La nave nel buio

Trascorse il logorìo di giorni e giorni.
Ogni gola riarsa e vitreo ogni occhio.
Il logorìo di giorni e giorni!
(S.T. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio)

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Talvolta la storia supera qualsiasi racconto folkloristico per macabra fantasia e inaudite coincidenze.

Le Rodeur partì dal golfo del Biafra nell’aprile del 1819, diretto all’isola di Guadalupa. Era una nave schiavista francese, e ospitava a bordo 22 uomini dell’equipaggio e 162 schiavi.
Stipati nel buio della stiva in condizioni igieniche orribili, gli schiavi venivano nutriti poco e male: cibo scarso e spesso avariato, e mezzo bicchiere d’acqua al giorno.

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Dopo 15 giorni di viaggio, alcuni degli schiavi cominciarono a diventare ciechi. All’inizio non venne data molta importanza alla cosa, ma la malattia degli occhi era evidentemente infettiva e l’epidemia cominciò a dilagare fra i prigionieri. Il medico di bordo, convinto che la causa fosse l’aria insalubre e impura che si respirava nella stiva, ordinò che agli schiavi fosse di tanto in tanto permesso di prendere una boccata d’aria. Ma, di fronte agli attoniti marinai, una volta portati sul ponte, molti fra questi schiavi si abbracciavano e si gettavano fuori bordo stretti l’uno fra le braccia dell’altro, impedendosi vicendevolmente di nuotare così da annegare più velocemente. Saltavano davvero “nella speranza, che prevale così universalmente tra di loro, che [i loro spiriti] sarebbero stati velocemente trasportati indietro alle loro case in Africa” – come sosteneva un anno dopo M. Benjamin Constant nel suo discorso alla Camera dei Deputati di Francia? Probabile, ma possiamo anche immaginare che per un uomo catturato, incatenato, chiuso al buio in condizioni terrificanti e i cui occhi avevano smesso di vedere la luce, le onde del mare sembrassero un destino preferibile a quello  che lo attendeva sul Rodeur.

Quale che fosse la motivazione, al capitano della nave non piaceva affatto perdere il suo prezioso carico in quel modo. Così ordinò che gli schiavi che venivano fermati mentre tentavano il suicidio, fossero poi fucilati o impiccati di fronte ai loro compagni.

Ma l’epidemia non si fermava: in breve tutti i prigionieri persero la vista, e allora fu lo stesso capitano a cominciare a gettare gli schiavi fuori bordo, nel tentativo di arginare l’avanzare della malattia (e di risparmiare sui costi di mantenimento per una “merce” ormai invendibile); 36 uomini persero la vita così, buttati alle onde.

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A poco a poco anche l’equipaggio cominciò ad essere inesorabilmente infettato dall’oftalmia, finché rimase soltanto un uomo ancora capace di vedere. L’unico in grado di stare al timone, e di cercare di riportare il Rodeur verso la salvezza – e forse anche la sua vista aveva le ore contate.

A tentoni, nelle tenebre della cecità, i marinai si diedero il cambio per giorni alle corde, senza speranza. E poi, un mattino, successe quello che il giornalista John Randolph Spears definì “uno degli incidenti più rimarchevoli della storia del commercio marino”. Mentre cercava disperatamente di recuperare la rotta, il solitario timoniere del Rodeur avvistò una nave che avanzava a vele spiegate: era la goletta schiavista spagnola Leon. La gioia esplose fra la ciurma: la fortuna aveva portato dei soccorsi proprio verso di loro!

Mentre la nave spagnola si avvicinava, però, gli occhi affaticati del timoniere si accorsero che essa sembrava andare alla deriva – le gomene erano lente e sfatte, e il ponte completamente deserto. Pareva un relitto galleggiante, abbandonato al mare, che si prendeva gioco delle loro speranze di salvataggio. Ma il Leon non era completamente deserto: arrivati a una distanza sufficiente da poter essere sentiti, i marinai francesi si misero a gridare verso la nave e finalmente degli uomini cominciarono ad apparire. Ma i passeggeri della nave straniera erano allucinati e terrorizzati tanto quanto i marinai del Rodeur: aggrappandosi alla balaustra, gli spagnoli risposero urlando che tutto il loro equipaggio era divenuto cieco a causa di una malattia sviluppatasi fra gli schiavi. In un attimo la speranza si trasformò in orrore, perché proprio dalla nave che avrebbe dovuto portare il Rodeur fuori dall’incubo, arrivava ora una preghiera di salvezza.

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Colpite dallo stesso morbo e incapaci di darsi aiuto, le due navi si separarono.
Il 21 Giugno il Rodeur raggiunse Guadalupa; secondo la Bibliothèque Ophthalmologique, l’unico uomo che era scampato all’oftalmia divenne cieco tre giorni dopo essere riuscito a ricondurre in porto la nave.
Il Leon invece si perse nell’Atlantico, e non se ne seppe più nulla.

Il pittore cieco

Esref Armagan è uno straordinario e controverso pittore. I suoi dipinti potrebbero sembrare abbastanza “normali”, naif e semplici, nonostante l’uso sensibile del colore, se non fossimo a conoscenza di un piccolo dettaglio: Esref è cieco dalla nascita, e non ha mai avuto occhi per vedere o percepire la luce.

Esref è nato povero e non ha avuto alcuna educazione. Ha iniziato la sua carriera facendo ritratti: chiedeva a un parente o a un amico di sottolineare con una penna il volto su una fotografia, poi con i suoi polpastrelli “leggeva” le linee tracciate sulla foto e le replicava sul foglio da disegno. Ma la sua abilità, con il tempo, si è spinta molto oltre.


