Leonid Rogozov

Leonid Ivanovich Rogozov aveva 27 anni quando si imbarcò sulla nave Ob. Era il 1960 e quella spedizione faceva parte del programma sovietico di ricerca in Antartide. Rogozov era l’unico medico a bordo e assieme ai suoi compagni sbarcò a dicembre sulla costa Astrid Princess con il compito di costruire una nuova base. Per febbraio il campo fu completato – appena in tempo, perché stava arrivando il terribile inverno antartico, con tempeste di neve, gelo estremo e buio pressoché perenne. La nave Ob, che li aveva portati lì,  non sarebbe tornata fino al dicembre successivo. Il gruppo era confinato in un ambiente selvaggio e inospitale, completamente isolato dal resto del mondo.

Dopo un paio di mesi, però, Rogozov cominciò ad accusare alcuni sintomi, che diligentemente annotò sul suo diario. Qualche linea di febbre, malessere, debolezza, nausea. Ma poi il dolore si localizzò sull’addome e il giovane medico scrisse il 29 aprile: “Sembra che io abbia l’appendicite. Continuo a mostrarmi tranquillo, perfino a sorridere. Perché spaventare i miei amici? Chi potrebbe essermi di aiuto?”

Non c’era via di scampo, nessuna possibilità di intervento esterno: fuori dal campo base c’era soltanto il deserto di ghiaccio, il buio, il freddo più estremo di tutto il globo terrestre. Nessuno sarebbe arrivato.

Nonostante gli antibiotici e le applicazioni fredde locali, il dolore continuava ad acutizzarsi, la febbre a salire e le crisi di nausea e vomito erano ormai continue. Rogozov comprese che l’appendicite sarebbe presto degenerata e per evitare la perforazione prese il coraggio a due mani e si decise a fare l’unica cosa che gli rimaneva: operarsi da solo.

Alle 20.30 del 30 aprile Rogozov scrisse sul suo diario: «Sto peggiorando. L’ho detto ai compagni. Adesso loro stanno iniziando a togliere tutto quello che non serve dalla mia stanza». Durante l’operazione chirurgica ad assisterlo ci saranno tre uomini, Alexandr Artemev, Zinovy Teplinsky e Vladislav Gerbovich. Peccato che nessuno dei tre abbia la benché minima preparazione medica. Artemev, un meteorologo, gli passerà i ferri; Teplinsky, meccanico, si occuperà di orientare la lampada e lo specchio; Gerbovich, direttore della stazione, sarà pronto a sostituire chi dei due dovesse sentirsi male.

Alle due di notte l’intervento ha inizio. In posizione semiseduta, dopo diverse iniezioni di procaina in più punti, Rogozov esegue la prima incisione sul suo stesso addome. Si rende però ben presto conto che lo specchio non servirà a molto e che per orientarsi dovrà seguire quasi esclusivamente il tatto. Decide quindi di procedere all’operazione senza guanti, per sentire meglio cosa sta tagliando. La posizione è scomoda e la visibilità nulla e dopo 45 minuti il medico comincia ad avvertire un senso di crescente vertigine, di debolezza, e a sudare in maniera incontrollata. Sta perdendo molto sangue e gli assistenti (costantemente sul punto di svenire) fanno quello che possono per cercare di tamponare la ferita e asciugargli il sudore dalla fronte.

Ad un certo punto Rogozov si rende conto che ha fatto un errore: si è tagliato per sbaglio l’intestino cieco. Così, sempre più stanco, si decide a suturare l’apertura… ogni 4 o 5 minuti deve fermarsi per riprendere le forze e il controllo, dato che gli sembra di poter perdere i sensi da un momento all’altro. Ma non si dà per vinto e continua a scavare, finché non riconosce l’appendice. Ma proprio in quel momento, quando è a pochi minuti dal traguardo, il cuore di Rogozov rallenta.

Il medico capisce che sta per finire male. Non riesce quasi più a muoversi, ma con un ultimo disperato sforzo tenta di completare l’operazione… e ci riesce. Rimuove l’appendice e faticosamente sutura la ferita. “Con orrore – scriverà –  mi rendo conto che l’appendice ha una macchia scura alla base. Questo vuol dire che anche un solo altro giorno e si sarebbe rotta e…”

…e sarebbe morto. Dopo due ore di operazione su se stesso, completamente sfinito, il giovane si addormenta alle 4 di mattina. Il giorno dopo avrà 38 di febbre, ma sarà vivo. Dopo due settimane di antibiotici, tolti i punti, Rogozov torna al lavoro nella stazione antartica. “Non mi sono concesso di pensare a nient’altro che al compito che avevo davanti. Era necessario armarsi di coraggio e stringere i denti”.

