C’era una volta una famiglia di Giganti che stava attraversando le Alpi: scavalcando le montagne, falcata dopo falcata, verso chissà quale destinazione.
Il figlioletto, un bambino alto circa 100 metri, piangeva a dirotto, e i suoi singhiozzi riecheggiavano per le valli. Era disperato perché aveva perso il suo coniglio di peluche; ma purtroppo non c’era tempo per tornare indietro a cercarlo. Mamma Gigantessa lo prese in braccio per consolarlo, e la marcia continuò.
Questo è quanto potremmo immaginare imbattendoci nella strana fotografia satellitare qui sotto. Cosa ci fa un enorme coniglio rosa a 1600 metri di altitudine sulle montagne piemontesi?
Posto sul Colletto Fava vicino al Bar La Baita, proprio sopra al paesino di Artesina in provincia di Cuneo, il coniglio è lungo 50 metri, ricoperto di lana, imbottito con mille metri cubi di paglia, ed ha richiesto cinque anni di lavoro a maglia. È stato creato nel 2005 dal collettivo viennese Gelitin, composto da quattro artisti dalle idee bizzarre e spesso geniali.
Ma non lasciatevi ingannare: se l’idea di un coniglio rosa gigante vi sembra fin troppo kawaii, l’installazione ha in realtà un effetto davvero perturbante. Le dimensioni innaturali del peluche contrastano con il paesaggio, il colore rosa shocking lo stacca dal resto del panorama: l’idea di posizionarlo lontano dalle gallerie d’arte o dai centri urbani, elemento artificiale “abbandonato” in un contesto naturale, contribuisce alla sensazione di disagio. La posa del peluche, inoltre, dà l’inquietante impressione di qualcosa di morto e in effetti le interiora del coniglio (cuore, fegato, budella, tutte di lana) fuoriescono dal suo fianco.
E non è tutto. Il coniglio resterà esposto agli elementi fino al 2025. Questo significa che i visitatori potranno, nel tempo, assistere a una vera e propria dissoluzione dell’opera d’arte; già adesso, a distanza di quasi dieci anni dall’inizio del progetto, la decomposizione del coniglio è in fase avanzata. Se fino a qualche tempo fa ci si poteva ancora arrampicare sul corpo del peluche, e sdraiarsi sul suo petto a prendere il sole, oggi l’installazione comincia a mostrare il suo lato più crudele e beffardo. Le intemperie hanno squarciato in più punti la superficie del pupazzo, esponendo la paglia sottostante e donando al povero coniglio l’aspetto di una vera e propria carcassa.
Il collettivo artistico austriaco, ben conscio dell’effetto destabilizzante che nel tempo avrebbe assunto l’opera, ha usato queste splendide righe per descrivere il proprio lavoro:
Le cose che si possono trovare vagando nel paesaggio: cose familiari, e completamente sconosciute, come un fiore che non si è mai visto prima oppure, come Colombo scoprì, un continente inesplicabile; e poi, dietro una collina, come lavorato a maglia da nonne giganti, giace questo vasto coniglio, per farti sentire piccolo come una margherita. La creatura, rosa come carta igienica, è sdraiata sulla schiena: una montagna-coniglio come Gulliver a Lilliput. Che felicità scalarlo lungo le orecchie, quasi cadendo nella sua bocca cavernosa, fino alla cima della pancia, e guardare verso il rosa panorama lanoso del corpo del coniglio, un paese caduto dal cielo; orecchie e arti che si dipanano verso l’orizzonte; dal suo fianco veder fluire il cuore, il fegato e gli intestini. Felicemente innamorato scendi dal cadavere putrescente, verso la ferita, ora piccolo come una larva, sopra i reni e le budella di lana. Felice te ne vai come la larva che acquista le sue ali da una carcassa innocente sul bordo della strada. Tale è la felicità che diede forma a questo coniglio. Io amo il coniglio e il coniglio mi ama.
Fra dieci anni, quando l’opera si potrà dire definitivamente conclusa, del coniglio gigante non rimarrà più traccia. Sarà stato “digerito” e assorbito dalla natura, come accade a tutto e a tutti.
