La canzone proposta in questa puntata della nostra rubrica non è incentrata direttamente sulla morte, quanto piuttosto su una personale visione del passare del tempo. Si tratta della splendida Who Knows Where The Time Goes? di Sandy Denny.
La cantante ed autrice inglese la incise una prima volta con gli Strawbs nel 1967; preferiamo questa versione, più intimista e dall’arrangiamento minimale, rispetto a quella più conosciuta che verrà registrata due anni più tardi con i Fairport Convention per il loro classico album Unhalfbricking. Questo gruppo, com’è risaputo, diede l’avvio alla corrente folk rock inglese, realizzando (in contemporanea con i meno noti Pentangle) un’originale fusione di musica tradizionale e sonorità rock. L’inconfondibile voce di Sandy Denny, dolce ma a tratti ombrosa ed evocativa, giocò un ruolo fondamentale nel successo della band; e non è un caso che sia stata anche l’unica interprete femminile a collaborare con i Led Zeppelin, nella celebre The Battle od Evermore. Scomparsa prematuramente nel 1978 a causa di un banale incidente domestico, la fama postuma di Sandy crescerà negli anni, tanto che oggi le è riconosciuto un posto di rilievo nella storia della musica inglese.
La meditazione sull’inevitabile scorrere del tempo trova avvio dalla contemplazione di una spiaggia deserta e degli stormi di uccelli che stanno prendendo il largo, iniziando l’annuale migrazione. Sostenuta dalla delicata progressione di accordi della chitarra, l’autrice si stupisce dell’enigmatica ed innata conoscenza che gli animali sembrano possedere delle stagioni; eppure tutto, nel quadro dipinto dalle parole della canzone, è immerso nello stesso senso di meraviglia e di sospeso incanto. Perfino la costa solitaria pare a suo modo vivere e respirare, tanto che l’autrice si rivolge direttamente ad essa, per confortarla; e su tutto domina il tempo, che scandisce i mutamenti della natura in modo inconoscibile.
Eppure il tempo, questa strana entità invisibile, non è foriero di angosce, come in altri casi, bensì di una peculiare pace interiore. In questo senso, il testo ricorda da vicino questa poesia di Jacques Prévert:
Quel jour sommes-nous?
Nous sommes tous les jours
Mon amie
Nous sommes toute la vie
Mon amour
Nous nous aimons et nous vivons
Nous vivons et nous nous aimons
Et nous ne savons pas ce que c’est que la vie
Et nous ne savons pas ce que c’est que le jour
Et nous ne savons pas ce que c’est que l’amour.
Che giorno siamo?
Siamo tutti i giorni
Amica mia
Siamo tutta la vita
Amore mio
Noi ci amiamo e viviamo
Viviamo e ci amiamo
E non sappiamo cosa sia la vita
E non sappiamo cosa sia il giorno
E non sappiamo cosa sia l’amore.
Anche per Sandy Denny siamo circondati da misteri più grandi di noi che ci governano, ma sono misteri colmi di bellezza e, suggerisce il testo, di amore: perché ostinarsi a volerli controllare?
Il segreto è sotto gli occhi di tutti, sembra dire l’autrice. È nella resa e nell’abbandono all’incessante fluire delle cose. Si tratta di accordarsi in modo semplice e istintivo al ritmo universale, che dissolve ogni dubbio, qualsiasi timore e tutte le nostre sterili domande sul futuro e sull’inevitabile fine: la morte è simile alla partenza degli stormi di uccelli, un movimento naturale che avviene quando deve avvenire (until it’s time to go); non vi è più angoscia, soltanto un commosso e sognante abbandono.