Ha sviluppato una tecnica inusuale per i suoi dipinti: dopo averli disegnati, li colora usando le dita con uno strato di pittura ad olio, poi è costretto ad aspettare da due a tre giorni perché il colore si secchi; infine può continuare il suo quadro. Questa è una tecnica non ortodossa, dovuta al fatto che Esref è cieco e opera senza il controllo esterno di altri collaboratori. La principale qualità dei suoi lavori, al di là della brillantezza dei colori o la composizione artistica, sta nell’incredibile fedeltà con cui Esref replica la tridimensionalità. Gli oggetti più lontani sono disegnati più piccoli, e con una incredibile precisione di prospettiva. In un uomo nato senza occhi, questo è un talento che nessuno penserebbe di trovare.

Alcuni neurofisiologi e psicologi americani si sono interessati al caso, e hanno portato l’artista turco a disegnare i contorni del battistero della Basilica di Brunelleschi a Firenze (ritenuto uno dei luoghi in cui l’idea di prospettiva è storicamente nata). Il filmato presentato qui di seguito è in bilico fra la plausibilità e l’agiografia mediatica; alcuni infatti hanno avanzato dubbi sulle effettive competenze di questo pittore, che potrebbe essere segretamente “guidato” da qualcuno nei suoi exploit artistici. Sembrerebbe però che le risonanze al cervello del pittore abbiano indicato un’attività della corteccia cerebrale nelle zone normalmente “morte” in altre persone cieche.

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Quindi, bufala o miracolo? Esref, ormai avvezzo alle mostre internazionali, continua ad affermare che gli piacerebbe essere ricordato per il suo lavoro, piuttosto che per il suo handicap. “Non capisco come qualcuno possa considerarmi cieco, perché le mie dita vedono più di quanto veda una persona che possiede gli occhi”.

Scoperto via Oddity Central.

L’esploratore cieco

Nato nel 1786, James Holman era cresciuto con un unico desiderio: il suo grande sogno era viaggiare per il mondo. Sfortunatamente, il padre non aveva esattamente gli stessi piani per lui. All’età di 13 anni venne spedito nella Marina Reale Britannica, nel pieno delle Guerre Napoleoniche, e vi rimase per 12 anni. Nello svolgimento delle sue funzioni a bordo della flotta, però, venne colpito da una misteriosa malattia che gli procurava dolori insostenibili e che, con il passare del tempo, lo portò alla cecità completa.

James aveva solo 25 anni. Le medaglie all’onore di guerra che si era guadagnato gli interessavano poco, se non poteva riavere la vista. Visto che i medici non sapevano aiutarlo, se ne andò a Edimburgo a studiare medicina per conto suo. Resosi conto che la cecità era davvero irreversibile, il giovane James se ne fece una ragione. Ma non si piegò all’idea che la sua vita fosse finita lì.

L’unica cosa che lo spingesse avanti, l’unica che tenesse a bada la depressione, era per lui trovarsi in un luogo completamente sconosciuto. Grazie ai suoi altri sensi, che aveva imparato ad acuire, e a una sua personale tecnica di ecolocazione (pare sia stato fra i primi a utilizzare il battito del bastone per determinare il perimetro di un’area), James cominciò a viaggiare. Prima in Europa. Poi in Russia. Poi, in qualunque continente ancora poco esplorato.

James viaggiava sempre esclusivamente da solo. Non conosceva lingue straniere, era praticamente senza soldi, e l’unico attrezzo che portava con sé era una sorta di rudimentale macchina da scrivere. Ma aveva dalla sua una memoria prodigiosa, e un fascino personale unico. E così partì per anni e anni di viaggi e avventure.

Venne catturato in Siberia dalle autorità che lo sospettavano una spia (non potevano credere che la sua cecità fosse autentica); cercò di lanciare una ribellione contro la tratta di schiavi in Africa; cacciò elefanti selvatici a Ceylon; in Cina fu uno dei pochi occidentali a lanciare moniti sulla crescente conflittualità sociale che sarebbe poi sfociata nella ribellione di Taiping; cartografò buona parte dell’Australia allora inesplorata; e i suoi resoconti sulle popolazioni indigene di Zanzibar, Seychelles e Madagascar sono ancora oggi apprezzati dagli antropologi.

Il “viaggiatore cieco”, così veniva chiamato, divenne presto uno scrittore best-seller; poi, scemata la novità, la gente se ne dimenticò. Lui, però, continuò a viaggiare: soltanto un costante cambio di aria e scenario potevano risollevarlo dalla malattia. Sempre senza un soldo, sempre senza grosse conoscenze linguistiche, ma armato di un’incrollabile fiducia nella benevolenza del prossimo, James Holman visitò i quattro angoli del globo fino alla morte, avvenuta a 70 anni. Rimase, fino a buona parte del XX secolo, l’uomo che aveva maggiormente viaggiato della storia. Ancora oggi, in Africa, scorre il fiume Holman, così chiamato in suo onore.

In un’epoca in cui alla gente cieca si dava in mano una ciotola per mendicare, perché venivano considerati totalmente disabili, la figura solitaria di Holman che batteva il suo bastone da passeggio esplorando il continenti più selvaggi e pericolosi doveva avere un’aura quasi soprannaturale; e anche oggi le sue imprese hanno mantenuto un fascino unico.

Per chi conosce l’inglese, la biografia di riferimento è A Sense of The World, di Jason Roberts.