Gli scorticati di Fragonard

La città di Grasse, in Provenza, già considerata la capitale mondiale dei profumi, divenne celebre nel XVIII secolo per aver dato i natali al famoso pittore rococò Jean Fragonard (una delle tre maggiori profumerie locali è oggi chiamata Fragonard in suo onore). Pochi però conoscono la storia del cugino di questo celebre pittore, che divenne rinomato per motivi completamente diversi.

Honoré Fragonard, classe 1732, laureato in chirurgia, nel 1762 incontra l’uomo che farà svoltare la sua carriera. Si tratta di Claude Bourgelat, stalliere di corte di Luigi XV e fondatore a Lione della prima Scuola Veterinaria al mondo. Questo eminente studioso di cavalli era il più grande esperto in materia, e aveva già pubblicato diversi trattati ritenuti eccellenti. Si era però convinto che, per comprendere a fondo questi splendidi animali, avrebbe dovuto studiarne l’anatomia fin nei minimi dettagli. Recluta quindi Fragonard affinché esegua per lui alcune dissezioni sui cadaveri di cavalli. In breve tempo, Bourgelat nomina Fragonard docente di anatomia alla sua Scuola Veterinaria, e in seguito direttore. Qui Fragonard comincia a realizzare le sue prime preparazioni anatomiche, ma è con l’apertura di una seconda scuola a Parigi che Fragonard, nuovamente nominato direttore e professore, può dedicarsi alla sua arte in modo più continuativo.

Honoré Fragonard realizza a Parigi migliaia di preparati anatomici veterinari e umani; ma è con la serie degli écorchés (gli scorticati) che impressiona non soltanto il mondo accademico ma anche l’aristocrazia, che comincia a comprare i suoi pezzi per inserirli nelle diverse camere delle curiosità in giro per l’Europa. In effetti i suoi “scorticati” sono dei preparati davvero unici e mozzafiato.

Si tratta di cadaveri sezionati e imbalsamati secondo una ricetta segretissima: i corpi vengono aperti e fissati da Fragonard con un misterioso fluido, in modo da permettere di scorgere tutti i vari strati di muscolatura superficiale e profonda, i tendini, l’apparato vascolare e circolatorio. Fragonard non si accontenta del risultato scientifico, e riesce a donare ai suoi corpi pose artistiche ispirate a quadri e miti celebri. L’homme à la mandibule (“L’uomo con la mandibola”), ad esempio, si rifà all’episodio di Sansone che combatte i Filistei: la posa minacciosa e lo sguardo allucinato e folle rendono il cadavere scorticato minaccioso e drammatico.

Fragonard realizza anche delle celebri composizioni incentrare sull’equitazione; per spingersi ancora oltre nel risultato sconcertante, attornia il suo Cavaliere dell’Apocalisse di una piccola “armata” di cadaveri di feti umani che cavalcano feti di cavallo (oggi andati perduti).

Le cose, però, non vanno bene tra lui e il suo mentore, Bourgelat. Voci di corridoio cominciano a insistere sul fatto che quest’ultimo debba gran parte della sua fama alle dissezioni di Fragonard. Dall’altra parte, si sussurra che uno dei più celebri “cavalieri” di Fragonard fosse in realtà il cadavere di una giovane fanciulla di cui l’anatomista era innamorato, che egli avrebbe disseppellito e “fissato” in una preparazione anatomica per averla sempre con sé. Fra pettegolezzi e litigate, l’inimicizia tra i due diviene sempre più acre, finché nel 1771 Bourgelat licenzia Fragonard, con l’accusa di essere divenuto folle.

Honoré continua quindi a seccare e preparare cadaveri per le collezioni private degli aristocratici, e negli ultimi anni di vita accarezza il sogno di riunire tutti i suoi vecchi pezzi in uno sterminato Gabinetto di Anatomia. Ma il progetto fallisce, e i suoi preparati si disperdono in giro per l’Europa. Affranto e disilluso, Fragonard si spegne a Charenton nel 1799.

