Il Carnevale, si sa, è la versione cattolica dei saturnalia romani e delle più antiche festività greche in onore di Dioniso. Si trattava di un momento in cui le leggi normali del pudore, delle gerarchie e dell’ordine sociale venivano completamente rovesciate, sbeffeggiate e messe a soqquadro. Questo era possibile proprio perché accadeva all’interno di un preciso periodo, ben delimitato e codificato: e, nonostante i millenni trascorsi e la secolarizzazione di questa festa, il Carnevale mantiene ancora in parte questo senso di liberatoria follia.
Ma a Lula, in Sardegna, ogni anno si celebra un Carnevale del tutto particolare, molto distante dalle colorate (e commerciali) mascherate cittadine. Si tratta di un rituale allegorico antichissimo, giunto inalterato fino ai giorni nostri grazie alla tenacia degli abitanti di questo paesino nel salvaguardare le proprie tradizioni. È un Carnevale che non rinnega i lati più oscuri ed apertamente pagani che stanno all’origine di questa festa, incentrato com’è sul sacrificio e sulla crudeltà.
Il protagonista del Carnevale lulese è chiamato su Battileddu (o Batiledhu), la “vittima”, che incarna forse proprio Dioniso stesso – dio della natura selvaggia, forza vitale primordiale e incontrollabile. L’uomo che lo interpreta è acconciato in maniera terribile: vestito di pelli di montone, ha il volto coperto di nera fuliggine e il muso sporco di sangue. Sulla sua testa, coperta da un fazzoletto nero da donna, è fissato un mostruoso copricapo cornuto, ulteriormente adornato da uno stomaco di capra.
Le pelli, le corna e il viso imbrattato di cenere e sangue sarebbero già abbastanza spaventosi: come non bastasse, su Battileddu porta al collo dei rumorosi campanacci (marrazzos) mentre sotto di essi, sulla pancia, penzola un grosso stomaco di bue che è stato riempito di sangue ed acqua.
Per quanto possa incutere timore, su Battileddu è una vittima sacrificale, e la rappresentazione “teatrale” che segue lo mostra molto chiaramente. Il dio folle della natura è stato catturato, e viene trascinato per le strade del villaggio. Il rovesciamento carnascialesco è evidente nei cosiddetti Battileddos Gattias, uomini travestiti da vedove che però indossano dei gambali da maschio: si aggirano intonando lamenti funebri per la vittima, porgendo bambole di pezza alle donne tra la folla affinché le allattino. Ad un certo punto della sfilata, le finte vedove si siedono in cerchio e cominciano a passarsi un pizzicotto l’una con l’altra (spesso dopo aver costretto qualcuno fra il pubblico ad unirsi a loro); la prima a cui sfuggirà una risata sarà costretta a pagare pegno, che normalmente consiste nel versare da bere.
In questo chiassoso e sregolato corteo funebre, intanto, su Battileddu continua ad essere pungolato, battuto e strattonato dalle funi di cuoio con cui l’hanno legato i Battileddos Massajos, i custodi del bestiame, uomini vestiti da contadini. È uno spettacolo cruento, al quale nemmeno il pubblico si sottrae: tutti cercano di colpire e di bucare lo stomaco di bue che il dio porta sulla pancia, in modo che il sangue ne sgorghi, fecondando la terra. Quando questo accade, gli spettatori se ne imbrattano il volto.
Alla fine, lo stomaco di su Battileddu viene squarciato del tutto, e il dio si accascia nel sangue, sventrato. Si alza un grido: l’an mortu, Deus meu, l’an irgangatu! (“l’hanno ucciso, Dio mio, lo hanno sgozzato!”). Ecco che le vedove intonano nuovi lamenti e mettono in scena un corteo funebre, ma le parole e i gesti delle “pie donne” sono in realtà osceni e scurrili.
Nel frattempo un altro capovolgimento ha avuto luogo: due dei “custodi” sono diventati bestie da soma e, aggiogati ad un carro come buoi, l’hanno tirato per le strade durante la rappresentazione. È su questo carro che viene issato il corpo esanime della vittima, per essere esibito alla piazza in alcuni giri trionfali. Ma la finzione viene presto svelata: un bicchiere di vino riporta in vita su Battileddu, e la festa vera e propria può finalmente avere inizio.
Questa messa in scena della passione e del cruento sacrificio di su Battileddu si ricollega certamente agli antichi riti agricoli di fecondazione della terra; la cosa davvero curiosa è che la tradizione sarebbe potuta scomparire quando, nella prima metà del ‘900, venne abbandonata. È ricomparsa soltanto nel 2001, a causa dell’interesse antropologico cresciuto attorno a questa caratteristica figura, nell’ambito dello studio e valorizzazione delle maschere sarde. Ora, il dio impazzito che diviene montone sacrificale è di nuovo tra di noi.
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(Grazie, freya76!)
Articolo interessantissimo, è in assoluto uno di quelli che mi sono più piaciuti. È entusiasmante l’idea che talvolta possiamo ancora farci, di un’ Italia antica, eterogenea, pregna di tradizioni uniche e invidiabili. Le foto sono molto belle e suggestive, come le vecchie strade del paesino. Mi è venuta una gran voglia di vestirmi da Battileddu!
