Modificazioni corporali estreme

Oggi parliamo di un argomento estremo e controverso, che potrebbe nauseare parecchi lettori. Chi intende leggere questo articolo fino alla fine si ritenga quindi avvisato: si tratta di immagini e temi che potrebbero urtare la sensibilità della maggioranza delle persone.

Tutti conoscono le mode dei piercing o dei tatuaggi: modificazioni permanenti del corpo, volontariamente “inflitte” per motivi diversi. Appartenenza ad un gruppo, non-appartenenza, fantasia sessuale o non, desiderio di individualità, voglia di provarsi di fronte al dolore… il corpo, rimasto tabù per tanti secoli, diviene il territorio privilegiato sul quale affermare la propria identità. Ma le body modifications non si fermano certo ai piercing. Attraverso il dolore, il corpo così a lungo negato diviene una sorta di cartina di tornasole, la vera essenza carnale che dimostra di essere vivi e reali.

E la libertà di giocare con la forma del proprio corpo porta agli estremi più inediti (belli? brutti?) che si siano mai visti fino ad ora. Ci sono uomini che desiderano ardentemente la castrazione. Donne che vogliono tagliare in due il proprio clitoride. Maschi che vogliono liberarsi dei capezzoli. Gente che si vuole impiantare sottopelle ogni sorta di oggetto. O addirittura sotto la cornea oculare. Bisognerebbe forse parlare di “corponauti”, di nuovi esploratori della carne che sperimentano giorno dopo giorno inedite configurazioni della nostra fisicità.

Alcune di queste “novità del corpo” sono già diventate famose. Ad esempio, il sezionare la lingua per renderla biforcuta: le due metà divengono autonome e si riesce a comandarle separatamente. La divisione della lingua è ancora un tipo di pratica, se non comune, comunque almeno conosciuta attraverso internet o il “sentito dire”. La maggior parte degli adepti dichiara che non tornerebbe più ad una lingua singola, per cui dovremmo credere che i vantaggi siano notevoli. Certo è che gran parte di queste modificazioni corporali avviene senza il controllo di un medico, e può portare ad infezioni anche gravi. Quindi attenti.

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Diverso è il discorso per le amputazioni volontarie di genitali o altre estremità. Nelle scene underground (soprattutto americane) si ricorre all’aiuto dei cosiddetti cutters. Si tratta di medici o di veterinari che si prestano a tagliare varie parti del corpo dei candidati alla nuova vita da amputati. E i tagli sono di natura squisitamente diversa. C’è chi decide di farsi portar via entrambi i testicoli, o i capezzoli, chi opta per sezionare il pene a metà, chi ancora si fa incidere il pene lasciando intatto il glande, chi vuole farsi asportare i lobi dell’orecchio. La domanda comincia  a formarsi nelle vostre menti: perché?

Scorrendo velocemente il sito Bmezine.com, dedicato alle modificazioni corporali, c’è da rimanere allibiti. Sembra non ci sia freno alle fantasie macabre che vogliono il nostro fisico diverso da ciò che è.

Per rispondere alla domanda che sorge spontanea (“Perché?”) bisogna chiarire che queste modificazioni rimandano a un preciso bisogno psicologico. Non si tratta  – soltanto – di strane psicopatologie o di mode futili: questa gente cambia il proprio corpo permanentemente a seconda del desiderio che prova. Se vogliamo vederla in modo astratto, anche le donne che si bucano i lobi dell’orecchio per inserirci un orecchino stanno facendo essenzialmente la stessa cosa: modificano il loro corpo affinché sia più attraente. Ma mentre l’orecchino è socialmente accettato, il tagliarsi il pene in due non lo è. Lo spunto interessante di queste tecniche è che sembra che il corpo sia divenuto l’ultima frontiera dell’identità, quella soglia che ci permette di proclamare quello che siamo. In  un mondo in cui l’estetica è assoggettata alle regole di mercato, ci sono persone che rifiutano il tipo di uniformità fisica propugnata dai mass media per cercare il proprio individualismo. Potrà apparire una moda, una ribellione vacua e pericolosa. Ma di sicuro è una presa di posizione controcorrente che fa riflettere sui canoni di bellezza che oggi sembrano comandare i media e influenzare le aspirazioni dei nostri giovani. Nel regno simbolico odierno, in cui tutto sembra possibile, anche la mutilazione ha diritto di cittadinanza. Può indurre al ribrezzo, o all’attrazione: sta a voi decidere, e sentire sulla vostra pelle le sensazioni che provate. Certo questo mondo è strano; e gli strani la fanno da padrone.

