In the 10th episode of Bizzarro Bazar Web Series: the psychedelic story of crainal trepanation advocates; the african fetish hiding a dark secret; the Club that has the most macabre initiation ritual in the whole world.
[Be sure to turn on English captions]
And so we came to the conclusion … at least for this first season.
Will there be another one? Who knows?
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Il Cinema, pensatelo che arriva da voi a bordo di un fuoristrada ammaccato e impolverato; dopo una giornata di sudore e fatica, immaginate che il Film vi attenda nel fresco della notte, quando le ombre sono calate, per raccontarvi storie di eroi e terribili pericoli.
Negli anni ’80, in Ghana, non era facile andare al cinema. La corrente elettrica era ancora poco diffusa, e per questo motivo le sale di proiezione si trovavano soltanto nei grossi centri. Per chi viveva nei villaggi, muoversi per raggiungere il cinema avrebbe comportato una spesa impossibile.
Ma con l’arrivo del videoregistratore, le cose cambiarono. I proprietari dei cinema decisero di portare i film in giro per il paese, per massimizzare i profitti. Nelle piccole comunità rurali cominciarono ad arrivare, dalla capitale Accra, i cosiddetti “cinema mobili”: si trattava in realtà molto spesso di un semplice televisore, a cui era collegato un videoregistratore; il tutto era supportato da un vecchio e rumoroso generatore. In altri casi i cinema mobili erano organizzati un po’ meglio, con un videoproiettore e un minischermo che veniva drizzato sulla stessa automobile scassata su cui viaggiavano i proiezionisti.
Tutta la gente del paese, dopo una dura giornata di lavoro nei campi, poteva finalmente raggrupparsi e passare un paio d’ore di divertimento assistendo a spettacoli provenienti da Hollywood, ma non solo. Venivano proposti anche film di kung fu e arti marziali, così come gli ultimi successi di Nollywood (l’industria cinematografica nigeriana).
I proprietari dei cinema artigianali che attraversavano il Ghana in lungo e in largo avevano però un problema: l’autopromozione. Ovviamente, non facendo parte di un circuito di distribuzione ufficiale, non avevano a disposizione alcuna locandina con cui pubblicizzare i loro film. Così i “boss” del cinema mobile ghanese cominciarono ad appoggiarsi ad artisti locali, per prodursi da soli i loro poster.
Si trattava di locandine realizzate a mano – spesso su ritagli di tela provenienti dai sacchi di farina: opere uniche, che venivano religiosamente avvolte e riutilizzate infinite volte, in ogni paesino, villaggio o centro abitato per promuovere la proiezione del film, finché non erano completamente distrutte.
Gli artisti che dipingevano queste locandine non sempre avevano visto il film in questione. Si basavano quindi sul titolo e sulle immagini che suggeriva, tiravano insomma a indovinare cosa potesse succedere nella pellicola; oppure cercavano di ricopiare le locandine occidentali inserendovi però elementi che avessero un certo appeal per il pubblico ghanese. Questo risulta in un effetto spiazzante, per chi conosce i film in questione, perché nelle locandine si riconoscono inesattezze, dettagli inventati e situazioni che non c’entrano assolutamente nulla con la vera trama.
Un’altra caratteristica peculiare di questi poster cinematografici è la mescolanza di alcuni tratti palesemente africani con molte altre influenze, come ad esempio alcuni accenni cubisti o surrealisti. Alcuni di questi pittori, infatti, provenivano da scuole d’arte in cui avevano ricevuto un’educazione più o meno formale e, nonostante sbarcassero il lunario in questo modo, provavano ad inserire elementi più “raffinati” per far mostra del loro stile. Laddove i poster hollywoodiani, per risaltare nell’abbondanza dell’offerta, miravano alla sinteticità e al design accattivante che sottolineasse i volti delle star, i pittori ghanesi si concentravano invece sulla spettacolarità della scena epica, sullo shock della crudeltà, sul dettaglio macabro in grado di impressionare grandi e piccini.
