Jenny Saville

Diamo il benvenuto alla nostra nuova guestblogger, Marialuisa, che ha curato il seguente articolo.

La deformità, la carne, il sangue, sono tutti elementi che ci spingono in qualche modo a entrare in contatto con il lato puramente fisico del nostro essere.

Abituati a crearci un’immagine di noi che spesso dipende da elementi astratti e artificiosi quali status sociale, moda, potere, spesso dimentichiamo che siamo corpi di ossa e sangue. Ecco allora che la deformità – di una ferita, della putrefazione, della malattia – entra nei nostri occhi a ricordarci cosa siamo, quanto siamo fragili e in fondo semplici, spogliati dei nostri trucchi.

Jenny Saville, pittrice inglese nata nel 1970, estrapola con i suoi quadri il fascino cruento della deformità, espone corpi oscenamente grassi, feriti, tumefatti e ci lascia entrare nelle vite di questi personaggi bidimensionali. Ci permette di vederli davvero umani in quanto imperfetti; e non possiamo fare a meno di continuare a fissarli perché queste ferite, questi cumuli di adipe, questi sessi in mostra che non rispecchiano il viso di chi li possiede, sono qualcosa di nuovo, di reale e così vivo da essere più bello delle immagini, sterili e patinate, che quotidianamente definiamo “perfette”. L’artista, interessata a quella che chiama “patologia della pittura”, dipinge quadri enormi, le cui dimensioni permettono quasi di sentire la porosità della pelle, di perdersi fra le pieghe e i tagli di questi corpi violati. I nostri occhi vengono indirizzati, dalla composizione dell’immagine e dal sapiente uso dei colori, attraverso un preciso percorso dello sguardo.

Così, Jenny Saville ci rende partecipi di qualcosa che è successo, di un atto. Ci porta a immaginare ciò che è realmente osceno (e che appunto rimane fuori scena): una vita passata a ingozzarsi per sconfiggere la tristezza, o il pugno che si è abbattuto sul viso di un ragazzino, le angosce di chi si sente prigioniero di un corpo sbagliato. La violenza, autoinferta o subìta, è il tema primario – i corpi sono i veri protagonisti, a ricordarci che in fondo è questo che siamo.

Ecco il profilo dell’artista sul sito (in inglese) della Gagosian Gallery di New York. Sempre in inglese, ma più completa della versione italiana, la pagina di Wikipedia dedicata all’artista.

21 comments to Jenny Saville

  1. AlmaCattleya says:

    L’avevo già vista sulla rivista “Arte”. Per diversi aspetti ricorda Lucien Freud.
    P.S.: Non mi sembra che tu abbia parlato dei castrati (parlo dei cantanti). Eppure mi sembra un argomento adatto al tuo blog

  2. Un’ ottima pittrice. Però mi permetto di farvi notare che l’ottava immagine a partire dall’alto non è di Jenny Saville ma di una fan che si è autoritatta riprendendone lo stile (del resto lo suggerisce anche il titolo dell’immagine). La differenza di livello è piuttosto evidente.

    Ciao e complimenti per l’interessante blog.

    • bizzarrobazar says:

      Ciao Flavio, grazie per averci segnalato questa svista. Ho provveduto immediatamente a rimuovere l’immagine.

      • bizzarrobazar says:

        Ne approfitto per segnalare anche che la prima e la terza immagine non sono evidentemente quadri, ma fotografie che fanno parte di un progetto realizzato da Janny Saville assieme a Glen Luchford, intitolato “Closed Contact”.

  3. tom says:

    segnalo che l’ottava opera è diventata anche la copertina dell’album “journal for plague lovers” dei manic street preachers

  4. Michela Soldo says:

    Non riesco a guardare i suoi quadri. Sono piuttosto delusa. Avevo visto la settimana scorsa all’Ashmolean Museum alcune sue opere di ispirazione rinascimentale, una doveva essere la copia di un’opera di Leonardo e siccome quelle mi erano piaciute sono venuta a cercare altro su internet. Ma trovo solo deformità, violenza, perversione. Forse perché i miei gusti sono fermi all’epoca di Michelangelo e Leonardo, non concepisco tutto questo accanirsi sul brutto. Secondo me l’arte è arte solo se mira alla perfezione e quella raggiunta nel periodo classico greco e nel periodo rinascimentale italiano è insuperata. Se dobbiamo definire arte questo universo di nane bianche sul punto di diventare tizzoni, allora l’arte sta davvero morendo. Andate a cercare le opere di Eurico Poggi su flickr. Meritano molto di più. Michelangelo è tra noi e i più lo ignorano.

