Tassidermia e vegetarianismo

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La tassidermia sembra conoscere, in questi ultimi anni, una sorta di nuova vita. Alimentata dall’interesse per l’epoca vittoriana e dal diffondersi dell’iconografia e l’estetica della sottocultura goth, l’antica arte tassidermica sta velocemente diventando addirittura una moda: innumerevoli sono gli artisti che hanno cominciato ad integrare parti autentiche di animali nei loro gioielli e accessori, come vi confermerà un giro su Etsy, la più grande piattaforma di e-commerce per prodotti artigianali.

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A Londra e a New York conoscono un crescente successo i workshop che insegnano, nel giro di una giornata o due, i rudimenti del mestiere. Un tassidermista esperto guida i partecipanti passo passo nella preparazione del loro primo esemplare, normalmente un topolino acquistato in un negozio di animali e destinato all’alimentazione dei rettili; molti alunni portano addirittura con sé dei minuscoli abiti, per vestire il proprio topolino alla maniera di Walter Potter.

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Su Bizzarro Bazar abbiamo regolarmente parlato di tassidermia, e sappiamo per esperienza che l’argomento è sensibile: alcuni dei nostri articoli (rimbalzati senza controllo da un social all’altro) hanno scatenato le ire di animalisti e vegetariani, dando vita ad appassionati flame. Ci sembra quindi particolarmente interessante un articolo apparso da poco sull’Huffington Post a cura di Margot Magpie, sui rapporti fra tassidermia e vegetarianesimo.

Margot Magpie è istruttrice tassidermica proprio a Londra, e sostiene che una gran parte dei suoi alunni sia costituita da vegetariani o vegani. Ma come si concilia questa scelta di rispetto per gli animali con l’arte di impagliarli?

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Ovviamente, tagliare e preparare il corpo di un animale non implica certo mangiarne la carne. E una gran parte degli artisti, vegetariani e non, che operano oggi nel settore ci tengono a precisare che i loro esemplari non vengono uccisi con lo scopo di creare l’opera tassidermica, ma sono già morti di cause naturali oppure – come nel caso dei topolini – allevati per un motivo più accettabile. (Certo, anche sul commercio dei rettili come animali da compagnia si potrebbe discutere, ma questo esula dal nostro tema). Si tratta in definitiva di materiale biologico che andrebbe sprecato e distrutto, quindi perché non usarlo?

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Ma preparare un animale comporta comunque il superamento di un fattore di disgusto che sembrerebbe incompatibile con il vegetarianismo: significa entrare in contatto diretto con la carne e il sangue, sventrare, spellare, raschiare e via dicendo. A quanto dice Margot, però, i suoi allievi vegetariani colgono una differenza fondamentale fra l’allevamento degli animali a fini alimentari – con tutti i problemi etici che l’industrializzazione del mercato della carne porta con sé – e la tassidermia, che è vista invece come un rispettoso atto d’amore per l’animale stesso. “La tassidermia per me significa essere stupiti dall’anatomia e dalla biologia delle creature, e aiutarle a continuare a vivere anche dopo la morte, in modo che noi possiamo vederle ed apprezzarle”, dice un suo studente.

La passione per la tecnica tassidermica proviene spesso dall’interesse per la storia naturale. Visitare un museo e ammirare splendidi animali esotici (che normalmente non potremmo vedere) perfettamente conservati, può far nascere la curiosità sui processi utilizzati per prepararli. E questo amore per gli animali, dice Margot, è una costante riconoscibile in tutti i suoi alunni.

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“Combatto con questo dilemma da un po’. – racconta un’altra artista vegetariana – La gente mi dice che ‘non dovrebbe piacermi’, ma ci sono piccole cose nella vita che ci danno gioia, e non possiamo farne a meno. Mi sembra che sia come donare all’animale una vita interamente nuova, permettergli di vivere per sempre in un nuovo mondo d’amore, per essere attentamente rimesso in sesto, posizionato e decorato, ed è un’impresa premurosa e amorevole”.

