Ah, se solo foste un po’ più vicini…:-) Contate di replicare l’iniziativa?
P.S.: riguardo la tua introduzione: la mia impressione (ma non ho dati solidi con cui confortarla: è, appunto, solo un’impressione) è che, più che la morte in se, ci facciano paura i corpi dei morti; credo, per un’estensione del fatto che ci fa paura il corpo, nel momento in cui viene riportato alla sua condizione di insieme di materia “vile”, non diversa dal fango (con cui siamo stati forgiati secondo la Bibbia) o, che so, dall’acqua stagnante di un fosso. Tu che ne pensi?
Guarda Gabriele, che il cadavere sia tabù non ci piove, ma un tempo lo era molto meno; secondo te, perché il cadavere fa più paura oggi che in passato? E’ solo questione di familiarità/abitudine, o c’è di più?
Va ricordato che la paura della morte è composita, complessa, e se non bastasse cambia pure nel tempo. Se la salma è diventata così scandalosa, è proprio perché a monte c’è stata una secolarizzazione, uno shift nella sensibilità ma anche nella concezione del mondo.
La paura della morte infatti non si limita alla nostra poca familiarità con il corpo di un defunto, ma vi si aggiungono altri tipi di insicurezze e inquietudini esistenziali. Tutto è relativo alla nostra visione ontologica, a come ci inseriamo nel cosmo, a quale aldilà prevediamo, se lo prevediamo, ecc. Questa narrativa non è influenzata solo dalla teologia o dalla filosofia, ma da mille rielaborazioni e influenze occorse nei secoli, e in questo hanno un ruolo anche l’arte o il folklore.
All’interno della cristianità stessa, per esempio, trovi visioni della morte contrapposte: quella del Qohelet, essenzialmente disperata, in cui morte = mancanza di senso, ma anche quella di San Francesco in cui invece la morte è sorella, quindi i giusti non hanno nulla da temere. La paura culturale della morte nel Medioevo non era già più legata all’impermanenza paventata dell’Ecclesiaste (“oddio di me non resterà nulla”) ma piuttosto quella del giudizio (“oddio andrò in Purgatorio”)… e quindi vai di cilicio! E pensa infatti al successo della manualistica stile Ars moriendi. Anche dal punto di vista iconografico ci sono stati mille modi di approcciare le allegorie relative alla morte.
E’ dunque questione di immaginario, ne sono convinto, prima ancora di arrivare al vero e proprio contatto fisico con le spoglie. E’ questione di come pensiamo al defunto (come carne morta? come antenato?, ecc.) e, soprattutto, di geopolitica dell’aldilà. 🙂
“La morte ci spaventa perché ci hanno insegnato che deve farlo. Perché ce l’hanno raccontata così.”
e l’hanno fatto per instillarci l’urgenza di vivere, l’imperativo di non sprecare il poco tempo concesso. Non va bene essere a proprio agio con la morte.
Certo, tutti ne hanno bisogno. E’ l’esatto motivo per cui si spaventa chi si vuole avvertire. Sui cartelli di pericolo di morte vengono rappresentati un teschio e due femori incrociati (simbolo universalmente riconosciuto) non una lunga e dettagliata spiegazione su perchè venire folgorati non va bene.
Non ci stiamo capendo. Tu dici “se non ho più paura della morte, attraverso la strada senza guardare”. E ok, siamo d’accordo, quella paura lì serve e ci tiene in vita.
Io sto parlando del tabù culturale della morte. La paura di parlarne, perfino di ammettere che esista.
Il mio è un invito a rifletterci, affrontarla, discuterne. Fare finta che non ci sia, non volerla neanche sentire nominare – ecco, quello sì che rischia di farci sprecare tempo prezioso e talvolta comporta perfino dei terribili rimpianti. Se invece tieni ben presente che questo tempo (il tuo, ma anche quello delle persone che ami) non è infinito, allora cerchi di renderlo più significativo.