Alla fine degli anni ’90 le televisioni e i videoregistratori calarono di prezzo, e sempre più famiglie ghanesi furono in grado di acquistare la propria postazione TV; così i cinema mobili sparirono a poco a poco, e con loro questi manifesti folkloristici che perfino Walter Hill dichiarò “spesso più interessanti dei film stessi”. Oggi le locandine ghanesi sono molto ricercate dai collezionisti d’arte popolare africana – tanto che alcuni artisti continuano a produrle anche per i film più moderni.
Quello che affascina in questi poster è innanzitutto il loro gusto kitsch e infantile, che di primo acchito ci sorprende e ci diverte, particolarmente oggi che siamo consumatori smaliziati ed iperimbottiti di blockbuster ed effetti speciali roboanti. Ma ad un secondo livello è impossibile non avvertire, di fronte a queste locandine, una piccola punta di nostalgia: sembrano parlarci di un’innocenza ormai perduta, quell’incanto primitivo delle immagini in movimento, il terrore e la meraviglia che ci si aspetta da un film d’avventura.
Lo confessiamo. Anche a noi è capitato, tanti anni fa – in ragione della nostra allora giovane età? o perché erano diversi “i tempi”? – di provare un lungo brivido di trepidazione di fronte a una locandina che prometteva emozioni forti. Forse quello che ci commuove in questi poster è proprio il riconoscere quel tipo di ingenuità che ci permetteva (e permette ancora, di tanto in tanto) di vivere il cinema come un viaggio immaginario, una favola, un sogno costellato di suggestive emozioni.
Lomé, capitale del Togo, ospita uno dei mercati più particolari al mondo: si chiama Akodessewa, ed è conosciuto anche come “il mercato dei feticci”.
Il mercato è una specie di “farmacia” tradizionale, dove i guaritori e gli sciamani del luogo possono trovare tutto quello che serve per le loro pozioni voodoo. Stiamo parlando del voodoo originario, sviluppatosi nell’Africa occidentale ben prima che gli schiavi lo trapiantassero anche in America.
Mentre vi aggirate per i banchetti, vedrete in esposizione decine e decine di teste essiccate di coccodrilli, cani, gatti, scimmie… ma anche camaleonti, cobra, pesci palla… civette, avvoltoi, pappagalli e altri uccelli, corna di antilope o cervo, e addirittura qualche rarissimo “pezzo” di elefante o leopardo.
Secondo la ricetta tradizionale, le teste vengono macinate assieme alle erbe medicinali e poste sul fuoco finché il tutto non si riduce a una polvere nera. Dopo aver tagliato per tre volte il petto o la schiena della persona malata, il guaritore sparge la polvere curativa sulla pelle e la spinge all’interno delle ferite.
Ci sono rimedi per tutti i tipi di problemi: coppie che non riescono ad avere un figlio, vecchi con problemi alle articolazioni, donne possedute dai demoni, sportivi e atleti che cercano una “marcia in più”. Triturando insieme una mano di scimpanzé e una di gorilla, ad esempio, si ottiene una polvere che garantisce ai portieri di calcio una presa di ferro. Se si vuole correre una maratona, invece, è consigliabile utilizzare testa, cuore e gambe di un cavallo: la sua potenza, resistenza e velocità passeranno, per mezzo di uno scrupoloso rituale, al corpo dell’atleta. Le ossa più grandi, invece, sono perfette per difendere la propria casa dai demoni e dalla cattiva sorte. Ogni anno gli sciamani girano di villaggio in villaggio preparando questi feticci di protezione.
La medicina tradizionale non si impara da un giorno all’altro. È una conoscenza che si tramanda di padre in figlio, e ci vogliono dagli 8 ai 10 anni di studio ed esperienza per poter dominare tutti i segreti di questa arte.
