Tulpamancy

This article originally appeared on #ILLUSTRATI n. 48, “Budo”

A man alone is always in good company.
(G. Gaber, “I soli”, in Il Teatro Canzone, 1992)

For those who had an imaginary friend as children: don’t you ever miss that buddy you used to spend your days with?
You used to have fun together, give each other advice, tell each other your hopes and fears. Such imaginary friendship – as you probably already knew back then – was nothing but a mental game; yet it helped you to find your way into the complex world of grown-ups; and maybe it was also useful to unload some frustration, or to ease some loneliness.
Of course, now that you are adults, you learnt that there must be just one voice inside your head. If grown-ups keeps talking with an imaginary friend, well, it means they are crazy.
Yet, let’s admit it: sometimes we wish we could evoke someone to get some advice, someone we could confess a secret to and know it will never be revealed…

Some people don’t give up.
Since 2010 there is a small online community, made by people practicing the so-called “tulpamancy”. Tulpamancy is the creation of secondary identities or, in a manner of speaking, imaginary friends. Such entities are called “tulpa”, and they are generated by using some techniques on the edge between Eastern meditation and psychology: a tulpamancer, i.e. anyone trying to develop a tulpa, makes it consciously and is fully aware of the fictitious nature of the character he has created. At the same time, though, they can give this character a unique and independent identity, and they can hear its voice and perceive it also in the real world – through visual, hearing, tactile, and olfactory deliberate hallucinations.

Tulpas can be very different from their creators, thus allowing different perspectives; they sometimes speak different languages or have an exotic accent; they can be vague figures or extremely detailed characters with their own clothing and accessories; they have their own personality, tastes and skills.
They can help their tulpamancer in the most various ways: it could be a simple chat, or sometimes something more.

For example, one of the most detailed research on this subject (S. Veissière, Varieties of Tulpa Experiences: Sentient Imaginary Friends, Embodied Joint Attention, and Hypnotic Sociality in a Wired World, 2015), reports the experience of a girl who one day was particularly cold: her tulpa put an imaginary blanket on her shoulders, and almost magically she felt really warm. There are even some techniques that allow tulpas to temporarily take control of the “host” body, which therefore finds itself performing tasks it wouldn’t be able to accomplish alone.

At first glance, it can look crazy to create a multiple personality on purpose: the dissociative identity disorder is a serious pathology (some years ago I interviewed for this blog a woman hosting in her mind 27 alter egos, and her life wasn’t easy at all).
The crucial difference resides in the intention of this act, which allows to manage it: since it was created intentionally, a tulpa is a projection of the mind whose purpose is only positive, productive, supportive. Thus, tulpamancy can’t be considered as a pathology, as long as it doesn’t interfere with the functionality of the person. On the contrary, people devoted to this practice report it generated significant improvements in the quality of their lives, and even in social interactions. Many of them report they found an effective method to escape from loneliness and fight anxiety. Some of them even have sentimental or sexual relationships with their tulpas (although the community frowns upon this point, which is still controversial).

Despite being a very limited underground phenomenon, tulpamancy immediately caught the attention of anthropologists and psychologists. The method for the creation of new personalities could be indeed extremely interesting for cognitive sciences, ethnology, ethnobiology, linguistic anthropology, neurosciences, and hypnosis social studies.

“There must be just one voice inside your head”, we were saying. Our culture pushes us to believe that our identity is unique, indivisible. Nevertheless, in the last twenty years of psychological research, the hypothesis of a multiple, liquid identity has become more and more plausible. According to some scholars, people could be divided into two main groups: those who keep a diachronic vision of their life, as if it was the autobiography of a well-defined first-person narrator, and those who perceive their existence like a series of episodes, and that see their past as made of different moments and evolution steps when their personality was totally different from the current one.

In other words: our interior narrations, the way we “narrate ourselves” to ourselves, are complex, and the famous theory of “One, No One and One Hundred Thousand” by Pirandello is maybe closer to the truth than we think.
So, as tulpamancers say, why don’t transform all this material into a true resource, by nurturing imaginary friendships?
We would all be a little crazier, but also happier.

I Templi dell’Umanità

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Il primo piccone colpì la roccia in una calda notte di agosto. Era una sera di sabato, nel 1978. […]
Cadde una stella nel cielo, grande e luminosa, che lasciò dietro di sé una striscia ben visibile di polvere dorata che ricadde sulla Terra.
Tutti pensarono che fosse un buon segno, e Oberto disse che in effetti indicava il momento perfetto per iniziare a scavare un Tempio, come quelli che da migliaia di anni non esistevano più. Si sarebbe fatto tutto grazie alla volontà e al lavoro delle mani…

Questo, secondo il racconto ufficiale, è l’inizio della straordinaria impresa portata avanti in gran segreto dai damanhuriani.

