Speciale: Fotografare la morte – I

Tutte le fotografie sono dei memento mori.

Scattare una foto significa partecipare alla

mortalità, vulnerabilità e mutevolezza

di un’altra persona.

(Susan Sontag)

Abbiamo deciso di proporre cinque domande, sempre le stesse, ad alcuni fra i più grandi fotografi che durante la loro carriera hanno affrontato direttamente il tema della morte e del cadavere. Alcuni hanno gentilmente declinato l’invito, come ad esempio Jeffrey Silverthorne, che già negli anni ’70 aveva rifiutato di comparire nel fondamentale saggio The Grotesque in Photography di A. D. Coleman. Altri, invece, ci hanno generosamente concesso questa breve intervista in esclusiva.

ANDRES SERRANO

Nato a New York nel 1950, figlio unico di padre honduregno e madre afro-cubana, Andres Serrano ha passato gran parte della giovinezza a Brooklyn. La rigida educazione cattolica ricevuta da ragazzo giocherà un ruolo fondamentale nella sua ricerca artistica; affascinato dai pittori del Rinascimento, da Rembrandt così come dai surrealisti, Serrano esplora fin da subito le connessioni nascoste ed estatiche fra l’iconografia religiosa e la concretezza del corpo. Il sangue, archetipo mistico e simbolo di vita e morte al tempo stesso, diviene uno degli elementi fondamentali dei suoi lavori. Più tardi comincerà ad utilizzare altri fluidi corporei, come urina, latte e sperma, rendendoli non semplici oggetti delle sue fotografie, ma veri e propri mezzi espressivi.

Le sue due serie Body Fluids e Immersions (1985-90) fecero scoppiare una furibonda polemica che colse di sorpresa l’autore stesso. Una fotografia, in particolare, si rivelò di una forza provocatoria destinata a rimanere immutata nei decenni successivi: si tratta di Piss Christ, e mostra un crocefisso immerso nell’urina. Considerata blasfema e offensiva, nel 1989 fu oggetto di un acceso dibattito al Senato degli Stati uniti; vandalizzata in Australia e presa di mira da un gruppo di naziskin in Svezia nel 2007, nel 2011 venne distrutta da un gruppo cattolico ad Avignone. Nelle intenzioni dell’artista, la serie Immersions si prefiggeva di visualizzare la dicotomia fra la condizione umana, corporale, terrena, e la tensione mistica: Piss Christ e le altre fotografie della serie sembrano affermare che è possibile trovare la divinità perfino nella fisicità umana, nei fluidi e nella carne, perché in fondo il nostro corpo è santo in tutte le sue manifestazioni.


Nell’immaginario popolare da quel momento Serrano è divenuto un artista “maledetto”, estremo e provocatore. La sua visione non ha mai deviato a causa delle polemiche, ed egli ha sempre rifiutato di censurare le sue fotografie, anche quelle più scabrose contenute nella serie A History of Sex; ma ridurre la sua opera a pietra dello scandalo significherebbe dimenticare le sue abilità di ritrattista mostrate in Nomads (1990), Klan series (1990, che ritrae membri del KKK) o in Budapest Series (1992).

Ma le fotografie che ci interessano qui sono ovviamente quelle contenute nella celebre The Morgue (1992). Serrano ha dichiarato: “credo che sia necessario cercare la bellezza anche nei luoghi meno convenzionali o nei candidati più insospettabili. Se non incontro la bellezza non sono capace di scattare alcuna fotografia”.

In The Morgue, l’obbiettivo del fotografo si concentra sui corpi arrivati all’obitorio, talvolta ancora quasi perfetti, talvolta decomposti, mutilati, dilaniati. Ritratti in composizioni rigorose, veri e propri tableaux dall’illuminazione caravaggesca e dai colori accesi, i morti sembrano in bilico fra la reificazione ultima e una sorta di postuma soggettività.

L’intrusione della macchina di Serrano in questo luogo nascosto, il suo indugiare su questi cadaveri vulnerabili e indifesi è una violazione dell’intimità, o un commosso omaggio? Il suo occhio cede alla seduzione morbosa del macabro, oppure è alla ricerca di qualche segreto dettaglio che dia significato alla morte stessa? Impossibile, e forse inutile, risolvere questa ambiguità. La potenza delle immagini di Andres Serrano sta proprio in questa capacità di estetizzare ciò che viene normalmente reputato osceno, e nella testarda convinzione di poter mostrare la meraviglia anche nel più triste e quotidiano degli orrori.


Ecco quindi la nostra intervista ad Andres Serrano.

1. Perché hai deciso che era importante raffigurare la morte nei tuoi lavori fotografici?

La morte è una parte della vita. Esserne incuriositi è naturale. Io fotografo la morte come un’investigazione, allo stesso tempo spirituale ed estetica. È una ricerca sulla vita alla fine del suo corso.