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L’altro problema è che non tutti i lavori tassidermici sono “naturalistici”, cioè mirati a riprodurre esattamente l’animale nelle pose e negli atteggiamenti che aveva in vita. Non a caso facevamo l’esempio della tassidermia antropomorfica, in cui l’animale viene vestito e fissato in pose umane, talvolta inserito in contesti e diorami di fantasia, oppure integrato come parte di un accessorio di vestiario, un pendaglio, un anello. Si tratta di una tassidermia più personale, che riflette il gusto creativo dell’artista. Per alcuni questa pratica è irrispettosa dell’animale, ma non tutti la pensano così: secondo Margot e alcuni dei suoi studenti la cosa non crea alcun conflitto, fintanto che il corpo proviene da ambiti controllati.

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“Credo che utilizzare animali provenienti da fonti etiche per la tassidermia sia positivo e, per questo motivo, posso continuare felicemente con il vegetarianismo e con il mio interesse di lunga data per la tassidermia. Sento di molti tassidermisti moderni che usano esclusivamente animali morti per cause naturali o in incidenti, quindi credo che ci troviamo in una nuova era di tassidermia etica. Sono felice di farne parte”.

C’è chi invece il problema l’ha aggirato del tutto. L’artista americana Aimée Baldwin ha creato quella che chiama “tassidermia vegana”: i suoi uccelli sono in realtà sculture costruite con carta crespa. Il lavoro certosino e la conoscenza del materiale, con cui sperimenta da anni, le permettono di ottenere un risultato incredibilmente realistico.

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Ecco il link all’articolo di Margot Magpie. Gran parte delle fotografie nell’articolo provengono da questo articolo su un workshop tassidermico newyorkese. Ecco infine il sito ufficiale di Aimée Baldwin.

9 comments to Tassidermia e vegetarianismo

  1. Daimon says:

    Ciao BB. Non pensavo potessero esserci rapporti positivi tra vegetariani/animalisti e la tassidermia, quindi articolo molto interessante. Nel Museo di Storia Naturale della mia università ci sono pezzi di grandissimo valore, tra i quali un delfino acquistato da Spallanzani nel 1781 e uno squalo mako acquistato sempre da spallanzani nel 1790, statue miologiche, un vitello affetto da ciclopia… ricordo che avevamo organizzato una visita guidata con la professoressa e una ragazza animalista aveva criticato l’iniziativa. Forse le ragioni di questi ragazzi e di Margot Magpie porteranno altre persone a rivedere la loro posizione in merito alla tassidermia e a riconoscere il valore storico e scientifico di questa bellissima arte.

  2. LilFred says:

    Non mi azzarderei mai ad impagliare un animale.
    La mia mamma mi ha insegnato che non si gioca col cibo u3u

  3. Motus says:

    da figlia di tassidermista (uno bravo però, non come questi principianti) non posso che dire che persone come queste non sono artisti, è a causa di persone come queste che si continuano a chiamare “animali impagliati” gli animali imbalsamati. Si impagliano le sedie, non gli animali, è un termine inapproriato, anche se, in questo caso, calzante.

    • bizzarrobazar says:

      Suvvia, non facciamo troppo i pignoli sulla terminologia. A rigore nemmeno “imbalsamato” sarebbe corretto, visto che riguarda specificamente determinate tecniche di mummificazione.
      Questi corsi non pretendono certo di insegnare esaustivamente la tassidermia in un giorno: personalmente le trovo comunque buone iniziative, in quanto avvicinano le persone a un’arte che rischia di scomparire. 🙂

  4. Paola says:

    Non c’è che dire, interessante come al solito.
    Non so se essere più dispiaciuta o più soddisfatta dal poco scalpore sucitato, ma penso che prevalga la soddisfazione. In questi anni il tuo stuolo di lettori si è selezionato, e solo i veri intenditori ti restano fedeli! I bunny huggers si sono trasferiti altrove! Peccato, perchè appena ho visto il tema dell’articolo speravo in un po’ di risate leggendo i commenti, ma niente! 😀
    Inutile aggiungere che ti seguo sempre, e trovo l’argomento molto interessante, anche se preferisco decisamente i semplici teschi alle opere di tassidermia!
    A presto!
    Paola