Il 19 novembre 1726 un breve ma insolito articolo apparve sul Weekly Journal, giornale inglese:
“Da Guildford ci arriva una strana ma ben testimoniata notizia. Che una povera donna che vive a Godalmin, vicino alla città, è stata il mese scorso aiutata da Mr. John Howard, Eminente Chirurgo e Ostetrico, a partorire una creatura che assomigliava ad un coniglio, ma con cuore e polmoni cresciuti fuori dal torace, 14 giorni dopo che lo stesso medico le aveva fatto partorire un coniglio perfettamente formato; e pochi giorni dopo, altri 4; e venerdì, sabato e domenica, un altro coniglio al giorno; e tutti e nove morti vedendo la luce. La donna ha giurato che due mesi fa, lavorando in un campo con altre donne, incontrarono un coniglio e lo rincorsero senza un motivo: questo creò in lei un desiderio così forte che (essendo incinta) abortì il suo bambino, e da quel momento non è capace di evitare di pensare ai conigli”.
Letta così sembra una di quelle leggende scaturite dall’idea, diffusa all’epoca, che qualsiasi cosa impressionasse la mente di una donna incinta (un sogno, o un animale veduto durante la gravidanza) poteva marchiare in qualche modo anche il feto, dando origine a difetti di nascita. Eppure questa storia si sarebbe presto tramutata in uno dei più grossi scandali medici degli albori.
La donna dell’articolo era Mary Toft, contadina di 24 o 25 anni, sposata e con tre figli. Come tutte le compaesane, Mary non aveva smesso il lavoro nei campi con la gravidanza; e quando, nell’agosto precedente, aveva avvertito dei dolori al ventre, si era accorta con orrore di aver espulso dei pezzi di carne. Poteva forse essere un aborto, ma stranamente la gravidanza continuò e quando il 27 settembre Mary partorì, uscirono soltanto delle parti che sembravano animali. Questi resti vennero inviati a John Howard, il medico citato nell’articolo, che inizialmente si dimostrò scettico. Si recò ciononostante a visitare Mary Toft ed esaminandola non trovò nulla di strano; eppure nei giorni successivi le doglie ricominciarono, e nuove parti di animali continuarono a essere espulse dall’utero della donna: gambe di gatto, gambe di coniglio, budella e altri pezzi di animali irriconoscibili.
A quel punto la storia stava cominciando a fare scalpore, anche perché la stampa esisteva da poco, ed era la prima volta che un caso simile veniva seguito contemporaneamente, “in diretta”, in tutta l’Inghilterra. Un altro chirurgo, Nathaniel St. André, si interessò al caso, e su ordine della Famiglia Reale si recò a Guildford, dove Howard aveva condotto Mary Toft offrendo a chiunque dubitasse della storia di assistere a uno degli straordinari parti. Nel frattempo la donna aveva infatti dato alla luce altri tre conigli, non completamente formati, che apparentemente scalciavano nell’utero prima di morire e venire espulsi.
St. André, arrivato a Guildford, potè quindi investigare il caso direttamente e restò impressionato: il 15 novembre, nel giro di poche ore, Mary Toft partorì il torso di un coniglio. St. André esaminò il torso, immerse i polmoni in acqua per vedere se l’animale avesse respirato aria (e infatti i polmoni galleggiavano) ed esaminò accuratamente la donna. La sua diagnosi fu che i conigli si sviluppavano sicuramente all’interno delle tube di Falloppio. Nei giorni seguenti dall’utero della donna uscirono un altro torso, la pelle di un coniglio e, pochi minuti dopo, la testa.