“Ci hanno insegnato a temere la morte perchè deve farlo. Ecco perchè ce l’hanno raccontata così.”
Messa così mi sembra un po’ più clemente e giusta verso i millenni di storia che ci hanno preceduti. Capisco benissimo l’interesse nell’analizzare i motivi culturali e antropologici, le scelte iconografiche e tutto il resto. Volevo solo spezzare una lancia in favore di chi ha creato una visione della morte orrorifica per educare rapidamente le nuove generazioni aspettando che fossero abbastanza grandi per capire.
Sì, ma in questi anni la sensibilità è cambiata, (per esempio è anche sorto il movimento DeathPositive, di cui ho parlato a più riprese su queste pagine). L’idea è quella di sollevare il divieto sociale rispetto all’argomento, e di cercare nuove narrative – più adatte al nostro tempo – per affrontare il tema.
Quanto ai millenni di storia che ci precedono, in realtà non sono mai stati così compatti nel fornirci una “visione orrorifica” della morte. Spesso risulta tale solo a un livello superficiale, ma se si studia un po’ la simbologia si scopre che era in realtà una prospettiva salvifica, inquadrata in un’ottica fideistica, ecc. Non voglio risultare pedante, ma la paura totalizzante della morte storicamente è apparsa solo all’inizio del Ventesimo secolo, con la Grande Guerra e la medicalizzazione del fine vita. E’ qualcosa, insomma, di molto recente. Possiamo ancora modificare questo sentimento, affrontando il tabù a viso aperto, e credo che questo sia un processo salutare. “La morte ci spaventa perché ci hanno insegnato che deve farlo”: ma non è vero, non deve per forza farlo. La morte è un processo naturale, non siamo infiniti. Negare l’evidenza è una strategia che a lungo termine provoca più danni che vantaggi, come tutti gli studi psicologici al riguardo sembrano confermare.
Ah, se solo foste un po’ più vicini…:-) Contate di replicare l’iniziativa?
P.S.: riguardo la tua introduzione: la mia impressione (ma non ho dati solidi con cui confortarla: è, appunto, solo un’impressione) è che, più che la morte in se, ci facciano paura i corpi dei morti; credo, per un’estensione del fatto che ci fa paura il corpo, nel momento in cui viene riportato alla sua condizione di insieme di materia “vile”, non diversa dal fango (con cui siamo stati forgiati secondo la Bibbia) o, che so, dall’acqua stagnante di un fosso. Tu che ne pensi?
Guarda Gabriele, che il cadavere sia tabù non ci piove, ma un tempo lo era molto meno; secondo te, perché il cadavere fa più paura oggi che in passato? E’ solo questione di familiarità/abitudine, o c’è di più?
Va ricordato che la paura della morte è composita, complessa, e se non bastasse cambia pure nel tempo. Se la salma è diventata così scandalosa, è proprio perché a monte c’è stata una secolarizzazione, uno shift nella sensibilità ma anche nella concezione del mondo.
La paura della morte infatti non si limita alla nostra poca familiarità con il corpo di un defunto, ma vi si aggiungono altri tipi di insicurezze e inquietudini esistenziali. Tutto è relativo alla nostra visione ontologica, a come ci inseriamo nel cosmo, a quale aldilà prevediamo, se lo prevediamo, ecc. Questa narrativa non è influenzata solo dalla teologia o dalla filosofia, ma da mille rielaborazioni e influenze occorse nei secoli, e in questo hanno un ruolo anche l’arte o il folklore.
All’interno della cristianità stessa, per esempio, trovi visioni della morte contrapposte: quella del Qohelet, essenzialmente disperata, in cui morte = mancanza di senso, ma anche quella di San Francesco in cui invece la morte è sorella, quindi i giusti non hanno nulla da temere. La paura culturale della morte nel Medioevo non era già più legata all’impermanenza paventata dell’Ecclesiaste (“oddio di me non resterà nulla”) ma piuttosto quella del giudizio (“oddio andrò in Purgatorio”)… e quindi vai di cilicio! E pensa infatti al successo della manualistica stile Ars moriendi. Anche dal punto di vista iconografico ci sono stati mille modi di approcciare le allegorie relative alla morte.