Damanhur è una cittadina egizia che sorge sul Delta del Nilo, e il suo nome significa “Città di Horus“, dal tempio che vi sorgeva dedicato alla divinità falco. I damanhuriani di cui stiamo parlando però non sono affatto egiziani, bensì italiani. Quell’Oberto che interpreta la stella cadente come buon auspicio è la loro guida spirituale, e (forse proprio in onore di Horus) a partire dal 1983 si farà chiamare Falco.

Gli anni ’70 in Italia vedono fiorire l’interesse per l’occulto, l’esoterismo, il paranormale, e per le medicine alternative: si comincia a parlare per la prima volta di pranoterapia, viaggi astrali (oggi si preferisce l’acronimo OBE), chakra, pietre e cristalli curativi, riflessologia, e tutta una serie di discipline mistico-meditative volte alla crescita spirituale – o, almeno, all’eliminazione delle cosiddette “energie negative”. Immaginate quanto entusiasmo potesse portare allora tutto questo colorato esotismo in un paese come il nostro, che non aveva mai potuto o voluto pensare a qualcosa di diverso dal millenario, risaputo Cattolicesimo.

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Oberto Airaudi, classe 1950, ex broker con una propria agenzia di assicurazioni, è da subito affascinato da questa nuova visione del mondo, tanto da cominciare a sviluppare le sue tecniche personali. Fonda quindi nel 1975 il Centro Horus, dove insegna e tiene seminari; nel 1977 acquista dei terreni nell’alto Canavese e fonda la prima comunità basata sulla sua concezione degli uomini come frammenti di un unico, grande specchio infranto in cui si riflette il volto di Dio. Nella città-stato di Damanhur, infatti, dovrà vigere un’assoluta uguaglianza in cui ciascuno possa contribuire alla crescita e all’evoluzione dell’intera umanità. Damanhur inoltre dovrà essere ecologica, sostenibile, avere una particolare struttura sociale, una Costituzione, perfino una propria moneta.
E un suo Tempio sotterraneo, maestoso e unico.

Così nel 1978, in piena Valchiusella, a 50 km da Torino, Falco e adepti cominciarono a scavare nel fianco della montagna – ovviamente facendo ben attenzione che la voce non si spargesse in giro, poiché non c’erano autorizzazioni né permessi urbanistici. Dopo un paio di mesi avevano completato la prima, piccola nicchia nella roccia, un luogo di ritiro e raccoglimento per meditare a contatto con la terra. Ma il programma era molto più ambizioso e complesso, e per anni i lavori continuarono mentre la comunità cresceva accogliendo nuovi membri. L’insediamento ben presto incluse boschi, aree coltivate, zone residenziali e un centinaio di abitazioni private, laboratori artistici, atelier artigianali, aziende e fattorie.

Il 3 luglio del 1992, allertati da alcune segnalazioni che parlavano di un tempio abusivo costruito nella montagna, i Carabinieri accompagnati dal Procuratore di Ivrea eseguirono l’ispezione di Damanhur. Quando infine giunsero ad esaminare la struttura ipogea, si trovarono di fronte a qualcosa di davvero incredibile.

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Corridoi, vetrate, specchi, pavimenti decorati, mosaici, pareti affrescate: i “Templi dell’Umanità”, così Airaudi li aveva chiamati, si snodavano come un labirinto a più piani nelle viscere della terra. I cinque livelli sotterranei scendevano fino a 72 metri di profondità, l’equivalente di un palazzo di venti piani. Sette sale simboliche, ispirate ad altrettante presunte “stanze interiori” dello spirito, si aprivano al visitatore lungo un percorso iniziatico-sapienziale, in un tripudio di colori e dettagli ora naif, ora barocchi, nel più puro stile New Age.

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I damanhuriani cominciarono quindi una lunga battaglia con le autorità, per cercare di revocare l’ordine di demolizione per abusivismo e nel 1996, grazie all’interessamento della Soprintendenza, il governo italiano sancì la legalizzazione del sito. Ormai però il segreto era stato rivelato, così i damanhuriani cominciarono a permettere visite controllate e limitate agli ambienti sacri. Nel 2001 il complesso di templi vinse il Guinness World Record per il tempio ipogeo più grande del mondo.

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Ma perché tenere nascosta questa opera titanica? Perché costruirla per quasi quindici anni nel più completo riserbo?

