Le esequie dei Toraja

Sulawesi è un’isola della Repubblica Indonesiana, situata ad est del Borneo e a sud delle Filippine. Nella provincia meridionale dell’isola, sulle montagne, vivono i Toraja, etnia indigena di circa 650.000 persone. I Toraja sono famosi per le loro abitazioni tradizionali a forma di palafitta e dal tetto allungato, chiamate tongkonan, e per le colorate fantasie geometriche con cui intagliano e decorano il legno.

Ma i Toraja sono noti anche per i loro complessi ed elaborati rituali funebri. Essi risalgono ad un’epoca remota, quando i Toraja seguivano ancora la loro religione politeistica tradizionale, chiamata aluk (“la Via”, un sistema di legge, fede e consuetudine); quest’ultima, con il tempo e a causa della lunga guerra contro i musulmani, è oggi divenuta un miscuglio di cristianesimo ed animismo.
Sebbene molti dei rituali “della vita”, cioè quelli propiziatori e purificatori, siano man mano stati abbandonati, le cerimonie “della morte” sono rimaste pressoché invariate.

Per i Toraja, la morte di un membro della famiglia è un evento di fondamentale importanza, e le celebrazioni funebri sono lunghe, complesse ed estremamente dispendiose, tanto da essere probabilmente il principale momento di aggregazione sociale per l’intera popolazione. Più il morto era potente o ricco, più le cerimonie sono fastose: se si tratta di un nobile, il funerale può contare migliaia di partecipanti. A spese della famiglia, in un campo prescelto per i rituali vengono costruite delle tettoie e dei gazebo per ospitare il pubblico, dei depositi per il riso, e altre strutture apposite; per diversi giorni ai pianti e alle lamentazioni si alternano la musica dei flauti e la recitazione di poemi e canzoni in onore del defunto.

Il momento culminante è il sacrificio degli animali – maiali, bufali, polli: ancora una volta, il numero varia a seconda dell’influenza sociale del morto. La lama del machete può abbattersi anche su un centinaio di animali. Particolarmente importanti sono però i bufali d’acqua: oltre ad essere le bestie più costose, sono quelle che assicureranno al morto l’arrivo più celere al Puya, la terra delle anime. Le loro carcasse vengono lasciate in fila sul prato, in attesa che il loro “proprietario” sia partito per il suo viaggio, alla conclusione dei funerali. In seguito, la loro carne verrà spartita fra gli ospiti, mangiata o venduta al mercato.

Viste le enormi spese da sostenere, la famiglia impiega spesso anche anni a cercare i fondi necessari per la cerimonia. Di conseguenza, i funerali si svolgono molto tempo dopo il decesso; in questo periodo di attesa, l’anima del morto è considerata ancora presente a tutti gli effetti e si aggira per il villaggio. Quando finalmente i funerali si sono compiuti, il suo corpo viene seppellito in un cimitero scavato all’interno di una parete di roccia, e un’effigie con le sue fattezze (chiamata tau tau) viene posta a guardia della tomba.

Se invece il morto era meno abbiente, la bara viene fissata proprio sul ciglio della parete, o in alcuni casi sospesa tramite delle funi. I sarcofagi rimarranno appesi fino a quando i sostegni non marciranno, facendoli crollare.

Anche i bambini vengono tumulati in questo modo, ma talvolta è riservato loro un posto in particolari loculi scavati all’interno di grandi tronchi d’albero.

Con questa prima sepoltura, però, il rapporto dei Toraja con i loro morti non è affatto finito. Ogni anno, in agosto, si svolge la cerimonia chiamata Ma’Nene, durante la quale i cadaveri dei defunti vengono riesumati.

I corpi mummificati vengono lavati, pettinati e vestiti in abiti nuovi dai familiari; nel caso fossero rimaste soltanto le ossa, invece, queste vengono comunque lavate e avvolte in stoffe pregiate.

Una volta che i rituali di cosmesi sul cadavere sono completati, i morti vengono fatti “camminare”, tenendoli ritti, e portati in giro per il villaggio. Questa parata, al di là delle valenze religiose, si colora del vero e proprio orgoglio di esibire i propri antenati: la gente li ammira, li tocca, e si scatta delle fotografie assieme a loro. Il Ma’Nene è il segno dell’amore dei parenti per il morto che, in effetti, non potrebbe essere più “vivo” di così.