Il re Giorgio I, affascinato dalla storia, decise di inviare un altro medico a Guildford: si trattava di Cyriacus Ahlers – e questa fu la svolta. Ahlers, infatti, era segretamente scettico sull’intera vicenda, e tenne gli occhi ben aperti. Non trovò segni di effettiva gravidanza sulla donna, ma anzi notò una cosa piuttosto sospetta: prima dei famosi parti, la donna sembrava stringere le ginocchia come per impedire che qualcosa cadesse. Ahlers cominciò a dubitare anche di Howard, l’ostetrico, che si rifiutava di lasciare che fosse Ahlers ad assistere la donna durante le contrazioni. Non lasciò trapelare i suoi dubbi, ma disse a tutti i presenti di credere alla storia, e con una scusa lasciò Guildford, portando con sé alcuni pezzi di coniglio. Esaminandoli con più cura, scoprì che sembravano essere stati macellati con uno strumento da taglio, e notò tracce di grano e paglia nei loro intestini, come se provenissero da un allevamento. Riportò tutto questo al Re e in poco tempo lo scandalo esplose.
Mary fu portata a Londra e alloggiata in carcere, per ulteriori esami, e nella comunità scientifica si formarono immediatamente due fazioni: da una parte gli scettici, Ahlers in prima linea; dall’altra Howard e St. André, che erano convinti sostenitori della genuinità dei prodigiosi eventi. La stampa diede eccezionale risonanza al dibattito e le cose precipitarono quando un inserviente della prigione ammise di essere stato corrotto dalla cognata di Mary Toft affinché introducesse un coniglio nella cella della donna.
Il 7 dicembre, dopo essere stata esaminata da decine di medici e sottoposta ad estenuanti interrogatori e alle minacce di una dolorosa operazione chirurgica, Mary Toft cedette e confessò: era stata tutta una truffa. Dopo il suo aborto spontaneo, quando la cervice era ancora dilatata, aveva con l’aiuto di un complice inserito nell’utero le zampe e il corpo di un gatto, e la testa di un coniglio. In seguito, le parti di animali erano state posizionate più esternamente, nella vagina. Mary Toft venne immediatamente incarcerata con l’accusa di “vile truffa e impostura”. Anche i diversi medici implicati, Howard e St. André su tutti, vennero citati in tribunale e a loro discolpa si dichiararono all’oscuro della frode.
Ma lo smascheramento dell’inganno fu una bomba soprattutto per l’immagine della medicina nell’opinione pubblica: articoli satirici apparvero in ogni giornale, prendendosi beffa della credulità dei chirurghi implicati nel caso, e dei medici tout court. Le ballate popolari si incentrarono immediatamente sui dettagli più volgari della vicenda e le barzellette si affollarono di conigli maliziosi e grandi luminari della scienza fatti fessi da una contadina. La risonanza fu internazionale e persino Voltaire, dalla Francia, indicò il caso di Mary Toft come un esempio di quanto gli Inglesi protestanti fossero influenzati da una Chiesa ignorante e da antiche superstizioni.
La professione sanitaria venne talmente danneggiata in poco tempo che decine e decine di medici cercarono disperatamente di dichiararsi estranei ai fatti o di provare che erano stati fin dall’inizio scettici sul caso. Molte carriere vennero stroncate dall’abbaglio preso, e altre ci misero lustri a riprendersi dal tonfo.
La folla stazionava davanti alla prigione in cui Mary Toft era rinchiusa, nella speranza di vederla anche solo di sfuggita. Nel 1727 Mary fu liberata e tornò a casa. Da allora di lei si seppe poco, se non che ebbe una figlia e qualche altro piccolo guaio con la legge, fino alla sua morte nel 1763. Ma nonostante questo suo forzato “ritiro” dalle scene, il suo nome visse ancora a lungo nelle canzoni, e venne immancabilmente rispolverato ogni volta che i grandi geni della scienza facevano un clamoroso, ridicolo passo falso.
Su Bizzarro Bazar abbiamo già affrontato alcune parafilie e feticismi sessuali, ma quello di cui parliamo oggi è davvero una forma di feticismo estrema e controversa, eticamente discutibile nonché francamente di cattivo gusto. Ci pare giusto segnalare l’argomento perché diamo sempre spazio a tutto ciò che è sorprendente e “diverso”, ma il lettore ci perdonerà se non abbiamo voluto inserire troppe immagini o filmati in questo articolo. Di sicuro stiamo per discutere di un argomento che i più riterranno malato, morboso e crudele, moralmente inaccettabile. Per noi è qualcosa su cui vale la pena interrogarsi, dal punto di vista antropologico, perché in definitiva “anche questo è l’uomo”.