    • bizzarrobazar says:

      Ciao Michela,
      non credo che serva a molto cercare di definire l’arte, dicendo “l’arte è questo e non quello”. L’arte se ne infischia delle categorie, per nostra fortuna. 🙂
      Ciò detto, capisco che tu possa non sentire alcuna affinità con un certo tipo di rappresentazioni, anche e soprattutto se i tuoi referenti e i tuoi gusti sono strettamente rinascimentali. Io, da parte mia, non sono affatto impressionato dai nuovi Michelangelo, ma stimo chi cerca, nel bene o nel male, strade nuove dopo il deserto fatto da Duchamp.

  5. Di fronte a queste immagini orride, raccapriccianti e stomachevoli che cosa si può commentare? Dopo aver distolto lo sguardo per non vomitare, che cosa possiamo (pardon, che cosa posso) aggiungere? Grazie per il disgusto? Ma qui (lì) c’è la realtà della vita messa a nudo, non capisci? No, non capisco: vale la pena sfigurare ad arte i corpi per dirci che la vita è sofferenza, malattia, dolore e morte? No, secondo me la Saville è un caso clinico e basta.

    • bizzarrobazar says:

      Se queste ti sembrano immagini “orride, raccapriccianti e stomachevoli” sarei proprio curioso di sapere qual è la tua opinione su artisti tipo Witkin (vedi qui)… 😀

      • Joel-Peter Witkin rappresenta un altro evidente caso clinico, ma, diversamente dalla Saville – c’è del genio nella sua follia: le sue contemplazioni della morte non sono prive di un certo qual fascino “estetico”, sia pure perverso (necrofilia d’artista). In ogni caso ci (mi) obbliga a pensare a sora nostra morte corporale e alla continua passione, morte e trasfigurazione dell’arte in sempre nuove forme tra il porno, l’osceno, l’oltraggio e il suicidio della medesima (penso alle sfigurazioni di volti e ritratti bellissimi operate da un grande artista come Arnulf Rainer). In casi estremi come questi sembra quasi che l’arte si rivolti contro sé stessa; invece la Saville incrudelisce sui corpi deformandoli gratuitamente, sine necessitate che non sia quella, appunto, di disgustare con il suo sadismo chi guarda. Non mi pare che ce ne sia un gran bisogno. Grazie per l’attenzione.

        • bizzarrobazar says:

          Ti ringrazio Fulvio per il tuo bel commento.
          Personalmente non condivido: nonostante Jenny Saville non figuri certo tra i miei artisti preferiti, fatico a vedere tutto questo sadismo nelle sue opere. Mi sembrano più che altro studi anatomici di corpi patologici, che rimandano a una ferita dell’anima. Corpi offesi, picchiati, stirati e deformati dalla vita stessa.
          Sul bollare come “caso clinico” qualunque artista dedichi la sua ricerca alla parte oscura, poi… be’, puoi immaginare quale sia la mia opinione, visto che questo è il blog di un “esploratore del bizzarro, del perturbante, del macabro, dello strano e del meraviglioso”. 🙂

          • Dunque, secondo te, la patologia è nell’oggetto rappresentato non nel soggetto che lo rappresenta. Io però ti chiedo: perché la Saville sceglie di rappresentare “studi anatomici di corpi patologici”? Libertà stilistica, mi dirai. Libertà di gusti, posso risponderti. Quanto all’esplorazione del perturbante e del lato oscuro della vita…è una delle funzioni dell’arte in generale (penso anche alla musica). Insistere ossessivamente sul macabro e sul patologico mi pare, scusami, un sintomo da manuale psichiatrico…

          • bizzarrobazar says:

            Non sono sicuro che riusciamo a vedere le stesse immagini.
            Io vedo dipinti che ritraggono donne in carne, un transessuale, due gemelle siamesi, volti di gente che probabilmente ha subito violenza o che soffre per qualche malattia… oltre a un paio di scatti fotografici in cui la pelle del corpo, con l’espediente di appoggiarla su una lastra di vetro, diventa carne astratta e dalle forme fantasiose. Non riesco a trovarci traccia di sadismo, semmai compassione in alcuni ritratti che guardando direttamente lo spettatore sembrano interrogarlo sul perché della violenza e del dolore.
            Sono corpi patologici perché soffrono, e l’artista rende bene quest’idea, ci fa entrare nella loro angoscia anche grazie alla grande dimensione delle tele. Che l’artista abbia deciso di studiare, almeno per queste serie di opere, la sofferenza umana mi sembra del tutto lecito e, come dici tu, fa parte dei compiti dell’arte.
            Poi per carità, la libertà dei gusti non si tocca.