Alla fine di questa processione d’onore, la salma viene seppellita per la seconda volta, nel suo luogo di ultimo riposo. Completato finalmente il passaggio del morto nell’aldilà, viene così sancita la sua appartenenza agli antenati, ogni sua ira è scongiurata, ed egli diviene una figura esclusivamente positiva, alla quale i discendenti potranno permettersi di chiedere protezione e consiglio.

Il rito del Ma’Nene può sembrare inusuale ed esotico ai nostri occhi odierni, abituati all’occultamento della morte e della salma, ma non è esattamente così: anche in Italia la riesumazione e l’affettuosa pulitura del cadavere fa parte della cultura tradizionale, come abbiamo spiegato in questo articolo.

Molte delle foto che trovate in questo post sono state scattate dall’amico Paul Koudounaris, il cui spettacolare libro fotografico Memento Mori dà conto dei suoi viaggi nei cinque continenti alla ricerca dei costumi funerari più particolari.

(Grazie, Gianluca!)

15 comments to Le esequie dei Toraja

  1. e. says:

    Vi seguo da molto ma è la prima volta che commento: siete senza ombra di dubbio il mio blog preferito. Grazie per la cura, l’attenzione e la passione che mettete nel raccogliere materiale sempre interessante.
    Venendo ai toraja, le sepolture “appese” alle pareti di roccia sbaglio o sono un tradizione diffusa anche in Cina? mi pare di aver visto anni fa un documentario sulle popolazioni fluviali (Fiume Giallo mi pare) che seppelliscono così i loro morti, ma potrei sbagliarmi!

    • bizzarrobazar says:

      Sinceramente non saprei. Ricordo che – non chiedermi dove – sono state ritrovate delle tombe sospese di qualche popolazione antica, ma non conosco altri rituali moderni di inumazione simili a questo.

  2. E come mai questo cambio di tema? Col tempo l’affetto riservato a quello vecchio si é un po’ appassito? Peccato, era quasi un “marchio di fabbrica”.
    Detto questo, il blog resta eccezionale 🙂

  3. Alberto says:

    durante un viaggio fatto in Indonesia lo scorso anno ho potuto assistere a questi rituali: sacrificio delle bestie, grande festa della comunità, visita alle sepolture. Un pò racapricciante ma di grande fascino. Un viaggio che mi rimane impresso nella memoria

  4. Beatrice says:

    Articolo molto interessante, complimenti. Ne approfitto per linkare l’episodio “Death” della serie di documentari della National Geographic “Taboo”, dove appunto si parla dei rituali funebri dei Toraya (è proprio il primo esempio dell’episodio), ma non solo. Il video è in inglese, ma spero comunque possa risultare interessante per qualcuno: https://www.youtube.com/watch?v=GqoDcJ3VJP8

  5. Giada says:

    Poveri animali, venduti come oggetti e uccisi in modo così cruento per credenze umane che nulla hanno a che vedere con loro.
    comunque ottimo articolo, interessante il fatto che vengano riesumati e rivestiti i cadaveri, di certo nella nostra società sembra macabro (e francamente del tutto inutile e dispensioso), ma per loro è segno di forte rispetto

    • Livio says:

      Basta, non se ne può più di questi animalisti! Ma qui c’è antropologia, storia, cultura… E questi si soffermano sugli animali! Salvo poi avere la presuzione di tenere animali in casa o in quattro metri di giardino e definire alcuni animali “da salotto” come fossero soprammobili… L’articolo, come sempre, è splendido!

      • Daniele says:

        Tu stai male Livio

      • Guido says:

        Livio, ti sembra normale il tuo commento? …non é questione di animalisti o no! L’articolo é molto interessante antropologicamente perché dimostra che queste usanze di civiltà primitive perdurano ancora oggi nonostante che altre, più evolute, abbiano preso coscienza dell’inutilità di certi gesti cruenti! “La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali” (Gandhi).
        Complimenti per il sito!

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