Le doppie esequie

Facendo riferimento al nostro articolo sulla meditazione orientale asubha, un lettore di Bizzarro Bazar ci ha segnalato un luogo particolarmente interessante: il cosiddetto cimitero delle Monache a Napoli, nella cripta del Castello Aragonese ad Ischia. In questo ipogeo fin dal 1575 le suore dell’ordine delle Clarisse deponevano le consorelle defunte su alcuni appositi sedili ricavati nella pietra, e dotati di un vaso. I cadaveri venivano quindi fatti “scolare” su questi seggioloni, e gli umori della decomposizione raccolti nel vaso sottostante. Lo scopo di questi sedili-scolatoi (chiamati anche cantarelle in area campana) era proprio quello di liberare ed essiccare le ossa tramite il deflusso dei liquidi cadaverici e talvolta raggiungere una parziale mummificazione, prima che i resti venissero effettivamente sepolti o conservati in un ossario; ma durante il disgustoso e macabro processo le monache spesso si recavano in meditazione e in preghiera proprio in quella cripta, per esperire da vicino in modo inequivocabile la caducità della carne e la vanità dell’esistenza terrena. Nonostante si trattasse comunque di un’epoca in cui il contatto con la morte era molto più quotidiano ed ordinario di quanto non lo sia oggi, ciò non toglie che essere rinchiuse in un sotterraneo ad “ammirare” la decadenza e i liquami mefitici della putrefazione per ore non dev’essere stato facile per le coraggiose monache.

Questa pratica della scolatura, per quanto possa sembrare strana, era diffusa un tempo in tutto il Mezzogiorno, e si ricollega alla peculiare tradizione della doppia sepoltura.
L’elaborazione del lutto, si sa, è uno dei momenti più codificati e importanti del vivere sociale. Noi tutti sappiamo cosa significhi perdere una persona cara, a livello personale, ma spesso dimentichiamo che le esequie sono un fatto eminentemente sociale, prima che individuale: si tratta di quello che in antropologia viene definito “rito di passaggio”, così come le nascite, le iniziazioni (che fanno uscire il ragazzo dall’infanzia per essere accettato nella comunità degli adulti) e i matrimoni. La morte è intesa come una rottura nello status sociale – un passaggio da una categoria ad un’altra. È l’assegnazione dell’ultima denominazione, il nostro cartellino identificativo finale, il “fu”.

Tra il momento della morte e quello della sepoltura c’è un periodo in cui il defunto è ancora in uno stato di passaggio; il funerale deve sancire la sua uscita dal mondo dei vivi e la sua nuova appartenenza a quello dei morti, nel quale potrà essere ricordato, pregato, e così via. Ma finché il morto resta in bilico fra i due mondi, è visto come pericoloso.

Così, per tracciare in maniera definitiva questo limite, nel Sud Italia e più specificamente a Napoli era in uso fino a pochi decenni fa la cosiddetta doppia sepoltura: il cadavere veniva seppellito per un periodo di tempo (da sei mesi a ben più di un anno) e in seguito riesumato.
“Dopo la riesumazione, la bara viene aperta dagli addetti e si controlla che le ossa siano completamente disseccate. In questo caso lo scheletro viene deposto su un tavolo apposito e i parenti, se vogliono, danno una mano a liberarlo dai brandelli di abiti e da eventuali residui della putrefazione; viene lavato prima con acqua e sapone e poi “disinfettato” con stracci imbevuti di alcool che i parenti, “per essere sicuri che la pulizia venga fatta accuratamente”, hanno pensato a procurare assieme alla naftalina con cui si cosparge il cadavere e al lenzuolo che verrà periodicamente cambiato e che fa da involucro al corpo del morto nella sua nuova condizione. Quando lo scheletro è pulito lo si può più facilmente trattare come un oggetto sacro e può quindi essere avviato alla sua nuova casa – che in genere si trova in un luogo lontano da quello della prima sepoltura – con un rito di passaggio che in scala ridotta […] riproduce quello del corteo funebre che accompagnò il morto alla tomba” (Robert Hertz, Contributo alla rappresentazione collettiva della morte, 1907).

Le doppie esequie servivano a sancire definitivamente il passaggio all’aldilà, e a porre fine al periodo di lutto. Con la seconda sepoltura il morto smetteva di restare in una pericolosa posizione liminale, era morto veramente, il suo passaggio era completo.