  5. Natasha says:

    Da animalista e veg da una decina di anni, ho il limite di non capire. Non capisco il perché, non capisco l aspetto ludico della cosa. Mi spiego meglio, se venissero impagliati per scopi “scientifici ” ( utilizzando sempre animali morti per altri motivi sia chiaro)quasi quasi capirsi, ma mettere un vestito goth o una chitarra a in povero topino mi sembra cosi irrispettoso e triste! Come fa un vegetariano che ha fatto una scelta etica denigrare cosi un animaletto? Cioè mangiarlo, usarlo come cavia no è contro natura/anti etico/ crudele/ specista ma ridicolizzare il corpo conciandolo come il più imbarazzante dei pupazzi no? Se non si è specisti non si dovrebbe avere lo stesso identico rispetto per la vita ( e quindi la morte) di ogni creatura? Non credo lo farebbero con corpi di persone, nemmeno se la legge lo consentisse quindi..resto perplessa e mi tengo il mio limite mentale. Naty

  6. Sotto Tre Demoni says:

    Innanzitutto, trovo molto belli i lavori di tassidermia vegana di Aimée Baldwin.

    A parte questo, io, antispecista da più di venticinque anni e, quindi, fondamentalmente vegano (anche se non fanatico ed estremo come alcuni, ma il discorso sarebbe lungo), non trovo necessariamente vi sia una contraddizione.
    Mi sento pertanto di dissentire da Natasha (sia chiaro, quando dicevo di non essere fanatico ed estremo come alcuni non mi riferivo a lei), pur trovando i suoi interrogativi e perplessità interessanti e sensati.
    Un lavoro di tassidermia su un corpo di animale non ucciso per questo scopo, infatti giustamente nell’articolo si parla di “utilizzare animali provenienti da fonti etiche” (quando sia ucciso dopo essere stato acquistato in un negozio che lo vendeva come cibo per rettili è già un discorso diverso:l’hai ucciso comunque!), non è necessariamente condannabile da un’ottica vegana/antispecista, a mio avviso.

    E’una forma di accudire il corpo. Come nel film “Departures”, dove c’è un grande amore e rispetto da parte della persona che prepara il corpo del defunto.
    Alcune persone fanno impagliare il proprio animale d’affezione, quando muore (oddio, era più facile in passato): “Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone” è il primo verso dell’” Amica di nonna Speranza” di Gozzano e anche il cane Bendicò veniva impagliato, nel Gattopardo (e, nel finale, il fatto che, ormai vecchio e impolverato venisse gettato tra i rifiuti era un’allegoria del mondo dei Salina in decadenza).
    Anche imbalsamare il cadavere di una persona cara o di un personaggio importante era pratica relativamente diffusa. Nel ventesimo secolo la ritroviamo soprattutto nel mondo comunista (Lenin, Stalin, Ho Chi Minh, Kim Jong-Il, Mao Tse Tung, Gottwald, Dimitrov), ma non solo: pensiamo a Eva Peron.
    I pontefici più che altro venivano sottoposti a un trattamento conservativo per preservare il corpo durante i Novendiali (e molto triste e squallida la vicenda di papa Pacelli, a riguardo).

    O pensiamo alla cripta dei Cappuccini di via Veneto a Roma, o a quello di Palermo o al cimitero delle Fontanelle e il culto delle “capuzzelle” a Napoli, oggetto di un culto affettuoso e paganeggiante: i teschi venivano “adottati”, ad esempio da una famiglia, curati, puliti, posti in teche, li si andava a visitare, si portavano loro fiori e doni, li si pregava per ottenere grazie (e magari, quando non si ottenevano, la capuzzella veniva ripudiata!).

    Mi pare che, nei secoli scorsi, si utilizzassero cadaveri “freschi” durante la settimana santa per raffigurare la crocefissione di Cristo, ma di questo non sono sicuro di ricordare bene, potrei sbagliarmi.

    Senz’altro da leggere la “Storia della morte in Occidente” di Aries.

