Nell’area di Pittsburgh, Pennsylvania, circola una leggenda metropolitana, quella del Green Man, chiamato anche Charlie No Face. Si tratta di una creatura mostruosa, un uomo senza faccia che si aggira di notte lungo le strade meno battute, alla ricerca di una vittima a cui rubare il volto che gli manca. È la classica storia che si racconta attorno al fuoco di un campeggio, o ai bambini per minacciarli se non fanno i bravi: “Se resti fuori dopo il tramonto, Charlie No Face verrà a prenderti”.
Come accade con tutte le leggende urbane, le declinazioni della favola sono molteplici: il Green Man, dalla pelle verdastra e fosforescente, è di volta in volta un fantasma, un orco, un povero operaio caduto in una vasca di acido, un elettricista colpito da un fulmine e dato per morto che vive nascosto in un vecchio capanno abbandonato… è stato avvistato in una mezza dozzina di posti diversi, come la strada fra Koppel e New Galilee, oppure un’area industriale deserta a New Castle, o ancora un tunnel dismesso della ferrovia a South Park, e via dicendo.
Certo, questa è la leggenda. Pochi sanno, però, che Charlie No Face non è affatto un personaggio di fantasia.
Il 18 Giugno 1919 un gruppo di ragazzini stava andando a farsi una nuotata in un’ansa del fiume Beaver, quando arrivarono al ponte di Morado che si innalzava sopra alle acque del Wallace Run. Si trattava di un grande ponte in legno su cui passava una linea di tram elettrici che connettevano le cittadine di Beaver Falls e Big Beaver: la massiccia struttura del ponte era un’attrazione conosciuta per la gioventù del luogo, che spesso si avventurava a scalarlo. Quel giorno, i ragazzini avvistarono un nido che qualche uccello aveva costruito proprio fra le assi più alte del ponte.
Cominciarono a sfidarsi su chi avrebbe avuto il coraggio di andare a controllare quanti uccelli c’erano nel nido: fu un bambino di soli otto anni, Ray, che salì verso la cima del ponte.
Purtroppo, sul Morado Bridge passavano due linee elettriche, una della potenza di 1.200 volt continui, e l’altra di 22.000 volt di corrente alternata. Il bambino per salire si aggrappò ad un cavo, e restò folgorato dall’immensa scossa, mentre il suo corpo letteralmente bruciava prima di staccarsi infine dai cavi e precipitare giù.
“Ponte di Morado, bambino di 8 anni folgorato da cavo scoperto, in punto di morte“, titolava la gazzetta di Beaver Falls il giorno dopo. In effetti non c’erano quasi speranze per il piccolo Ray; eppure, dopo un mese passato fra la vita e la morte, la sua salute cominciò a migliorare. Raymond Robinson sopravvisse, ma la sua faccia era stata completamente sciolta dalla corrente. Non aveva più occhi, né naso; le labbra erano completamente sfigurate, così come le orecchie. Il braccio con cui era rimasto attaccato al cavo aveva dovuto essere amputato sotto il gomito, e il petto era un’unica, enorme cicatrice.
Ritornato a casa sua dopo i lunghi mesi d’ospedale a Pittsburgh, Ray non lasciò mai più Koppel. Con un’amorevole famiglia che si prendeva cura di lui, si apprestò a vivere una vita da recluso, conscio che il suo aspetto avrebbe terrorizzato la gente. Nonostante fosse cieco, dava una mano in casa costruendo cinture, portafogli e altri oggetti da vendere; aveva una grande collezione di rompicapi di metallo, fatti di ferri di cavallo, tubi e molle, che risolveva abilmente per stupire i nipotini. Amava passare una vecchia falciatrice sull’erba del giardino, di tanto in tanto, e anche se qualche punto del prato non era ben rasato, i familiari non correggevano mai i suoi errori. Il fatto è che Ray, a detta di tutti i suoi parenti, era una persona di una gentilezza unica; tutti coloro che lo conoscevano bene avvertivano l’istinto e il dovere di proteggerlo dal mondo esterno, che sapevano poter essere crudele nei suoi confronti.
Nelle rare occasioni in cui doveva proprio mostrarsi a qualche estraneo, Raymond indossava un naso prostetico collegato a un paio di occhiali da sole. “Non discuteva mai delle sue ferite o dei suoi problemi” – racconta il nipote di Ray – “Era soltanto una realtà, e non c’era nulla che ci potesse fare, perciò non ne parlava mai. Non si è mai lamentato di niente”.