  6. Anche nei ritratti di Bacon c’è la rappresentazione del dolore, eppure a nessuno (o quasi) può venire il sospetto che l’artista sia un sadico che si compiace delle deformazioni inflitte ai corpi e ai volti. Come mai?

    • bizzarrobazar says:

      Bacon era appassionato di macelli, era da ricovero psichiatrico? Un fotografo come Salgado è un sadico perché si è ostinato a registare sofferenza, violenza e morte?
      Questo tuo intervento non risponde alla mia domanda, ovvero dove cavolo vedi tutta questa crudeltà di intenti.

      • fulviosguerso says:

        Ma io non intendevo per niente dire che Bacon fosse da ricoverare (benché alcolista), intendevo dire che nelle sue deformazioni non c’è ombra di compiacimento mentre nella Saville – mi sbaglierò -. vedo deformazioni volutamente urtanti, ripeto, sine necessitate (almeno a parer mio). Salgado è un grande fotografo impegnato a documentare le sofferenze e la violenza subita dai dannati della terra, è come un poeta civile. quindi non c’entra niente con il sadismo.

        • bizzarrobazar says:

          Ho capito bene cosa volevi dire, ma tirare fuori Bacon (o mille altri, come volevo sottolineare con l’esempio di Salgado) per dimostrare che si può illustrare la violenza senza compiacersene non mi avvicina a capire perché la Saville invece questo compiacimento ce l’avrebbe.
          Salgado mostra i bambini che muoiono di fame, la Saville un bambino picchiato e sanguinante. Dove sta la differenza? Perché uno è un poeta civile, l’altra una sadica da internare?
          Perché una visione ti eleva, l’altra ti disgusta? Questo mi piacerebbe capire.
          Visto che qui non si discute di tecnica esecutiva ma proprio del messaggio, che a me pare piuttosto simile: stiamo sempre parlando di artisti che cercano di portarci più vicini alla sofferenza e all’inquietudine esistenziale della nostra epoca. Sine necessitate?

          • Tecnica e messaggio? Ma nel caso di un’opera d’arte i due termini dovrebbero formare e fondersi in un tutto unico; se questo non succede significa che l’opera (quadro, scultura, tempio, palazzo, composizione musicale, fotografia…) tutto sarà meno che arte. Ora l’indubbio virtuosismo tecnico della Saville ha come fine la produzione di quelle immagini teratologiche, le quali, a loro volta, ci vogliono portare vicino alla sofferenza fisica, alla malattia e alla morte facendoci, grazie a quel virtuosismo tecnico, inorridire e, magari, un po’ soffrire moralmente e psichicamente. Arte o terapia d’urto?

          • bizzarrobazar says:

            Continui a eludere la mia domanda, e non spieghi perché ci sarebbe del sadismo in quei quadri.
            Se la Saville si concentra su traumi fisici, chirurgia estetica, obesità e sessualità indistinte è perché nella sua visione il corpo occidentale è alla deriva, proteiforme, sofferente. Il fatto che utilizzi un linguaggio crudo (che poi non sorprende visto l’humus in cui è cresciuta, quello degli YBA) non rende automaticamente le sue opere un mero esempio di shock art, così come un Witkin ribadisce da decenni che la sua è una ricerca spirituale e profondamente cristiana. Certo la crudezza (crudezza, non crudeltà) fa parte del modo espressivo della Saville, ma mi pare che siamo ben distanti dalle teste di vacca putrefatte di Hirst; qui c’è un’esposizione del rimosso – in un’epoca fitness compulsivo e modelle longilinee la Saville ci ricorda che non siamo così in salute come fingiamo di essere, né fisicamente né psicologicamente. Dedicandosi alle vittime di violenza, ai corpi “non allineati”, alla carne che ribolle in costante mutazione ci mostra la faccia malata del benessere. Lo fa usando toni forti, ma fermarsi a quel livello è come affermare che Peckinpah è un regista splatter, se capisci cosa intendo.

  7. “Tutte e due le cose insieme”, mi dirai. O sbaglio?

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