Scrive Francesco Pezzini: “la riesumazione dei resti e la loro definitiva collocazione sono in stretta relazione metaforica con il cammino dell’anima: la realtà fisica del cadavere è specchio significante della natura immateriale dell’anima; per questo motivo la salma deve presentarsi completamente scheletrizzata, asciutta, ripulita dalle parte molli. Quando la metamorfosi cadaverica, con il potere contaminante della morte significato dalle carni in disfacimento, si sarà risolta nella completa liberazione delle ossa, simbolo di purezza e durata, allora l’anima potrà dirsi definitivamente approdata nell’aldilà: solo allora l’impurità del cadavere prenderà la forma del ‹‹caro estinto›› e un morto pericoloso e contaminante i vivi si sarà trasformato in un’anima pacificata da pregare in altarini domestici . Viceversa, di defunti che riesumati presentassero ancora ampie porzioni di tessuti molli o ossa giudicate non sufficientemente nette, di questi si dovrà rimandare il rito di aggregazione al regno dei morti e presumere che si tratti di ‹‹male morti››, anime che ancora vagano inquiete su questo mondo e per la cui liberazione si può sperare reiterando il lavoro rituale che ne accompagni il transito. La riesumazione-ricognizione delle ossa è la fase conclusiva del lungo periodo di transizione del defunto: i suoi esiti non sono scontati e l’atmosfera è carica di ‹‹significati angoscianti››; ora si decide – in relazione allo stato in cui si presentano i suoi resti – se il morto è divenuto un’anima vicina a Dio, nella cui intercessione sarà possibile sperare e che accanto ai santi troverà spazio nell’universo sacro popolare”.

Gli scolatoi (non soltanto in forma di sedili, ma anche orizzontali o molto spesso verticali) sono inoltre collegati ad un’altra antica tradizione del meridione, ossia quella delle terresante. Situate comunemente sotto alcune chiese e talvolta negli stessi ipogei dove si trovavano gli scolatoi, erano delle vasche o delle stanze senza pavimentazione in cui venivano seppelliti i cadaveri, ricoperti di pochi centimetri di terra lasciata smossa. Era d’uso, fino al ‘700, officiare anche particolari messe nei luoghi che ospitavano le terresante, e non di rado i fedeli passavano le mani sulla terra in segno di contatto con il defunto.
Anche in questo caso le ossa venivano recuperate dopo un certo periodo di tempo: se una qualche mummificazione aveva avuto luogo, e le parti molli erano tutte o in parte incorrotte, le spoglie erano ritenute in un certo senso sacre o miracolose. Le terresante, nonostante si trovassero nei sotterranei all’interno delle chiese, erano comunemente gestite dalle confraternite laiche.

La cosa curiosa è che la doppia sepoltura non è appannaggio esclusivo del Sud Italia, ma si ritrova diffusa (con qualche ovvia variazione) ai quattro angoli del pianeta: in gran parte del Sud Est asiatico, nell’antico Messico (come dimostrano recenti ritrovamenti) e soprattutto in Oceania, dove è praticata tutt’oggi. Le modalità sono pressoché le medesime delle doppie esequie campane – sono i parenti stretti che hanno il compito di ripulire le ossa del caro estinto, e la seconda sepoltura avviene in luogo differente da quello della prima, proprio per marcare il carattere definitivo di questa inumazione.

Se volete approfondire ecco un eccellente studio di Francesco Pezzini sulle doppie esequie e la scolatura nell’Italia meridionale; un altro studio di A. Fornaciari, V. Giuffra e F. Pezzini si concentra più in particolare sui processi di tanametamorfosi e mummificazione in Sicilia. Buona parte delle fotografie contenute in questo articolo provengono da quest’ultima pubblicazione.

(Grazie, Massimiliano!)

17 comments to Le doppie esequie

  1. zedong says:

    Sarà un caso, ma proprio ieri sono entrato per la prima volta nella chiesa delle “anime del Purgatorio ad Arco” (dove si è sviluppato il culto delle “anime pezzentelle”). Altro complesso (con ipogeo) che meriterebbe un articolo a parte.
    Complimenti come sempre.

  2. Max Aiuppa says:

    Non avresti potuto scrivere un articolo più completo e interessante.
    Come sempre d’altronde.
    Con tutta la mia stima,
    Max.