Delle svariate decine di scorticati da lui fabbricati, e per la maggior parte distrutti durante la Rivoluzione Francese, ce ne restano soltanto 21. Il numero maggiore di pezzi si trova al Musée Fragonard di Maison-Alfort, a 3 km da Parigi. Ciò che rimane ancora in parte sconosciuto è il metodo con cui Fragonard fu capace di creare simili opere. L’unico dato certo è che, nella miscela da lui creata per fissare i tessuti vascolarizzati, non faceva uso di cera fusa (che avrebbe distrutto i vasi sanguigni con il suo calore) ma di sego di montone, che fonde a temperature più basse e che poteva essere iniettato senza scaldare troppo il corpo. Pare inoltre che le particolari vernici utilizzate per seccare i cadaveri fungessero anche da repellente per parassiti, garantendo una straordinaria tenuta nel tempo.

E, in caso ve lo foste chiesti, un’attenta analisi ha rivelato le vestigia di un pene legato all’interno del bacino del “Cavaliere dell’Apocalisse”. Con buona pace dei romantici, il misterioso Cavaliere non era dunque una ragazzina, il perduto amore di Fragonard, come da secoli esigeva la leggenda.

Rendez-vous

C’è stato un tempo in cui il cinema era ancora coraggioso, libero, estremo… e oltraggioso. Negli anni ’70, la sperimentazione era ovunque.

Anche Claude Lelouch, proprio il cineasta più “sobrio” della Nouvelle Vague, adepto del cosiddetto cinéma-vérité, ha avuto il suo leggendario momento di follia. Nel 1976, con grande scandalo, esce un cortometraggio da lui diretto, della durata di poco più di 8 minuti, intitolato C’était un rendez-vous (“Era un appuntamento”). Si tratta di un unico piano sequenza, una selvaggia corsa in macchina (una Mercedes-Benz 450SEL 6.9, per i fanatici di automobili) attraverso le strade di una Parigi semiaddormentata (sono le 5 e 30 del mattino).

Vediamo molti dei luoghi celebri della capitale francese: Arco del Trionfo, Opéra Garnier, Place de la Concorde, Champs-Élysées. Il guidatore non tocca mai, neanche per un momento, il pedale del freno: scala soltanto le marce, per evitare i pedoni e le altre automobili. Corre, corre all’impazzata. Non si ferma nemmeno ai semafori rossi, imbocca sensi unici contromano, sale sul marciapiede per evitare un camion della spazzatura, continua la sua folle corsa fino a un inaspettato, sorridente finale.

La leggenda che si è creata attorno a questo cortometraggio è quasi più divertente dell’opera stessa: c’è chi discute sull’identità dell’anonimo guidatore (l’ipotesi più plausibile indica il regista stesso come protagonista al volante), chi dimostra che l’audio è in realtà la registrazione della Ferrari 275 GTB di proprietà di Lelouch (la Mercedes in questione aveva infatti solo tre marce, mentre nell’audio si sente scalare fino a cinque marce). Molte speculazioni sono state fatte sull’effettiva velocità della corsa – Lelouch ha dichiarato che la velocità massima raggiunta era superiore ai 200 km/h, ma diversi gruppi indipendenti hanno stimato una velocità massima di 140 km/h.

Quale che sia l’ipotesi più corretta è di scarsa importanza una volta compreso il reale valore di questa pellicola. Oggi YouTube è infestato di video in cui decine di ragazzini (e adulti) eseguono simili bravate, riprendendosi con il telefonino. Ma in quegli anni realizzare un’impresa illegale di questo genere, montando una cinepresa 35 mm sul parafango di un’automobile, sfidando ogni rischio pur di ottenere immagini completamente inedite e reali, senza velocizzazioni, trucchi o effetti speciali, faceva parte di quella sperimentazione che ha reso il cinema vivo e vibrante. Significava mettere in gioco la propria vita, quella di altri, rischiare addirittura la galera per amore delle immagini. Un cinema punk, scorretto, sfrenato, puro e duro, come non se ne vede da un po’ di tempo. Un cinema alla ricerca del limite del mostrabile.

Il limite… Non c’è un modo onesto per spiegarlo, perché le sole persone che sanno veramente dov’è, sono quelle che l’hanno superato. Gli altri – quelli ancora in vita – sono quelli che hanno spinto il loro controllo fino a dove sentivano di poterlo mantenere, e poi si sono ritirati, o hanno rallentato, o hanno fatto quello che dovevano quando è stato il momento di scegliere tra l’Adesso e il Dopo.

Ma il limite è ancora là fuori.

(Hunter S. Thompson)

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