Rogozov venne recuperato il maggio 1962 dalla nave, per essere riportato a Leningrado dove lavorava come chirurgo. Morì il 21 settembre 2000, quindi quasi quarant’anni dopo lo straordinario intervento di appendicectomia. Il figlio, Vladislav Rogozov, oggi è anestesista nel Department of Anaesthetics dello Sheffield Teaching Hospital, in Gran Bretagna. E ancora adesso ama raccontare l’incredibile storia di suo padre, l’unico uomo a compiere un’operazione chirurgica completa su se stesso.

13 comments to Leonid Rogozov

  1. AlmaCattleya says:

    Davvero incredibile questa storia. A volte la vita ti mette di fronte a delle sfide che, se non vuoi soccombere, devi per forza accettarle e solo chi ha il coraggio di compierle sopravviverà.

    • bizzarrobazar says:

      Certe volte mi domando, Alma, se anche noi, senza saperlo, ci siamo trovati talvolta in una situazione simile… scelte fondamentali nascoste sotto le mentite spoglie di scelte banali… accendersi una sigaretta o non accenderla (come nei film Smoking/No smoking), provare ad attraversare la strada oppure fermarsi… qui ovviamente le conseguenze delle azioni (o non-azioni) di Rogozov erano chiare, ma quante altre volte non sappiamo renderci conto del peso delle nostre decisioni?

  2. apity says:

    Ho ancora i brividi. Non è da tutti, davvero.
    Mi viene in mente il recente film sulla storia di un altro uomo coraggioso: 127 Ore.

    • bizzarrobazar says:

      È vero, la storia di Ralston così come quella di Rogozov ci colpiscono per quel senso di ineluttabilità, di inevitabilità… come se di colpo la vita, che normalmente ci riserva la possibilità di scegliere, non ci lasciasse più scampo.

  3. selene says:

    è incredibile che questa storia sia vera, allora c’era gente davvero coraggiosa!
    L’anestetico in quella zona deve essere somministrato abbondantemente. Il tessuto adiposo, connettivo e muscolare in abbondanza sconsiglia un analgesia superficiale e moderata. non risulta che si sia fatto un epidutrale, che a quei tempi era poco comune, e non poteva somministrare sedativi per la necessità di essere vigile e presente. Deve aver applicato una forza di volontà straordinaria anche perchè l’inevitabile fuoriuscita di sangue lo indeboliva ulteriormente. Oltretutto dalle foto si direbbe che non avesse in dotazione bisturi elettrico, che cauterizza, ma solo quello classico, manuale. Forse la temxatura bassa ha aiutato, ma rimane cmq un impresa incredibile.
    Certo era molto abile come chirurgo e gran conoscitore dall’anatomia. Questo l’ha aiutato perchè i gesti, maneggiare il bisturi, suturare, clampare, divaricare i lembi e tutto il resto erano precisi, svelti e quasi automatici, e pure la freddezza di nervi, indispensabile in questo mestirere.
    Abbiamo occasioni in cui scopriamo di essere più forti di quello che crediamo. La soglia del dolore cresce quando c’è in ballo la sopravvivienza e ci rendiamo conto che non possiamo lasciarci andare. l’istinto di conservazione è 1 gran motivatore.
    mi ricorda una mia esxienza terribile dal punto di vista doloroso, anche se non paragonabile a quella descritta. Pativo dolori lancinanti e continui addominali, i medici non capivano cosa avessi e mi spingevano a fare l’unica cosa per loro possibile, un metodo diagnostico molto invasivo. Pur rotolandomi dal male nno ho voluto , e ho fatto esami non invasivi e tantato terapie solo farmacologiche.
    alla fine sono guarita.
    anche se il mio scopo è stato per certi versi opposto al suo, -evitare interventi esplorativi- non riesco ancora a credere di aver mantenuto la lucidità in quello stato

  4. norma says:

    Quando ho letto che ha tagliato per sbaglio l’intestino cieco mi sono venuti i brividi! Pazzesco come sia riuscito a mantenere il controllo, e ancora più allucinante pensare che, se avesse aspettato ancora un giorno, sarebbe morto…

  5. Ilaria says:

    Ciao, io sapevo però che aveva iniziato l’operazione alle 22 e l’aveva finita alle 24…comunque uomo di grande coraggio davvero 🙂

  6. esse says:

    ho sempre associato questa vicenda al telefilm “the Kingdom” di Lars von Trier, dove -tra le altre cose- un chirurgo impianta un fegato malato su se stesso

  7. nonna mandrajola says:

    Adoro questo blog. Mi ricorda certe vecchie edizioni del Selezione dal reader’s digest in epoca ante internet..

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