In parte propaggine del sogno hippie, l’idilliaca società di Damanhur proietta un’immagine di sé ecologica, umanistica, spirituale ma, nella realtà, potrebbe nascondere una faccia ben più cupa. Secondo l’Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici, infatti, quella damanhuriana non sarebbe altro che una vera e propria setta; opinione condivisa da molti ex aderenti alla comunità, che hanno raccontato la loro esperienza di vita all’interno del gruppo in toni tutt’altro che utopistici.

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La storia delle sette ci insegna che i metodi utilizzati per controllare e plagiare gli adepti sono in verità pochi – sempre gli stessi, ricorrenti indipendentemente dalla latitudine o dalle epoche. La manipolazione avviene innanzitutto tagliando ogni ponte con l’esterno (familiari, amici, colleghi, ecc.): la setta deve bastare a se stessa, chiudersi attorno agli adepti. In questo senso vanno interpretati tutti quegli elementi che concorrono a far sentire speciali gli appartenenti al gruppo, a far loro condividere qualcosa che “gli altri, là fuori, non potranno mai capire”.

Almeno a un occhio esterno, Damanhur certamente mostra diversi tratti di questo tipo. Orgogliosamente autosufficiente, la comunità ha istituito addirittura una valuta complementare, cioè una moneta valida esclusivamente al suo interno (e che pone non pochi problemi a chi, dopo anni di lavoro retribuito in “crediti damanhuriani”, desidera fare ritorno al mondo esterno).

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Inoltre, a sottolineare la nuova identità che si assume entrando a far parte della collettività di Damanhur, ogni proselito sceglie il proprio nome, ispirandosi alla natura: un primo appellativo è mutuato da un animale o da uno spirito dei boschi, il secondo da una pianta. Così, sbirciando sul sito ufficiale, vi potete imbattere in personaggi come ad esempio Cormorano Sicomoro, avvocato, oppure Stambecco Pesco, scrittore con vari libri all’attivo e felicemente sposato con Furetto Pesca.

Oberto Airaudi, oltre ad aver operato le classiche guarigioni miracolose, ha soprattutto insegnato ai suoi accoliti delle tecniche di meditazione particolari, forgiato nuove mitologie ed elaborato una propria cosmogonia. Poco importa se a un occhio meno incline a mistici entusiasmi il tutto sembri un’accozzaglia di elementi risaputi ed eterogenei, un sincretico potpourri che senza scrupoli mescola reincarnazione, alchimia, cromoterapia, tarocchi, oracoli, Atlantide, gli Inca, i riti pagani, le correnti energetiche, i pentacoli, gli alieni… e chi più ne ha più ne metta.

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In questo senso è evidente come il Tempio dell’Umanità possa aver rappresentato un tassello fondamentale, un aggregatore eccezionale. Non soltanto i damanhuriani condividevano tra loro la stessa visione del mondo, ma erano anche esclusivi depositari del segreto di un’impresa esaltante – un lavoro non unicamente spirituale o di valore simbolico, ma concreto e tangibile.
Inoltre la costruzione degli spazi sacri sotterranei potrebbe aver contribuito ad alimentare la cosiddetta “sindrome dell’assedio”, vale a dire l’odio e la paura per i “nemici” che minacciano continuamente la setta dall’esterno. Ecco che le autorità, anche quando stavano semplicemente applicando la legge nei confronti di un’opera edilizia abusiva, potevano assumere agli occhi degli adepti il ruolo di osteggiatori ciechi alla bellezza spirituale, gretti e malvagi antagonisti degli “eletti” che invece facevano parte della comunità.

È nostra consuetudine, in queste pagine, cercare il più possibile di lasciare le conclusioni a chi legge. Risulta però difficile, con tutta la buona volontà, ignorare i segnali che arrivano dalla cronaca. Se non fosse per l’eccezionale costruzione dei Templi dell’Umanità, infatti, il copione che riguarda Damanhur sarebbe lo stesso che si ripete per quasi ogni setta: ex-membri che denunciano presunte pressioni psicologiche, manipolazioni o abusi; famigliari che lamentano la “perdita” dei propri cari nelle spire dell’organizzazione; e, in tutto questo, il guru che si sposta in elicottero, finisce indagato per evasione ed è costretto a versare un milione e centomila euro abbondanti al Fisco.