Affrontiamo quindi lo spinoso argomento del crush fetish. Si tratta di una parafilia che consiste nel desiderio di vedere altre persone (normalmente il proprio partner, o comunque di qualcuno di desiderabile) che calpesta oggetti o animali. Sì, avete letto bene, animali. I piedi (nudi o con scarpe di diversa foggia, normalmente con tacchi a spillo) divengono solitamente l’idolo feticistico, anche se alcune altre varianti sono contemplate, come ad esempio lo schiacciamento sedendosi sopra alla vittima.
Per essere ancora più espliciti, gli amanti di questo genere di macabra pornografia si eccitano generalmente vedendo belle donne che calpestano e schiacciano insetti, ragni, vermi e in alcuni casi estremi piccoli mammiferi, come topi, e cuccioli di cane e gatto, uccidendoli. Non si tratta di un’eccitazione legata direttamente alla violenza sugli animali (non avrebbe lo stesso effetto, poniamo, vedere uccidere un animale in un macello), ma è direttamente legata ad un feticismo per i piedi e per l’atto di calpestare.
Su internet, i siti dedicati al crush fetish non si contano. Contengono soprattutto filmati di piedi in cui vengono ridotti in poltiglia scarafaggi, insetti, lumache, ragni, piccoli crostacei e invertebrati di vario genere. Ma talvolta i video vedono come vittime anche serpenti, tartarughe, cavie, rane e mammiferi. Qualche anno fa esplose un caso di cui parlarono anche i giornali: tre video apparvero sulla rete, aventi per protagonista la medesima donna, dettaglianti l’abominevole morte rispettivamente di un coniglio, un cucciolo di cane e un piccolo gatto, straziati dai tacchi della donna in un’insopportabile agonia.
Gli autori dei filmati, entrambi cinesi, vennero rintracciati dalla polizia e portati in tribunale. Si trattava di un cameraman televisivo e di una infermiera d’ospedale. All’inizio caddero dalle nuvole, adducendo come motivazione che non pensavano di aver fatto nulla di male. Susseguentemente, la donna disse che la causa del suo consenso a girare quei video era la depressione dovuta al suo divorzio. Entrambi persero il lavoro, ma non essendoci una vera e propria legislazione in Cina che penalizzi la violenza sugli animali, nessuno dei due venne arrestato.
Per quanto si tratti di una fissazione piuttosto di nicchia (si parla al massimo di qualche migliaio di “adepti” in tutto il mondo), è interessante cercare di capire cosa possa spingere una persona ad eccitarsi con una pratica tanto barbara e repulsiva. Come abbiamo ribadito più volte, se ci si addentra nel mondo della parafilie qualsiasi tabù crolla e si viene a contatto con un’umanità capace delle cose più inspiegabili.
Per comprendere un po’ più a fondo il mondo dei feticisti del crush, occorre ascoltare le dichiarazioni del regista che maggiormente ha legato il suo nome a questo tipo di produzioni video: Jeff Vilencia. Si tratta di un regista americano, egli stesso feticista di questo genere di filmati, che ha prodotto un’enorme quantità di materiale di questo tipo. Nonostante si sia sempre limitato a insetti e altri invertebrati, non arrivando mai agli estremi della coppia cinese di cui parlavamo prima, e nonostante egli abbia per il momento bloccato la sua produzione in attesa di una legge statunitense che faccia chiarezza sulla legalità di questi filmati, è sicuramente un esperto in materia.