Eppure evidentemente quella vita gli stava un po’ stretta, Raymond aveva bisogno di un suo spazio privato, di qualcosa che lo facesse sentire più autonomo e meno dipendente dalla famiglia. Fu così che cominciò a passeggiare di notte lungo la strada statale 351 fra Koppel e New Galilee. Aiutandosi con un bastone, metteva un piede sull’asfalto e uno sui sassi a bordo carreggiata: con questo metodo avanzava seguendo la strada.
Le passeggiate notturne di Ray Robinson divennero presto una routine. Verso le 10 di sera egli afferrava il suo bastone e usciva di casa nella notte, sordo alle proteste di sua madre e del patrigno. “Perché devi per forza andare?”, chiedevano, ma Ray si incamminava lo stesso. Era il suo momento di libertà.
Presto si sparse la voce che c’era un uomo mostruoso che camminava la notte, sempre lungo la stessa strada, e per i teenager locali una storia simile era ovviamente un’attrattiva irresistibile. Nelle calde sere d’estate in cui non c’era nulla da fare, i ragazzi cominciarono a guidare su e giù per il tratto di statale per riuscire a vederlo. Ogni tanto ci riuscivano, e la storia si ingigantiva.
Raymond si nascondeva dietro gli alberi, appena sentiva una macchina avvicinarsi, e dava poca confidenza agli estranei. Spesso questi ultimi lo insultavano e beffeggiavano in modo sadico. Altre volte, invece, gli capitava di incontrare dei ragazzi che gli offrivano delle birre o delle sigarette per scambiare due parole, o per potersi fare una foto assieme a lui. Più di una volta tornò a casa ubriaco, sconvolgendo la madre perché in casa sua non si era mai consumata nemmeno una goccia di alcol.
Le passeggiate notturne di Raymond divennero una vera e propria attrazione ad un certo punto, tanto che la fila di macchine sulla statale 351 alcune sere aveva addirittura richiesto l’intervento della polizia. Fu più o meno in questo periodo che vennero coniati i nomignoli Charlie No Face e Green Man. Diverse volte Ray venne investito dalle automobili, diverse volte finì talmente ubriaco da perdere la strada per tornare a casa – lo trovarono i familiari, riverso sul bordo della strada, sfinito dopo aver vagato per ore nei boschi.
Raymond continuò a passeggiare quasi ogni notte, dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’70, incurante della leggenda che si stava creando attorno alla sua figura. Negli ultimi anni della sua vita venne trasferito al Beaver County Geriatric Center, e lì morì nel 1985 a 74 anni. Ma ancora oggi egli è a suo modo presente, vero e proprio mito popolare moderno, nelle storie e nei racconti tramandati di generazione in generazione.
(Grazie, Slago!)
leggevo per caso la settimana scorsa proprio di Charlie, quindi conoscevo già la vicenda, ma come sempre devo farti i complimenti per l’ottima scrittura e la sensibilità che si percepisce in ogni argomento trattato.
L’anno scorso mi sono letta tutto il blog in pochi giorni 🙂
peccato che non esista una pagina ufficiale su FB
Non sono contrario ai social per principio (infatti da un po’ esiste l’account Twitter di BB), ma Facebook è fra i peggiori, in molti sensi. Per questo niente pagina FB, chiedo venia. 🙂
ecco, manco a farlo apposta ho appena visto questo, magari ci può essere qualche spunto interessante (però.. l’ho visto su FB ^__^’…)
http://live.huffingtonpost.com/r/archive/segment/53c967c7fe3444aab1000307
Grazie per la segnalazione. Ovviamente seguo sempre le iniziative del museo e sono in contatto con Joanna di Morbid Anatomy, uno dei siti (e dei progetti) più belli del mondo. 🙂
aha ecco XD
Grazie mille per l’articolo, davvero molto interessante!
Grazie a te per aver preso il tempo di commentare.
Nel pezzo c’è scritto che il braccio amputato era il sinistro, ma dalle foto sembrerebbe il destro a essere stato rimosso. Una tua svista?
ciao!
Sinceramente non saprei. Le fonti che ho consultato parlano del braccio sinistro. Le foto provengono dal web, come spesso accade per i miei articoli, e non ti so dire se siano state flippate orizzontalmente (magari per aggirare eventuali diritti) o meno.