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Il controverso Oberto Airaudi, alias Falco, è morto dopo una breve malattia nel 2013. Tutto si può dire di lui, ma non che gli mancasse il dono dell’immaginazione.
Il suo progetto dei Templi dell’Umanità, infatti, non è ancora finito. La struttura esistente non rappresenta che il 10% dell’opera completa. Ma i damanhuriani stanno già pensando al futuro, e a una nuova formidabile impresa:

È importante che i rappresentanti di popoli e culture si incontrino in luoghi speciali, capaci di creare un effetto di risonanza sul pianeta. I cittadini di Damanhur, che stanno creando un nuovo popolo, si sono impegnati a costruire uno di questi “centri nervosi spirituali”, che hanno chiamato “il Tempio dei Popoli”.
In questo luogo sacro, tutti i piccoli popoli potranno incontrarsi per dare vita a un parlamento spirituale […] Come i Templi dell’Umanità, il Tempio dei Popoli sarà all’interno della terra, in un luogo di incontro di Linee Sincroniche, perché non è un edificio per impressionare gli esseri umani – come i palazzi del potere delle nazioni – ma deve essere una dimostrazione del cambiamento, della volontà e delle capacità umane alle Forze della Terra.

Le donazioni sono ovviamente ben accette e, riguardo alla possibilità di detrazione fiscale, è possibile chiedere informazioni alla responsabile. Che, lo confessiamo, porta (assieme all’avv. Cormorano Sicomoro) il nostro nome damanhuriano preferito: Otaria Palma.

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Potete fare un tour virtuale all’interno dei Templi dell’Umanità a questo indirizzo.
Il sito del CESAP (Centro Studi Abusi Psicologici) ospita una esauriente serie di articoli su Damanhur, e in rete è facile trovare informazioni riguardo alle caratteristiche settarie della comunità; se invece volete sentire la campana dei damanhuriani, potete dare un’occhiata al sito personale di Stambecco Pesco oppure dirigervi direttamente al sito ufficiale di Damanhur.

Quando muore una balena

Quando una balena morta si adagia sul fondo dell’oceano l’enorme mole della sua carcassa procura cibo a una moltitudine variegata e impressionante di animali. Il cortometraggio che vi proponiamo, diretto da Sharon Shattuck e Flora Lichtman, e animato con semplici ritagli di cartone, mostra questa straordinaria “vita dopo la morte” di un cetaceo. Come spiega il cartello finale del filmato: “Una balena può vivere dai 50 ai 75 anni. Una balena può sostentare una comunità di organismi per 50-75 anni dopo la morte“.

[vimeo http://vimeo.com/29987934]

Ed ecco un filmato in time-lapse che mostra la decomposizione di una foca: più piccola di una balena, certamente, ma altrettanto preziosa per chi potrà sopravvivere grazie alle sue carni.

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Il primo suono

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Il bambino ritratto in questo video, Jonathan, ha appena sentito per la prima volta nella sua vita la voce di sua madre. È stato attivato il suo impianto cocleare, e il suono è stato percepito dal suo cervello, nonostante Jonathan sia affetto da sordità profonda. L’impianto fornisce degli impulsi elettrici direttamente alle fibre del nervo acustico, bypassando le cellule dell’orecchio interno (cellule ciliate) danneggiate. Gli impulsi, una volta raggiunto il cervello, vengono interpretati come suoni. Non si tratta quindi di un apparecchio che amplifica semplicemente i suoni, ma che fornisce impulsi al nervo a seconda del rumore che percepisce.

L’impianto cocleare ha sollevato una certa polemica (almeno in America) da parte della comunità dei sordomuti. Sembra difficile comprenderlo per chi ha un udito normale, ma la comunità sordomuta ha costruito negli anni una sua vera cultura, con un proprio linguaggio e una propria filosofia, che rischia di essere spazzata via da queste nuove tecnologie. Sintetizzando, i sordomuti ritengono che la sordità non sia un handicap, ma una diversa risorsa fisica, e non vogliono necessariamente divenire “normali” uditori. Non sognano un futuro in cui anche chi ha problemi di udito sarà capace di  sentire, ma auspicano soltanto una maggiore autonomia. Si sentono, per così dire, una “minoranza etnica”.

Quello che ci ha conquistato in queste testimonianze dell’accensione dell’impianto cocleare, e della percezione dei primissimi suoni, è il senso di meraviglia e di stupore per qualcosa che la maggior parte di noi dà per scontato. Alcuni volti si illuminano, altri sono vinti dal terrore a causa di un’esperienza così nuova. Sapendo quanti e quali problemi di integrazione e di crescita può comportare la sordità, non possiamo che sorridere di fronte a questo improvviso crollo di quello che sentiamo come una barriera. Ci viene naturale pensare subito, al di là della comunicazione quotidiana, anche alla musica. Queste persone, questi bambini,  potranno ascoltare Bach, Zappa, Miles Davis o i Led Zeppelin… e anche, a seconda dei gusti, Lady Gaga o Tom Waits… e per noi questa prospettiva non può essere che una fonte di gioia.

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Ed ecco altri video:

Elena

Solomon