarrobazar says:

      Non so bene a quali soldati tu ti riferisca, ma immagino che continuare a combattere battaglie perse sia un po’ una caratteristica dell’animo umano.

      • Max says:

        Premesso che non era e non è mia intenzione intavolare una discussione politica e/o “Revisionista”, attività che lascio volentieri a persone più capaci di me.
        Mi riferivo a quegli italiani, uomini e donne che all’indomani dell’8 settenbre del ’43 decisero di rientrare in caserma.
        Personalmente ammiro chi è “andato in montagna” e comprendo chi è “scappato a casa”, ma altresì ho il massimo rispetto per chi mantenendo fede agli insegnamenti ricevuti ha continuato la lotta con il vecchio alleato.
        E’ nella “Fede cieca” a mio avviso, la similitudine con il Bushido che rende, questi ETERNI SOLDATI, di qualunque fazione, bandiera o epoca, tragicamente vittime.

        • bizzarrobazar says:

          Sì, ti capisco.
          Religiosa o politica o scientifica che sia, nel momento in cui la fede è “cieca”, porta spesso a dei risultati piuttosto comici; che svelano la loro faccia tragica se si considera lo spreco di risorse – e di vite umane, in molti di questi casi – che deriva da un’ideologia di stampo “fondamentalista”.

  3. Guido says:

    Anche alcuni Ascari Italiani non credevano che la guerra fosse finita e continuarono a combattere fino al 1946, finché gli inglesi non chiesero a ufficiali italiani di andarli a cercare per farli smettere. L’ultimo ad arrendersi fu Ali Muntaz che ogni giorno faceva l’alzabandiera

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