Perdonami bizzarro, ma anche se fossero state flippate orizzontalmente il braccio mancante nelle foto rimane sempre il destro. In ogni caso complimenti per questo articolo e per tutti gli altri, sono una grande appassionata di storie del genere ed i tuoi articoli non mi deludono mai.
L’unica delle foto che legittima tutto questo discorso è quella in cui si legge “U.S. Army” sulla giacca, e che evidentemente non può essere stata flippata.
Comunque la fonte principale che ho usato per l’articolo (Times Online) dice testualmente:
A dirla tutta lo ritengo sinceramente un dettaglio di poco conto, su cui non ho voglia né tempo di indagare in maniera approfondita; per tagliare la testa al toro ho modificato la frase incriminata nel mio post, in modo da non specificare se si tratti del sinistro o del destro. Rimarrà per sempre un mistero! 😀
Sai sempre come attirare la mia attenzione. Anche se sto facendo qualcosa di importante, devo prima finire di leggere. Non posso distogliere lo sguardo dalle storie che racconti.
Un lavoro impeccabile, come ogni volta.
Finiti gli elogi, passerei alla filosofia da quattro soldi: non siamo forse tutti dei No Face, noi che preferiamo celarci dietro un avatar e che cerchiamo i rapporti prevalentemente attraverso uno schermo? No, scherzo. Era una frase fatta, buttata lì a caso.
In realtà, pensando alla storia, mi piace credere che in questo mondo ci sarà sempre posto per i “freak”.
“L’unico vero mostro è la solitudine.” (cit.)
Per Ray c’è sempre stato qualcuno che gli ha voluto bene, ed è questo che rende il tutto una bella storia, da sorriso finale di compiacimento stampato sulle labbra!
Concordo. Umanamente la vicenda di Ray ci colpisce positivamente perché in definitiva egli ha potuto contare su una famiglia protettiva. Non è così per tanti altri “diversi” che soffrono della loro condizione in assoluta solitudine.
Ma la storia di Ray è interessante soprattutto per il suo rapporto con la creazione e la diffusione delle leggende urbane.
Giusto. Ma io sono sempre stato dell’idea che in ogni credenza c’è un fondo di verità (colpa di anni di X-Files e Dylan Dog).
Ora però mi sento costretto a citare un classico: “In ogni credenza c’è un fondo di verità. In ogni cucina c’è una credenza. Significa che le cucine sono vere.”
La verità è là fuori, nel magazzino di un grossista di credenze.
😀
Molto triste.
Sarebbe una storia adatta per il mio forum sui freak, posso “rubartela”? (senza fare copia-incolla 🙂 ). Altrimenti la posti tu?
Al momento faccio un po’ fatica, ma sai che amo il tuo forum… puoi postarla tu se vuoi, magari specifica la fonte. 😉
Ok, grazie! Tranquillo, anch’io faccio fatica a star dietro a tutto.
Posso sapere che forum è? …
E’ Freaks Forum. 😉
Grazie per come racconti queste storie misteriose.
Grazie a te!
Si, triste e spaventoso, però il post è fantastico. Purtroppo tutte le storie infarcite di particolari morbosi attirano sempre.
“Purtroppo”?
Io sono un grande sostenitore del morboso. La malattia va assolutamente rivalutata. 🙂
…mamma mia. Finalmente ho trovato pane per i miei denti 🙂 abituata a fare ricerche e approfondimenti per lavoro, mi trovo spesso a vagare nel web inciampando (spesso consapevolmente) nelle stranezze più pulp. Non so cosa tu intenda affermando che la malattia vada rivalutata, però quando scoprii che ci sono ferventi appassionati di soggetti con arti amputati (attirati solo da questo, e qui scende un velo di tristezza) passò anche per la mia testa questo pensiero. Comunque, piacere di conoscerti!
Pensa che di amanti delle amputazioni abbiamo parlato in uno dei primissimi post qui su BB. 🙂
Quello che intendo con “rivalutazione” della malattia è un concetto delicato e complesso, ma in sostanza significa che il morbo è fatto innanzitutto culturale, e il nostro atteggiamento “o bianco o nero” ci impedisce spesso di riconoscere nella malattia degli aspetti di bellezza, esotismo, poesia, meraviglia. Oppure, se ce ne rendiamo conto, ci sentiamo in colpa per aver anche solo pensato che la malattia possa avere lati così positivi.