2. Quale credi che sia lo scopo, se ce n’è uno, delle tue fotografie post-mortem? Stai soltanto fotografando i corpi, o sei alla ricerca di qualcos’altro?

Lo scopo del mio lavoro sui morti è lo stesso del mio lavoro sui vivi: creare opere d’arte potenti e avvincenti.


3. Come succede per tutto ciò che mette alla prova il nostro rifiuto della morte, il tono macabro e sconvolgente delle tue fotografie potrebbe essere visto da alcuni come osceno e irrispettoso. Ti interessa scioccare il pubblico, e come ti poni nei riguardi della carica di tabù presente nei tuoi soggetti?

Lavorando nell’obitorio, a fianco di dottori e assistenti clinici, mi sono sentito parte di un gruppo di professionisti che hanno scelto di lavorare con i cadaveri. Non c’è nulla di disgustoso o irrispettoso nel lavorare con i morti, o nel volere mostrare la bellezza che è nella morte. Non considero il mio lavoro scioccante, né tabù.


4. È stato difficile approcciare i cadaveri, a livello personale? C’è qualche aneddoto particolare o interessante riguardo le circostanze di una tua foto?

Non è mai difficile fare il lavoro che vuoi fare e che ti senti spinto a intraprendere. Non saprei dire se è successo qualcosa che potrei definire aneddotico; l’unica cosa che mi ha sorpreso è che davvero poche persone erano morte di morte naturale. La maggior parte di quei cadaveri erano morti inaspettatamente e prematuramente.


5. Riguardo alle foto post-mortem, ti piacerebbe che te ne venisse scattata una dopo che sei morto? Come ti immagini una simile foto?

Preferirei scattarmela da solo, perché nessun altro saprebbe farla come me.

Ecco un interessante saggio (PDF in inglese) su The Morgue, e il sito ufficiale di Andres Serrano.

14 comments to Speciale: Fotografare la morte – I

  1. *Pavona says:

    una cosa molto interessante.. sono curiosa di vedere quali altri fotografi hai scelto e di leggere le loro risposte 🙂
    anche se anche io non ci trovo niente di sconvolgente nell’ “avere a che fare” con in morti, capisco che intraprendere una via artistica scegliendoli come soggetti sia una scelta quantomeno particolare ed è molto interessante capirne il perchè!
    tralaltro non conoscevo questo fotografo, e trovo che alcuni di questi scatti siano assolutamente bellissimi.
    La risposta alla quinta domanda è ganiale, solo un artista potrebbe rispondere così XD

  2. daimon21 says:

    Un personaggio sicuramente spavaldo…a parte questo non ho notato nulla di più. Le foto sono “forti” (l’ultima su tutte), ma alcune non le distinguerei proprio da quelle di molti shock sites. Le foto di A History of Sex mi ricordano molto alcuni lavori di Joel Peter Witkin, ma in quanto a dettagli sono lontane da questi ultimi anni luce. Dalle risposte sembra pure non abbia molto da dire. Se dietro a scatti simili non vi sono almeno idee e concetti di una certa originalità non vedo proprio cosa salvare di questi lavori.

    • bizzarrobazar says:

      Il paragone con Witkin non ha senso; le visioni dei due artisti sono completamente diverse, a Serrano piace utilizzare in maniera spiazzante la luce patinata della pubblicità per i suoi scatti “pornografici”, mentre Witkin è lontano anni luce da un simile concetto.
      E sinceramente se davvero le foto di The Morgue ti sembrano uguali a quelle dei vari shock sites, ti consiglio di riguardarle bene: l’uso della luce, gli sfondi neri, la composizione dell’immagine, l’utilizzo del fuori campo (non solo fuori dal frame, ma anche le parti coperte da tessuti e drappeggi quasi seicenteschi) sono scelte artistiche che fanno la differenza. Tutto questo senza contare che quando la serie è stata esposta nelle gallerie di tutto il mondo, internet praticamente non esisteva ancora.

      • daimon21 says:

        Le foto le ho guardate bene e il paragone con Witkin è stato spontaneo davanti a immagini di anziane donne nude, peni equini, nane in pose esplicite, “esseri” dalla sessualità incerta… Sono certamente distanti in quanto a resa finale dell’immagine, ma i soggetti si richiamano vicendevolmente. In Serrano percepisco, tuttavia, la sola volontà di impressionare, accompagnata da ottima tecnica, ma anche da povertà di contenuto, così come nel Gesù immerso nel piscio. Questo a mio giudizio. Alla prossima

        • bizzarrobazar says:

          Guarda, daimon, sono convinto che sul gusto personale non ci sia niente da dire, ed è più che lecito domandarsi (come faceva anche selene nel suo commento) se l’artista “ci è o ci fa”. Alla luce di una quasi trentennale carriera, per conto mio direi che la traccia di una sincera e coerente ricerca gli vada tributata, anche se ovviamente per i temi trattati Serrano si muove sempre sul filo del rasoio. È anche in questo che risiede il suo fascino, nella confusa linea di separazione fra exploitation e arte pura; ma forse risulta facile e un po’ ingiusto etichettarlo come “provocatore” o “sensazionalista” tout court, ignorando l’impressionante lavoro che sta dietro ogni sua fotografia.