Hai ragione, l’Italia è unica sotto questo profilo.
Che meraviglia quest’articolo! Il blog è sempre ricco di spunti affascinanti, spesso persino inquietanti, ma non ricordo di aver mai provato un brivido come leggendo questo contributo (peraltro scritto molto bene).
Sarà il ricordo di qualcosa di arcaico, tribale, che mi richiama il mito antico e onnipresente del dio che muore per fecondare la terra e dare la vita. Un’allegoria che torna in tantissime religioni… e quella cristiana è arrivata per ultima!
Molto intressante anche il ruolo delle vedove: c’è sempre una figura femminile in questo tipo di riti/leggende.
Grazie!
Sul ruolo delle vedove (le “alluttate”) nelle processioni e nelle tradizioni del Sud ci sarebbe da scrivere un libro intero.
Bellissimo questo articolo! Leggere questo blog mi renderà erudita 😉
Addirittura! 🙂
Sono d’accordo!
Questo è il genere di tradizioni che rende bello e vivo un paese, non certo le abitudini desuete portate avanti per inerzia ogni giorno o le superstizioni che ancora oggi infestano l’Italia. Fa una gran tristezza pensare che questo genere di manifestazioni folkloristiche sia inesorabilmente destinato a scomparire, inglobato assieme a tutto il resto dalla globalizzazione dei costumi (e dei consumi soprattutto). Un paese come il nostro, che avrebbe un patrimonio culturale immenso di cui potersi vantare, lo sta letteralmente buttando al macero grazie al menefreghismo dilagante e all’irrefrenabile brama di correre dietro ai signori americani padroni del mondo, i quali hanno esportato la loro “cultura” dell’usa e getta dappertutto soppiantando qualsiasi realtà locale.
Domani al posto del Battileddu avremo Mickey Mouse o qualche altra mascotte creata a tavolino, magari nel contesto di una pubblicità di Sky o della Coca-Cola.
Questo è il progresso…
Non sarei così pessimista. Molte di queste tradizioni sono oggi difese e protette in innumerevoli modi, dalle istituzioni e dalla gente.
Poi, certo, “panta rei”…
Sulla bellezza del post non ho niente da dire come sempre.
Ho un dubbio: non è che il dio rappresentato sia il mitico Pan?
Dal suo nome deriva “panico”.
E si parla di lui come l’unico dio che è morto. Infatti nel Tramonto degli Oracoli di Plutarco si narra della sua morte e allora si levò un coro di pianti.
Ne ho parlato qui: http://almacattleya.blogspot.it/2011/10/pan-e-vivo-o-morto.html
I rituali pagani di fertilizzazione sono quasi sempre collegati a Bacco/Dioniso, ma potrebbe anche essere che alcuni elementi del Carnevale in questione siano stati mutuati da altri miti.
Bell’articolo comunque, Hillman è sempre affascinante.
In effetti. E’ anche probabile sia ispirato a una loro figura tradizionale. Poi parlando di rito pagano di fertilizzazione basti pensare anche a Priapo.
Grazie, sono rimasta folgorata da James Hillman proprio grazie a quel saggio. Prima non lo conoscevo.
E sappiamo bene cos’ hanno in comune, a livello iconografico, Dioniso, Priapo e Pan… il simbolo di fertilizzazione per eccellenza, che veniva piazzato al bordo dei campi. Notevoli anche le connessioni con il “lingam” orientale. 🙂
E io che pensavo che il carnevale dell’uomo-cervo di Castelnuovo di Volturno e il suo “Gl’Cierv” fosse qualcosa di unico tra le tradizioni nostrane. In parametri di bizzarria Battileddu vince a man bassa.
Bellissimo articolo, come sempre! 🙂
Vedendo le prime immagini di ‘su battileddu’ mi ha ricordato un po’ la festa dei Krampus, che in Alto Adige si festeggia nel periodo di San Nicolò. http://www.suedtirol.info/it/Media-Center/Comunicati/artikel/5a92289e-dd1f-4aa0-9848-9a75fed4bb4d/Alto-AdigeSuedtirol-Krampus-che-passione.html
I commenti di questo post mi hanno già fatto scoprire due feste di cui non conoscevo l’esistenza… altre segnalazioni mi sono giunte via mail. Grazie!
ho vissuto in Austria e non mi perdevo mai nessuna KrampusLauf (corsa dei Krampus), era un evento che davvero metteva i brividi per il suo essere così ancestrale e così selvaggio: http://www.austria-facile.com/festa-austriaca-di-krampus-und-nikolaus.html
A me ha ricordato il carnevale di Tufara, http://www.youtube.com/watch?v=N7M4sFHanHQ
Ragazzi, può sembrare pazzesco, ma qua in Sardegna la tradizione pagana è ancora fortemente radicata (sarà l’isolamento abbastanza sentito dal resto del “continente” che ha permesso di conservare queste manifestazioni nell’immaginario collettivo di noi sardi), difatti abbiamo molte tradizioni carnevalesche simili diffuse per tutta l’isola che uniscono cristianesimo e paganesimo in un unico “strano” rito.
Grande articolo, come sempre!
Questa è Sardegna, non Italia. Non mischiamo la cultura millenaria di un popolo ben definito con le appartenenze statuali.
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