Allo stesso modo, non esiste a mio avviso curiosità che sia “morbosa”, vergognosa, malata. La curiosità è ciò che ci permette di evolvere ed adattarci – tutto il contrario di qualcosa di malato (etimologicamente, “mal atto”, poco adatto). 😉
Non faccio che parlare ai miei amici di questo blog.
Pubblicherai mai una raccolta? Sarebbe un bellissimo regalo da fare o da farsi.
Letto ascoltando
http://www.youtube.com/watch?v=_NEZTVMf4VA
Abbi fede… se tutto va bene, fra qualche mese potrebbe esserci qualcosa di meglio di una raccolta… ma ancora non posso sbilanciarmi. 😉
Non poteva che essere una risposta piena di suspense 🙂
Comunque il pezzo che hai consigliato è straordinario. Mi ricorda i brani più lenti e cupi dei Lounge Lizards. Grazie!
Bellissimo articolo. Torno spesso su BB per vedere se hai pubblicato qualcosa di nuovo ma questa volta devo farteli ste complimenti. Sarà che in fondo questa storia è “positiva” ed il povero bambino di 8 anni ha comunque potuto avere una vita. Forse non è pertinente ma terminata la lettura dell’articolo mi è subito venuta malinconia pensando ad Elephant Man di David Lynch: quanto piansi…ho il dvd ma non riesco a guardarlo….
Grazie per i complimenti. Per inciso, della triste storia di Joseph Merrick ho parlato qui. 🙂
Visto che si è trasformato in un post di complimenti, volevo ribadire i miei. Ti seguo dall’inizio o quasi e non commento mai, ma la qualità di questo blog è straordinaria.
Mi prendo la libertà di suggerire due argomenti che forse possono essere di tuo interesse – spero che non sia inopportuno: le workhouse inglesi (ho trovato documenti interessanti qui http://www.workhouses.org.uk/intro/ e recentemente c’è stato il caso dei bambini sepolti sotto quella ex workhouse irlandese), e la carestia in ucraina – trovo siano argomenti poco conosciuti in Italia e “in tema” – so che ne faresti ottimi articoli.
A parte questo inciso, ancora grandissimi complimenti!
Grazie per le segnalazioni e per i complimenti, E.! 😉
ciao, anche io ti seguo da molto e non commento mai, e anche io approfitto per complimentarmi per questa storia, che mi é piaciuto e mi ha fatto riflettere su quanto siano stupidi molte delle lamentele che faccio , e per consigliarti un’ argomentaccio strano, che piu che una fobia dalle ricerche che ho fatto e quel poco che ho trovato, mi sembra un nuovo viral internettiano, si tratta della “trypophobia” in ogni caso, per me questa conoscenza é stata davvero shoccante e fastidiosa, te ne consiglio la ricerca solo perché sei un vero ammante del bizzarro e magari puoi farci uscire qualcosa di interessante!
saluti, Lorenzo
perdona il pessimo italiano, praticamente sto dormendo
Ciao Lorenzo, grazie per la segnalazione. La lista delle fobie umane è pressoché infinita, perché si tratta di fenomeni nei quali il trauma e l’oggetto spesso non hanno relazione fra di loro. Può accadere che se un ragno ti spaventa da bambino, tu sviluppi una fobia per i ragni; ma può anche succedere che tu scopra di avere una paura incontrollabile di qualcosa che non ha alcuna evidente connessione con il tuo vissuto. Ho visto una ragazza essere vittima di un fortissimo attacco di panico alla vista delle radici di una pianta strappata (la sua fobia era specifica per quelle radici che trattengono ancora della terra smossa). Puoi trovare una lista alfabetica delle fobie conosciute e categorizzate su questa pagina.
Bella storia, triste e per certi versi commovente…mi ha ricordato un po’ la storia di Elephant Man…grazie del lavoro che fai, attendo sempre con piacere la pubblicazione dei nuovi articoli.
Grazie a te, Misternice.
Avevo gia’ sentito di persone che per incidenti piu’ o meno gravi, subìssero la perdita pariziale o totale della faccia…Questo e’ il caso a mio avviso piu’ eclatante, che mi hai fatto venire in mente..https://www.youtube.com/watch?v=b7Lg_mNM4bQ