  3. selene says:

    L’artista si è spesso dedicato a foto come piss christ, che possono apparire oltraggiose, e spero che fosse seriamente interessato alla dicotomia fra la spiritualità, il senso religioso e la corporeità, che si esprime quotidianamente in cose disgustose, viene invece il dubbio che abbia scelto un tema scandaloso solo per attirare attenzione, e di romprere i tabù solo per aver successo. Purtroppo questi ultimi decenni sono stati pieni di artisti di scarso talento che offendevano la religione e “l’etica espressiva” solo per aver successo. la genialità può anche essere sussurrata, non ha bisogno di far scandalo x venire alla luce. dico quasto anche se sono da sempre contro la censura e mi sono sempre piaciute la foto scandalose, se il messaggio sotto è importante.
    penso comunque che le foto post mortem, che peraltro secoli fà erano lecite e volute dai congiunti, quindi non dovrebbero essere contro l’etica, ma rischiano di attirare la cuoriosità morbosa della gente, il fascino del macabro fine a se stesso.
    Poche sono le cose certe nella nostra esistenza, e paradosalmente se ne parla poco. Una di queste è il decesso, e l’argomento si rifugge sempre più. con l’allungarsi della vita media ci si illude che non debba mai avvenire, ed essendo sempre più atei fà più paura. i cimiteri sono lontani dai centri abitati, si può dire che la morte nella nostra cultura è quasi tabù, non come in passato o per alcune cluture tribali dove i cadaveri venivano esposti. i questo senso gli scatti di Serrano mostrano quello di cui non si parla mai, ma di cui tutti sanno.

    • bizzarrobazar says:

      Sono d’accordo con te, selene, quando dici che il genio può anche essere sussurrato, e (al contrario di quello che il blog potrebbe far sospettare) gli artisti che ammiro maggiormente fanno proprio questo, svelano grandi cose in maniera dimessa. Però è anche vero che ogni artista ha il diritto (il dovere?) di dire quello che vuole, in qualsiasi modo ritenga più adeguato, con buona pace di tutti coloro che si scandalizzano quando confrontati con un pensiero diverso.

  4. Mi sono imbattuta in questo articolo per caso, e l’ho trovato davvero molto interessante, come pure il blog ! complimenti 🙂

  5. Vins says:

    Bellissimo articolo! non vedo l’ora di leggere le altre interviste.
    e poi è come se mi leggessi nel pensiero, quando faccio ricerche su un determinato argomento, ecco che posti un articolo che ne parla!

    Tra i fotografi che hanno trattato l’argomento della morte è fondamentale Araki, il lavoro sui fiori appassiti o sul suo gatto morente che esteticamente possono apparire banali affrontano concetti davvero interessanti. E anche tutto il lavoro che ha fatto sulla moglie durante la malattia e dopo la sua morte. In fondo tutte le sue serie parlano della vita e della morte, anche quelle più famose sulla tokyo a luci rosse, in un intervista leggevo che l’artista ha incominciato a frequentare questi borderli dopo la morte della moglie appunto nel tentativo disperato di una sua rinascita. Esattamente quella morte, vita e rinascita che si legge in tutto il suo lavoro.

  6. Livio says:

    Grandissimo artista! Gli integralisti di Avignone non sono troppo diversi dagli assassini dei vignettisti francesi… Ogni artista ha il diritto e il dovere di dire quello che vuole in qualsiasi modo! Scusa, Bizzarro, ho ripreso le tue parole, ma le ho trovate tremendamente giuste e corrette!

  7. Sara says:

    Amo questo lavoro e concordo con la visione della morte che ha l artista. Avrei una domanda sarei grata ad eventuali consigli/aiuti. Siccome sono appassionata di fotografia post mortem epoca vittoriana ma non trovo sufficienti documentazioni sulle tecniche che permettevano la conservazione del cadavere per tutti i lunghi tempi di attesa tra arrivo del fotografo e realizzazione degli scatti dove potrei trovare materiale in merito? E per il fetore o per o corpi che non reggevano l attesa come si rimediava affinché le fotografie ne dessero un immagine quanto più vitale possibile? Lascio la mia mail saraspartana0@gmail.com grazie

Leave a Reply to *Pavona Cancel reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.