E’ dunque questione di immaginario, ne sono convinto, prima ancora di arrivare al vero e proprio contatto fisico con le spoglie. E’ questione di come pensiamo al defunto (come carne morta? come antenato?, ecc.) e, soprattutto, di geopolitica dell’aldilà. 🙂
Interessante questo tuo approfondimento, grazie per avermelo regalato :-). Dovrò rifletterci su…
Quel che non mi piace della morte é che prima devi farti un mazzo cosí. ?
E’ quello che non piace della vita! 😀
“La morte ci spaventa perché ci hanno insegnato che deve farlo. Perché ce l’hanno raccontata così.”
e l’hanno fatto per instillarci l’urgenza di vivere, l’imperativo di non sprecare il poco tempo concesso. Non va bene essere a proprio agio con la morte.
Per non sprecare il tuo tempo, e avvertire l’urgenza di vivere, hai davvero bisogno della paura della morte?
Certo, tutti ne hanno bisogno. E’ l’esatto motivo per cui si spaventa chi si vuole avvertire. Sui cartelli di pericolo di morte vengono rappresentati un teschio e due femori incrociati (simbolo universalmente riconosciuto) non una lunga e dettagliata spiegazione su perchè venire folgorati non va bene.
Non ci stiamo capendo. Tu dici “se non ho più paura della morte, attraverso la strada senza guardare”. E ok, siamo d’accordo, quella paura lì serve e ci tiene in vita.
Io sto parlando del tabù culturale della morte. La paura di parlarne, perfino di ammettere che esista.
Il mio è un invito a rifletterci, affrontarla, discuterne. Fare finta che non ci sia, non volerla neanche sentire nominare – ecco, quello sì che rischia di farci sprecare tempo prezioso e talvolta comporta perfino dei terribili rimpianti. Se invece tieni ben presente che questo tempo (il tuo, ma anche quello delle persone che ami) non è infinito, allora cerchi di renderlo più significativo.
“Ci hanno insegnato a temere la morte perchè deve farlo. Ecco perchè ce l’hanno raccontata così.”
Messa così mi sembra un po’ più clemente e giusta verso i millenni di storia che ci hanno preceduti. Capisco benissimo l’interesse nell’analizzare i motivi culturali e antropologici, le scelte iconografiche e tutto il resto. Volevo solo spezzare una lancia in favore di chi ha creato una visione della morte orrorifica per educare rapidamente le nuove generazioni aspettando che fossero abbastanza grandi per capire.
Sì, ma in questi anni la sensibilità è cambiata, (per esempio è anche sorto il movimento DeathPositive, di cui ho parlato a più riprese su queste pagine). L’idea è quella di sollevare il divieto sociale rispetto all’argomento, e di cercare nuove narrative – più adatte al nostro tempo – per affrontare il tema.
Quanto ai millenni di storia che ci precedono, in realtà non sono mai stati così compatti nel fornirci una “visione orrorifica” della morte. Spesso risulta tale solo a un livello superficiale, ma se si studia un po’ la simbologia si scopre che era in realtà una prospettiva salvifica, inquadrata in un’ottica fideistica, ecc. Non voglio risultare pedante, ma la paura totalizzante della morte storicamente è apparsa solo all’inizio del Ventesimo secolo, con la Grande Guerra e la medicalizzazione del fine vita. E’ qualcosa, insomma, di molto recente. Possiamo ancora modificare questo sentimento, affrontando il tabù a viso aperto, e credo che questo sia un processo salutare. “La morte ci spaventa perché ci hanno insegnato che deve farlo”: ma non è vero, non deve per forza farlo. La morte è un processo naturale, non siamo infiniti. Negare l’evidenza è una strategia che a lungo termine provoca più danni che vantaggi, come tutti gli studi psicologici al riguardo sembrano confermare.