Links, Curiosities & Mixed Wonders – 17

Model Monique Van Vooren bowling with her kangaroo (1958).

We’re back with our bizarre culture column, bringing you some of the finest, weirdest reads and a new reserve of macabre anecdotes to break the ice at parties.
But first, a couple of quick updates.

First of all, in case you missed it, here’s an article published by the weekly magazine Venerdì di Repubblica dedicated to the Bizzarro Bazar web series, which will debut on my YouTube channel on January 27 (you did subscribe, right?). You can click on the image below to open the PDF with the complete article (in Italian).

Secondly, on Saturday 19 I’m invited to speak in Albano Laziale by the theater company Tempo di Mezzo: here I will present my talk Un terribile incanto, this time embellished by Max Vellucci’s mentalism experiments. It will be a beautiful evening dedicated to the marvelous, to the macabre and above all to the art of “changing perspective”. Places are limited.

And here we go with our links and curiosities.

  • In the 80s some lumberjacks were cutting a log when they found something extraordinary: a perfectly mummified hound inside the trunk. The dog must have slipped into the tree through a hole in the roots, perhaps in pursuit of a squirrel, and had climbed higher and higher until it got stuck. The tree, a chestnut oak, preserved it thanks to the presence of tannins in the trunk. Today the aptly-nicknamed Stuckie is the most famous guest at Southern Forest World in Waycross, Georgia. (Thanks, Matthew!)

  • Let’s remain in Georgia, where evidently there’s no shortage of surprises. While breaking down a wall in a house which served as a dentist’s studio at the beginning of the 20th century, workers uncovered thousands of teeth hidden inside the wall. But the really extraordinary thing is that this is has already happened on three other similar occasions. So much so that people are starting to wonder if stuffing the walls with teeth might have been a common practice among dentists. (Thanks, Riccardo!)
  • The state of Washington, on the other hand, might be the first to legalize human composting.
  • Artist Tim Klein has realized that puzzles are often cut using the same pattern, so the pieces are interchangeable. This allows him to hack the original images, creating hybrids that would have been the joy of surrealist artists like Max Ernst or Réné Magritte. (via Pietro Minto)

  • The sweet world of our animal friends, ep. 547: for some time now praying mantises have been attacking hummingbirds, and other species of birds, to eat their brains.
  • According to a NASA study, there was a time when the earth was covered with plants that, instead of being green, were purple
  • This year, August 9 will mark the fiftieth anniversary of one of the most infamous murders in history: the Bel Air massacre perpetrated by the Manson Family. So brace yourselves for a flood of morbidity disguised as commemorations.
    In addition to the upcoming Tarantino flick, which is due in July, there are at least two other films in preparation about the murders. Meanwhile, in Beverly Hills, Sharon Tate’s clothes, accessories and personal effects have already been auctioned. The death of a beautiful woman, who according to Poe was “the most poetical topic in the world“, in the case of Sharon Tate has become a commodity of glam voyeurism and extreme fetishization. The photos of the crime scene have been all over the world, the tomb in which she is buried (embracing the child she never got to know) is among the most visited, and her figure is forever inseparable from that of the perfect female victim: young, with bright prospects, but above all famous, beautiful, and pregnant.
  • And now for a hypnotic dance in the absence of gravity:

  • Meanwhile, Hollywood’s most celebrated actors are secretly 3D-scanning their faces, so they can continue to perform (and earn millions) even after death.
  • In the forests of Kentucky, a hunter shot a two-headed deer. Only thing is, the second head belonged to another deer. So there are two options: either the poor animal had been going around with this rotting thing stuck between its horns, for who knows how long, without managing to get rid of it; or — and that’s what I like to think — this was the worst badass gangster deer in history. (Thanks, Aimée!)

  • Dr. Frank Netter’s illustrations, commissioned by pharmaceutical companies for their fliers and brochures, are among the most bizarre and arresting medical images ever created.
  • This lady offers a perfect option for your funeral.
  • Who was the first to invent movable-type printing? Gutenberg, right? Wrong.
  • Sally Hewett is a British artist who creates wonderful embroided portraits of imperfect bodies. