Asubha-Kammatthana: asubha significa “il non-bello”, kammatthana “meditazione”. Stiamo parlando di meditazioni buddhiste che riguardano gli aspetti più spiacevoli e rivoltanti del corpo umano. Alcuni di questi esercizi spirituali (come ad esempio la meditazione sulle 32 parti del corpo) richiedono di concentrarsi sugli organi interni, visualizzandoli uno per uno, in tutta la loro repulsiva mollezza e viscosità. Queste meditazioni non erano pensate per tutti i monaci, ma venivano “propinate” in particolare a quegli individui che mostravano, più degli altri, un attaccamento e un’eccessiva passione per il corpo o per il sesso. Si tratta, insomma, di una specie di estremo rimedio per curare chi proprio non ce la fa a rifuggere dagli eccessi della carne.
Ma, nonostante tutte le meditazioni asubha avessero il preciso scopo di risultare spiacevoli, di certo la più terribile era quella che si svolgeva attraverso la contemplazione dei cimiteri, e in particolare dei cadaveri in decomposizione. Se dovessimo tracciare un paragone con l’Occidente, diremmo che più che al memento mori, questi esercizi erano comparabili a una riflessione sulla vanitas: non tanto, quindi, meditazioni sul nostro destino, quanto sulla futilità dei nostri desideri. Ogni contemplazione serviva a contrastare alcuni determinati impulsi – ma teniamo bene a mente che il buddhismo non è intrinsecamente ascetico, e non condanna tanto le passioni, quanto l’eccesso. Provare attrazione fisica per una donna, per fare un esempio, non è un male in sé, ma quando diviene patologico e intralcia il percorso verso la liberazione del sé va contrastato. La via del Buddha è chiamata “del giusto mezzo” proprio perché predica un sano equilibrio fra mente e sensi.
Ma torniamo ai nostri poveri monaci che decidevano (o a cui veniva impartito dal maestro) di cimentarsi nella contemplazione più terribile e difficile che ci fosse.
Le forme della meditazione asubha erano 10:
- uddhumātaka (cadavere gonfio)
- vinīlaka (cadavere brunaceo, o violaceo per la decomposizione)
- vipubbaka (cadavere purulento)
- vicchiddaka (cadavere separato in due parti)
- vikkhāyitaka (cadavere rosicchiato dagli animali)
- vikkhattaka (parti disperse di un cadavere)
- hatavikkhittaka (parti di un cadavere tagliate con un coltello)
- lohitaka (cadavere sanguinante)
- puḷuvaka (cadavere pieno di vermi)
- aṭṭhika (scheletro di un cadavere)
Il cadavere gonfio (n.1) è perfetto per combattere la troppa passione per le forme, mostrando che non sono permanenti. Il cadavere livido (n.2) contrasta la passione per il colorito della pelle e la sua consistenza. Il cadavere purulento (n.3) mostra l’inutilità di unguenti e profumi. E via dicendo, avrete certamente capito l’antifona. Nel Vissudhimagga del V secolo vengono descritti nel dettaglio i 10 tipi di cadavere, il loro aspetto e l’importanza che rivestono nello scardinare i desideri legati al corpo. Da questo bizzarro “menu”, il monaco doveva scegliere la salma che era più adatta a curare il suo punto debole, e restare per giorni interi vicino ad essa, cercando di concentrare tutti i suoi pensieri sull’oggetto della meditazione. Sei troppo ossessionato dai seni delle donne? Guarda come sono i primi ad essere rosicchiati dai cani e dagli animali selvatici, e ti renderai conto che sono soltanto pezzi di carne.
Ovviamente non era così semplice procurarsi cadaveri freschi o trovarli nelle condizioni particolari che servivano allo scopo; magari si poteva anche trovare la salma adeguata, ma non si riusciva ad averci accesso per il lungo tempo previsto dall’esercizio. Ma era talmente importante, per vedere le cose nella giusta prospettiva, che Buddha stesso raccomandava (forse figuratamente) di “eleggere il cimitero a propria dimora”.
Oggi le cose non sono migliorate, e così il sito italiano buddhista dhammadana.org suggerisce, nella pagina dedicata all’asubha (occhio a cliccare sul link, foto esplicite), di optare per una meditazione meno cruenta: ogni volta che vediamo qualcosa di piacevole (shuba), dovremmo cercare di farlo diventare spiacevole: “la bella coscia di una graziosa giovinetta diviene comparabile ad un prosciutto di maiale; il radioso sorriso di un affascinante giovane, ad una fila di denti, circondati da un pezzo di carne, e così di seguito. Possiamo mentalmente tagliare e decomporre quanto osserviamo. Per esempio, un sorriso seducente ci appare, allora, per quello che è: un dente, più un altro, più un altro… più un labbro, più un altro, il tutto attorniato da carne, punteggiata da peli, ecc. Un altro modo di praticare è quello di ingrandire i dettagli. Vista molto da vicino, non importa quale parte tra le più attraenti di un corpo, diviene un vero orrore”.
Con buona pace del “giusto mezzo”, verrebbe da dire, qui si passa da un estremo all’altro! Ma ricordiamoci che l’esercizio asubha serve proprio a quello, a contrastare un’inclinazione esagerata, per trovare il corretto compromesso.
Oggi una simile tecnica può sembrare piuttosto assurda. Eppure la meditazione sulla morte e sul cadavere non è certo un’esclusiva buddhista, e a pensarci bene è in definitiva al centro di qualsiasi spiritualità. Cos’è in fondo la ricerca religiosa o spirituale se non un tentativo di difesa dalla morte, o al contrario di accettazione della nostra inevitabile fine? Guardare i morti può provocare ribrezzo, ma in un certo senso ci avvicina a uno sguardo sincero, rende meno solide le nostre ipocrisie e certamente mette i nostri problemi quotidiani in una prospettiva più vera.
Questo post mi ha riportato a vent’anni fa, quando alle Superiori leggevamo
Memento
Quando bacio il tuo labbro profumato,
cara fanciulla, non posso obbliare
che un bianco teschio vi è sotto celato.
Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso,
obbliar non poss’io, cara fanciulla,
che vi è sotto uno scheletro nascoso.
E nell’orrenda visione assorto,
dovunque o tocchi, o baci, o la man posi,
sento sporger le fredde ossa di un morto.
(Iginio Ugo Tarchetti, fine 1800)
Davvero notevole!
L’articolo è molto interessante e vorrei dire il mio parere.
Un cadavere umano può essere osservato da vari punti di vista e non è affatto detto che tutti provino le stesse sensazioni alla vista della salma, all’odorato e al tatto. Oggi molti hanno interesse e conoscenze scientifiche, e le struttura cellulare, l’elevatissimo numaro di reazioni biochimiche, in vita e in motrte, la fisiologia umana e dei parassiti e detritivori sopraggiunti annulla lo schifo perchè fà vedere non più come cosa molle, vischiosa, puzzolente, ma solo come materia che và ricilclandosi.
Non è detto che i 10 tipi di esercizi Asubha dassero gli stessi risultati; dipende dall’indole dell’individuo, poteva esserci qualcuno sadico che evrebbe trovato compiacimento; uno coriaceo a cui tale vista non avrebbe destato sensazioni spiacevoli; o addiruitture qualcuno feticista nell’inconscio…la mente umana è troppo variabile.
Si è visto i pessimi risulatati dei condizionamenti pscichici ad arte, la vista prolungata dei cadaveri poteva causare uno shok psichico capace di causare avversione e fobia verso qualcosa d’altro, cornice occasionale dello shok. x es mostrare cadaveri in decomposizione può causare invece che comprensione dell’inutilità di unguenti e profumi un’ossessione morbosa per essi, da non poterne più fare a meno. e poi non capisco perchè combattere la troppa passione per le forme corporee, le stesse che sono state tanto mostrate con l’arte e che sono attraenti proprio perchè la persona è viva, emana calore umano e emotività. Si può essere spirituali e carnali al tempo stesso.
Il sorriso radioso di un giovane, non è solo 1 fila di lamelle ossee infisse nel parodonto, ma esprime la sua anima, la solarità, la dolcezza, è assurdo ridurre questo ad un ghigno,
Una religione dovrebbe esplorare e capire la mente dell’essere umano, il suo animo, il desiderio di infinito, non mostrarne gli aspetti prosaici, come la decomposizione, da ciò possono scaturire se mai solo argomenti scientifici.
Ogni religione dà spiegazione e conforto alla più terribile delle paure delluomo, che non ci sia nulla dopo la morte. timore che tormenta gli uomini da sempre e che l’aumento della vita media non può placare.
Guardando i cadaveri ci rendiamo solo conto che là dentro con c’è più nulla di consapevole, invece vogliamo che la religione dica dove và l’anima, i ricordi, l’energia vitale. La consapevolezza della fine l’abbiamo, anche se solo a livello inconscio, bisogna scrutare nell’anima, ma è un esercizio più difficile del asubha , perchè questa non è rilevabile con sensazioni organolettiche
Sono felice che l’articolo ti abbia interessato, selene. Forse dai troppo per scontato quello che la religione “dovrebbe” o “non dovrebbe” fare… storicamente non c’è mai stato nulla di univoco in questo senso, le religioni si sono occupate di ben altro, oltre all’anima… ciò che mi intrigava nello scrivere il post è proprio il constatare come qualsiasi tradizione spirituale abbia degli aspetti contraddittori, o che ti lasciano perlomeno perplesso. Personalmente, nonostante trovi la contemplazione del cadavere (in generale) utile ed essenziale, l’asubha mi fa sorridere proprio per quelle supposte “cure” che propone. Come dici tu, come si può essere così sicuri dell’effetto finale? È proprio quest’aria da assurdo e comico “manuale medico dell’anima” che mi ha affascinato. Anche se oggi sembrano involontariamente umoristiche o magari ingenue, stiamo anche parlando di pratiche nate quasi 20 secoli fa, non dimentichiamolo. E, in fondo, vedi che qualche riflessione la stimolano ancora oggi! 🙂
Molto contemporaneo direi.
Oggigiorno non si sa più nulla della morte, che viene celata il piu’ possibile.
I bambini non vengono fatti partecipare ai funerali, per non turbarli. Ormai solo i vecchi vanno a far visita al cadavere nella camera mortuaria dell’ospedale. MIa nonna diceva sempre che lei non sapeva niente di come nascevano i bambini fino a circa 14 anni, in compenso a 7 anni aveva già visto una decina di morti, anziani vicini di casa o parenti, dove veniva portata a dire una preghiera. Oggi è l’esatto opposto, si sa tutto di come si nasce ma non di come si muore, una volta “ti portava la cicogna” oggi “il nonno è salito su una scala ed è sparito nella nuvola”. Non è cambiato poi molto, prima la fobia del sesso, oggi la fobia della morte. Eros e Thanatos.
Ci siamo allontanati troppo dalle semplici tradizioni popolari, il giusto che basta per aver vinto la paura del peccato sessuale, ma troppo, perchè questa paura si è trasformata in paura di morte.
Sono d’accordo su tutta la linea, socio! 🙂
Ma sono convinto che perfino sulla nascita non tutto sia svelato… il sangue, il taglio della vagina vicino al perineo, quando è necessario… insomma, vedere con i propri occhi un parto è comunque una visione reputata tabù da molti.
Beh si ma sugli aspetti pratici anche la morte da sempre è tabù, x esempio i trucchi del becchino non vengono mica svelati, i parenti escono durante la vestizione del morto!
I morti hanno sempre la bocca aperta (la muscolatura si rilassa) e i becchini hanno molti trucchi per chiuderla, soprattutto quando il morto deve restare esposto, prima della chiusura della bara. Quanto all’aspirazione di certi liquidi…ma queste sono cose tabù perchè un tantino schifose o impressionanti. Ben più ardua si fa la situazione quando il tabù e qualcosa di non pratico, un concetto astratto come il fine-vita.