    Pensiamo anche alla pratica delle fotografie “post mortem”, diffusa fino all’inizio del secolo XX. A volte, specie se il defunto era un neonato o un bambino, lo si fotografava ad occhi ancora aperti, addirittura posto in un atteggiamento naturale, come se fosse vivo.
    Per non parlare delle civiltà “primitive”, dove i corpi degli antenati venivano conservati, trattati, smembrati o a volte mangiati, le ossa utilizzate come monili e così via.
    Anche in questi casi non c’era volontà di profanare o dileggiare, tutt’altro, era una forma di rispetto e amore (pratiche analoghe d’imbalsamazione o alimentazione o uso del corpo a scopi decorativi avevano ovviamente tutt’altro significato quando riguardassero cadaveri di nemici uccisi).

    Qui si può leggere a riguardo in “La difficile eredità di Levi-Strauss” di Francesco Remotti:
    https://www.academia.edu/5778899/L%C3%A9vi-Strauss_e_gli_studi_andini

    Nel rituale del Chod tibetano (il buddismo in quelle aree si è fuso con la tradizionale religione Bön, a carattere animistico-sciamanico) si utilizza un flauto ricavato da un femore umano, detto Kangling.
    Nello Zoroastrismo si esponevano i corpi dei defunti sulle Torri del Silenzio, affinché fossero mangiati dagli uccelli. Per quella religione il corpo era impuro, il Fuoco (sacro) non doveva essere contaminato toccandolo e pure la putrefazione seguente all’inumazione era malvista perché contaminava la terra.
    Tuttavia non c’era volontà di offendere il defunto, anche se a noi l’immaginare un nostro parente morto mangiato dagli avvoltoi potrebbe sembrare orribile, non meno di impagliare un topolino posizionandolo come se suonasse uno strumento.
    Ecco, il modo di “trattare” i corpi può essere diverso nelle varie epoche e culture, ma anche pratiche per noi disdicevoli non sono necessariamente indice di disprezzo o derisione nei confronti del defunto o del suo corpo.

    Nella pratica tassidermica ci può essere più un elemento giocoso.
    Ecco, qui magari è questo ciò che può lasciare perplessi: non la semplice impagliatura (chiedo scusa per l’uso impreciso dei termini), ma il disporre il corpo in atteggiamenti curiosi o magari comici. Ecco quello che semmai può dispiacere o disgustare alcuni e dare l’impressione di mancanza di rispetto.
    La preparazione di “gioielli” e decorazioni (ad esempio con topolini o teste di coniglio, come in foto) è ancora più difficile da accettare, al di fuori dell’ambito goth-fetish magari, ma in effetti non è molto più “orribile” di una comune pelliccia o collo di volpe con tanto di testa, zampe e coda, come si usava fino a non molti anni fa.

    In questi casi (non parlo di pellicce e colli di volpe, ma della tassidermia “artistica”) può esserci molto forte un elemento giocoso, comunque un atteggiamento materialistico: il corpo dell’animale è solo un materiale come un altro. Non s’intende mancare di rispetto, come i cappuccini non volevano mancare di rispetto ai propri confratelli esponendone le mummie, con tanto di saio, nelle cripte delle chiese.
    Se c’è un gusto macabro (ad esempio alcuni goth indossano teschi di uccelli e altri piccoli animali) non è necessariamente un mancare di rispetto verso l’animale. Quanti goth vorrebbero anzi poter indossare ossa e teschi umani o parte di essi, potendolo fare?
    Questo avverrebbe, peraltro, senza che essi fossero considerati trofei (come invece avviene/avveniva presso popolazioni “primitive”, Nativi americani, eccetera).

    La chiesa di San Bernardino alle Ossa, a Milano, l’Oratorio della Confraternita dei Sacconi Rossi all’Isola Tiberina a Roma sono meno giocose (è più un utilizzare le ossa come “memento mori”), ma altrettanto non irrispettose del cadavere.

    Queste pratiche di “tassidermia artistica” possono essere magari un modo per esorcizzare la morte o semplicemente vedere il corpo come “materia”. Un vegano antispecista che svolga questi “lavori” a mio avviso non è in contraddizione, a patto che sia disposto a farlo (avendone la possibilità) anche con corpi di esseri umani, oltre che di altri animali e che, ovviamente, come detto, utilizzi animali provenienti da “fonti etiche”, ovvero non uccisi appositamente.