“Il sentimento è quello di lasciarsi andare, impotenti, senza speranza, piccoli, minuscoli e simili ad insetti. Voler vedere una donna che schiaccia qualcosa con il suo piede, desiderare di essere un insetto senza via di fuga, mentre ti agiti in tondo sotto la suola del suo piede mentre lei ti schiaccia il corpo in poltiglia. Se dovessi tentare di motivare questa passione, mi vengono in mente diverse cose… incluso il complesso di Edipo, perché di sicuro abbiamo visto le nostre madri uccidere un insetto e altre persone farlo, e io penso che l’immaginario di una gigantessa, che è più comune di quanto si pensi, venga direttamente dall’infanzia. Da qualche parte si è stabilita una connessione sessuale fra il vedere tutte le donne con i tacchi e vedere noi stessi come molto piccoli…”
È chiaro da queste parole che il feticista si identifica con l’animale spiaccicato. Venire calpestato da una donna, vedersi come un piccolo insetto senza possibilità di difesa, sembra eccitare questi uomini (infatti, come da definizione, questa parafilia come gran parte delle altre è quasi esclusivamente maschile). Ma come possono coniugare gli amanti del crush questa loro ossessione con i veri e propri dilemmi morali che questa pratica comporta? Non si accorgono che questo atto, anche se compiuto su insetti e piccole creature, è comunque una crudele violenza sugli animali? Risponde ancora una volta Vilencia, forse l’unico dei feticisti crush ad avere il coraggio di esprimere il suo punto di vista.
“Penso che sia completamente innocuo, perché è una fantasia e non possiamo veramente esperirla (non possiamo farci schiacciare da un piede). Possiamo solo realizzarla nella nostra mente e penso che in definitiva sia più sicuro così. Se uno si eccita a schiacciare insetti, o vederlo fare, non ci vedo niente di più crudele che andare al supermercato e comprare un insetticida, perché gli umani odiano gli insetti”.
In altre interviste, Vilencia ha affermato che finché si uccidono gli animali per mangiare, o per ottenere capi di alta moda, in pochi si scandalizzano: appena lo stesso processo viene utilizzato per il piacere sessuale, si scatena il putiferio.
Chiaramente le sue difese non appaiono particolarmente razionali, ma sono di sicuro interesse per comprendere quale profondo desiderio scateni questo genere di attrazione. È inoltre da sottolineare che la legislazione in materia è piuttosto carente, e varia da stato a stato. In alcuni paesi questo tipo di filmati sono stati dichiarati illegali, in altri le restrizioni di legge sono state contestate perché, estendendo il veto a tutte le categorie di filmati che mostrano violenze sugli animali, potrebbero venire reputati illegali anche i filmati di denuncia riguardanti le battaglie di cani o situazioni affini. Contando sulla libertà di espressione, garantita dal primo emendamento degli Stati Uniti, questi filmati sono paragonati a quelli girati di nascosto nei mattatoi per denunciare le violenze subite dagli animali, rendendoli così ufficialmente legali.
Di sicuro rimane il dato che Vilencia ha fra gli iscritti al suo sito e alla sua fanzine almeno un migliaio di soli americani. Se si estende al mondo intero questa cifra, è chiara l’entità della parafilia di cui stiamo parlando.
Inserendo in un motore di ricerca le parole chiave “crush fetish”, appaiono diverse decine di siti che commercializzano materiale di questo genere (credeteci, non volete vederli). Contando che i filmati vengono venduti singolarmente dai 30 ai 100 dollari, il business è evidente. Le parafilie vendono sempre molto bene. La cosa che maggiormente può turbare è il fatto che in questo caso a farne le spese siano degli animali innocenti. Le varie associazioni di animalisti non hanno tardato a farsi sentire, tanto che anche il celebre attore Mickey Rooney ha parlato a sfavore di questa pratica.
Per i possessori di animali esotici, quali rettili e insetti predatori di grosse dimensioni, una delle pratiche più comuni è il cosiddetto live feeding, ossia il nutrire gli animali con prede ancora vive.
Il gesto può sembrarci disumano e crudele, ma determinate specie tenute in cattività hanno spesso il bisogno di alternare il cibo preparato (già morto) con diete a base di animali vivi, in modo da non perdere il proprio equilibrio motorio e l’istinto predatorio. Se una preda viva è inserita nella gabbia, viene ricreata una situazione parzialmente similare a quella che l’animale esperirebbe nella natura. Per questo, molti allevatori ricorrono al live feeding per mantenere inalterate le peculiarità etologiche della specie in questione.