Quello di Akodessewa è forse il mercato di feticci più grande del mondo. Le parti di animali provengono da tutta l’Africa occidentale, Ghana, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Nigeria. A sentire i venditori, il governo del Togo ne è perfettamente a conoscenza e controlla accuratamente questo macabro commercio. “Non uccidiamo nessun animale con le nostre mani, è tutto regolare”, si premurano di far sapere, anche se più di qualche dubbio resta.
Questa strana farmacia voodoo, ormai famosa, attira non soltanto africani di tutte le regioni, ma anche turisti. “Ai turisti vendiamo quelle piccole statuine là”, dicono con un bel sorriso i commercianti, semisepolti fra teste in decomposizione, code appese che sventolano e ossa impolverate. In fondo, sono lì soltanto per aiutare chiunque abbia bisogno di loro.
Tutte le splendide fotografie presenti nell’articolo sono state realizzate da Grete Howard, che ci ha gentilmente concesso in esclusiva l’autorizzazione a pubblicarle.
I cosiddetti “grandi felini” sono tra i più noti e popolari cacciatori carnivori. Sono stati anche, a loro volta, cacciati dall’uomo quando l’Africa era il continente più chic per organizzare le battute di caccia grossa. Durante tutto il ‘900 i safari di cui andavano matti i ricconi occidentali hanno decimato e talvolta messo a serio rischio di estinzione alcuni di questi magnifici felidi.
Vi proponiamo oggi alcuni video in cui i grandi felini si prendono la giusta rivincita, dimostrando la loro potenza, velocità e incredibile agilità.
Cominciamo con la tigre. Anche se pensate di essere al riparo, seduti in cima a un elefante, beh… se riuscite a vederla, potrebbe essere già troppo tardi.
Quest’altro video mostra un leopardo che doveva essere rimesso in libertà. Una volta aperta la gabbia, però, l’animale impaurito non aveva intenzione di muoversi. Uno degli uomini tenta di “convincerlo” con un bastone, ma è una brutta, brutta idea.
Abbiamo visto spesso illusioni ottiche di vario tipo: spirali che sono in realtà cerchi concentrici, segmenti che ci appaiono più lunghi o corti quando sono della stessa misura, punti che “appaiono” all’interno di griglie vuote, eccetera. Sappiamo quindi che i nostri occhi non sono infallibili, e che anzi è piuttosto facile che si ingannino.
Ma l’illusione ottica che vi presentiamo oggi è davvero particolare, perché mostra come la cultura e l’ambiente in cui viviamo influenzino direttamente ciò che vediamo, e come lo interpretiamo. Guardate l’immagine qui sotto. Cosa vedete?
Molto probabilmente avrete visto una famigliola riunita in casa.
All’interno di una serie di test psicologici in Africa Orientale, alcuni ricercatori hanno mostrato ai volontari un bozzetto simile a questo. La quasi totalità dei partecipanti ha riconosciuto la stessa famigliola riunita che abbiamo visto noi, ma con una piccola differenza: per gli africani, le persone disegnate stavano all’aperto, sotto una palma, e la donna teneva una scatola in equilibrio sulla testa.
In una cultura poco abituata ad una architettura fatta di angoli e stanze squadrate, l’immagine viene letta immediatamente come un ambiente esterno. Per gli occidentali, invece, è più automatico interpretare il quadrato come una finestra attraverso la quale si intravede un giardino.
Ecco a voi il dolcissimo pangolino… dolcissimo a patto di non essere una formica. Con la lingua proporzionalmente più lunga del mondo animale, la saliva più appiccicosa, e la sua corazza cheratinica a squame, il pangolino è il terrore dei formicai. I suoi principali orifizi hanno membrane sigillanti per non permettere alle formiche di attaccarlo o pungerlo. Un ultimo consiglio: quando avrete un pangolino nel vostro salotto, attenti a come lo accarezzate: le sue squame sono taglienti e quelle della coda possono essere usate come armi contro predatori più grossi.