    Queste sono solo mie riflessioni generiche e probabilmente opinabili. Solo per portare elementi di discussione su questo non facile tema. Mi rendo conto che non sia facile accettarle. Io personalmente non amo la tassidermia in generale, ma ritengo che gli esempi di queste foto non siano “peggio” di quella tradizionale e comunque, in un’ottica materialistica e magari un po’cinica, non sia una pratica “specista”.
    A patto, ripeto, di non considerarla diversa e “più accettabile” di una pratica analoga operata su corpi di individui della specie umana.
    Non so se mi sono riuscito a spiegare, scusate!

  7. Sotto Tre Demoni says:

    Altri due appunti a caso, buttati alla come capita.
    Aggiungo (anche se ovviamente se n’è già trattato) i vari musei anatomici, in cui spesso i corpi, trattati, sono posti in atteggiamento “da vivi”.
    Ad esempio, mi pare che nel museo dell’Arte Sanitaria dell’Ospedale Santo Spirito a Roma, si conservi anche il corpo di un bambino macrocefalo, di pochi anni, imbalsamato o pietrificato secondo non so quale procedimento. Il corpo (anche se, a scopo scientifico, non sarebbe stato necessario), è posto come se fosse seduto, con la testa appoggiata malinconicamente su una mano.
    Può sembrare macabro o sadico, forse, ma non penso che l’”autore” intendesse dileggiare il bambino morto (probabilmente un orfano abbandonato).
    Poi ricordiamo che il Positivismo ottocentesco era di per sé alquanto cinico, nel suo materialismo “scientista”: i corpi erano una splendida materia da studiare e basta. Poteva anche capitare che questo portasse a… giocarci un po’.
    Ecco, magari possiamo ritenere barbaro o irrispettoso quest’atteggiamento, ma medici e ricercatori non penso fossero necessariamente scienziati pazzi, anzi spesso erano dei filantropi, progressisti, laici, eccetera, pur con tutti i limiti della loro epoca. Di fatto penso (e spero) che fondamentalmente fossero mossi da “amore” per l’umanità, nelle loro ricerche e studi su corpi umani. Poi un po’di “indurimento” capita, come capita a tanti che abbiano a che fare con cadaveri eccetera e quindi una forma di autodifesa psicologica può essere anche il rovesciare la cosa in senso ludico.
    Il discorso degli animali, sempre parlando del passato, era diverso: erano considerati ovviamente inferiori e non si provava per loro alcun rispetto (non dissimilmente da quanto accade ancora oggi nei laboratori).

    Ecco, questo degli studiosi ed anatomisti del passato credo possa essere un altro paragone per dire che una persona possa essere coerentemente vegana/antispecista ma realizzare opere di tassidermia anche “giocosa” od artistica. A me non verrebbe mai in mente, ripeto, non amo la tassidermia e cose simili in generale, come non amo le tecniche conservative sui cadaveri, pietrificazione, eccetera (anche se riconosco la loro utilità a livello scientifico), ma forse per qualcuno è diverso.
    Idem, io se ho a che fare con il corpo di un gatto (se un mio gatto muore o se trovo un randagio morto), ad esempio, lo tratto con cura e delicatezza, lo prendo in braccio, eccetera, come se fosse vivo, per spostarlo o seppellirlo (del resto è lo stesso se ho a che fare anche con un animale di pelouche o una bambola). Un senso di “pietas” che magari non è diversa da quella dell’Antigone sofoclea.
    Altri “gattofili”, magari che fanno i salti mortali, sono volontari in gattili e colonie, eccetera, oppure veterinari (e ci sono tanti veterinari che sono davvero “amanti degli animali”, svolgono il proprio lavoro con impegno, attenzione, rispetto, empatia verso l’animale ed il suo “proprietario” e sono sinceramente dispiaciuti, al di là dell’aspetto professionale ed economico, quando un loro paziente muore), in questi casi sono più sbrigativi: ormai è morto, non prova più sofferenza, quindi possono prenderli anche per una zampa, come se fosse uno straccio, metterli nel sacco di plastica o gettarli nell’inceneritore e amen.

    Ripeto, comprendo la reazione di Natasha (che spero possa leggere questi appunti) ed ha tutta la mia simpatia e partecipazione. Solo forse non sarei necessariamente altrettanto drastico a priori.

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