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Allattamento maschile

Siete  in una sala d’attesa: sedute come voi ci sono altre otto o nove persone. Un bambino di pochi mesi, tenuto in braccio dal papà, ad un tratto comincia a piangere. Un po’ imbarazzato, l’uomo si guarda intorno. Poi solleva un lembo della sua camicia, e si scopre il capezzolo. Il neonato si attacca avidamente al seno, mentre il papà vi sorride. Non siete culturalmente preparati a una scena simile. Come reagireste?

Sembra l’ennesima leggenda urbana, invece è realtà: anche i maschi possono allattare.

Le ghiandole mammarie maschili, nonostante siano presenti in ciascun individuo, non producono latte in normali circostanze. Ma già Darwin aveva notato la loro “completezza” e aveva ipotizzato che agli albori dell’umanità i figli potessero essere allattati indistintamente da maschi e femmine. E i resoconti di bambini svezzati con “latte paterno” sono presenti fin dall’antichità (se ne rileva traccia nel Talmud, in Aristotele, perfino in Anna Karenina). George Gould e Walter Pyle nel loro Anomalies and Curiosities of Medicine del 1896 registrano diversi casi di allattamento maschile negli Stati Uniti meridionali.

Recentemente alcune storie simili sono divenute celebri sui media di mezzo mondo. Il caso più conosciuto è quello di un padre di Walapore, nello Sri Lanka: nel 2002 si venne a sapere che quest’uomo, avendo perso la moglie durante il parto, da mesi ormai allattava al seno le due figliole. Un fatto strano per tutti, ma non per il padre, che raccontò con la massima naturalezza l’inizio della sua esperienza: “mia figlia maggiore rifiutava di essere nutrita col latte in polvere dal biberon. Una sera ero così affranto che, pur di farla smettere di piangere, le offrii il mio capezzolo. Allora mi resi conto che ero in grado di allattarla al seno”.

Laura Shanley, consulente per le maternità, dopo aver letto un saggio di Dana Raphael (The Tender Gift: Breastfeeding, 1978), decise di provare se fosse sufficiente l’auto-suggestione per indurre una produzione maschile di latte. Convinse l’ex-marito David a “dire a se stesso che poteva allattare, e nel giro di una settimana una delle sue mammelle si gonfiò ed iniziò a gocciolare latte”. Che la faccenda sia davvero così semplice sembra piuttosto inverosimile, ma lasciamo il beneficio del dubbio all’entusiasta Laura.

Fatto sta che diversi tipi di animali dividono il compito dell’allattamento equamente fra mamma e papà: non soltanto le comunità di volpi volanti della Malaysia (un genere di pipistrello, ecco l’articolo che ne parla) annoverano maschi allattanti, ma anche capre e colombi possono occasionalmente compiere lo stesso exploit. Ovviamente per quanto riguarda i colombi non si tratta di un vero e proprio allattamento, ma del cosiddetto latte di gozzo, prodotto lattiginoso che viene dispensato ai cuccioli tanto dalle madri quanto dai padri, durante i primi 10-12 giorni di vita.

Ma ritornando alla nostra specie, e ai casi reali, la produzione maschile di latte avviene più spesso per cause meno “romantiche”. Si tratta più comunemente di un effetto collaterale di alcuni trattamenti farmacologici a base di ormoni. Ad esempio, nella cura del cancro alla prostata vengono utilizzati ormoni femminili per arginare la proliferazione del tumore. Questo può portare ad una stimolazione delle ghiandole mammarie. Allo stesso modo, i transessuali che stanno compiendo la cura ormonale rilevano talvolta i medesimi sintomi. Trattamenti antipsicotici o l’assunzione di droghe che bloccano i recettori della dopamina potrebbero avere un effetto simile. Situazioni di stress e di mancanza di cibo possono portare alla produzione di latte maschile: lo si riscontrò in alcuni dei detenuti dei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, e nelle truppe di ritorno dalle guerre di Vietnam e Corea.

Sembra insomma ormai ben documentata la possibilità che un uomo possa allattare suo figlio. Purtroppo, poche ricerche veramente esaustive sono state condotte al riguardo. Resta ancora un mistero come e in quali condizioni questa eventualità si palesi. Certo è che se una delle peculiarità escusivamente femminili dovesse venire a cadere, anche i ruoli all’interno della famiglia andrebbero ripensati.

Per molti padri, l’idea di nutrire il figlio attraverso il proprio corpo sembra essere un’esperienza desiderabile, un legame con il bambino che normalmente viene negato ad un maschio: le donne sono culturalmente predestinate a questo tipo di intimità, e il padre ne è tradizionalmente escluso. È possibile per i maschi “allenarsi” all’allattamento? Dovremmo forse pensare a un futuro più eterogeneo riguardo a questo aspetto dello svezzamento? Un bambino allattato indifferentemente da mamma e papà potrebbe crescere più sano e felice?