  3. norma says:

    un’amica napoletana mi ha detto, qualche tempo fa, che un insulto delle sue parti è “andare a scolare” (non so riportartelo in dialetto napoletano! :D) proprio in relazione a questa usanza di far “scolare” i cadaveri. non poteva non rimanermi impresso! 😉

  4. Nevestella says:

    Ma allora è vero che al sud “si cambia il vestito al nonno”! Quando da bambina me l’aveva detto un amico di mio padre, pensavo mi prendesse in giro!
    C’entra un po’ il timore che i defunti diventano vampiri, o zombie, giusto?
    Comunque, le suorine non dovevano avere l’olfatto troppo raffinato… ^_^”

  5. fos87 says:

    Alcuni miei zii di Napoli di tanto in tanto “spolverano” ancora le ossa dei nonni. Qualche anno fa mi raccontarono addirittura una storia in proposito: una notte mia cugina sognò la nonna materna, morta diversi anni prima, tutta sporca e in disordine. La notte dopo la nonna tornò, e così quella dopo ancora.
    Dopo diversi giorni mia cugina, piuttosto inquieta, raccontò il sogno alla madre. Mia zia, considerando il sogno un messaggio, si affrettò ad andare al cimitero e ripulire le ossa della madre, che erano effettivamente piuttosto sporche.

    • bizzarrobazar says:

      Una storia splendida, grazie fos87! 🙂

      • Lotar says:

        l’insulto é: “puozza sculá” : )
        sono appena tornato dall’ esumazione di mio nonno, e devo dire che non condivido i significati di questo rituale, a mio avviso legati a una chiusura mentale, a una mentalitá dell’apparire e del “rendere conto agli altri” tipica del meridione. In particolare oggi si é presentato il caso in cui le spoglie sono ancora molli ed é necessario reinterrarle, e a parte non essere un bello spettacolo, posso confermare la sensazione di “inquietudine”, come se non fosse tutto a posto, che ne é derivata. Penso che se una persona muore, muore e basta, senza troppi fronzoli e speculazioni.
        Per concludere con una riflessione permeata da un altro tipico sentimento napoletano (lo scongiuro): da qua a cent’ anni, io mi faró cremare e spargere su un bel panorama, e chi s’é visto s’é visto ; )
        ciao e complimenti per il blog che seguo da anni, anche se probabilmente questa é la prima volta che commento

        • bizzarrobazar says:

          Grazie per il bel commento. Comprendo la tua posizione riguardo il rituale, ma credo anche che di fronte allo “scandalo” della morte sia difficile condannare certi atteggiamenti. Probabilmente tutto quanto ci aiuti a difenderci dall’angoscia è in fondo scusabile, se non talvolta addirittura commovente.

  6. Mario Trani says:

    Vivo a pochi metri dal castello Aragonese, dove v’e’ il cimitero delle Clarisse di cui si parla nell’articolo e che invito a visitare per il senso di inquietudine (perquanto i feretri siano da tempo rimossi) che si respira in quei cunicoli. Non affermo nulla di nuovo se riporto che l’usanza della riesumazione e lavatura sia tuttora in uso nel cimitero comunale. A tal proposito segnalo la pratica di, qualora i resti appaino ancora “freschi”, specie se da cadaveri semi mummificati, di lasciarli (come definito dagli addetti) “asciugare al sole” prima di lavarli. Ovviamente il cimitero, nei giorni di esumazione(Il mercoledi) e’ chiuso al pubblico, e riservato solo ai parenti dei defunti da esumare, ma, vi confesso che in quell’ occasione, trovandomi a percorrere i viali del luogo sacro, piu’di una volta mi sono imbattuto ( non senza spavento) in salme che si “abbronzavano” al sole d’Ischia.

  7. isabella says:

    Vorrei sapere se ancora oggi si fa la doppia sepoltura grazie

  8. Tizio says:

    Sono napoletano e la pratica di riesumare i cadaveri e’ in uso ancora oggi,io stesso ho assistito a quella di mia nonna,anche se molto meno simbolica,non ci fu nessuna veglia,lo scavatore del cimitero si porto’ allegramente mia nonna sotto il braccio quasi fosse piu’ un oggetto che un (ex)essere umano,quest’ultima cosa mi colpi’ molto..

  9. Candy Caine says:

    Cari amici napoletani che ci raccontate di questa pratica tutt’ora in uso, mi domando come sia igenicamente concesso ciò! Vi è permesso toccare il defunto senza indossare particolare protezione? Le salme possono essere lasciate, come uno di voi scrive, al caldo sole di Ischia senza particolari precauzioni?
    Io abito al Nord e qui le riesumazioni vengono eseguite chiudendo tutto il cimitero! Sono incuriositissima.
    Grazie,
    una polentona 🙂

  10. Della scolatura ne parla anche Pupi Avati nel romanzo “La casa delle signore buie”. Una storia inquietante, con atmosfere cupe, popolata da personaggi sinistri. È uno strano contrasto: da un lato il sole accecante e i profumi agrumati della superficie (siamo in Sicilia), dall’altro il buio, il fetore di questi cunicoli sotterranei.

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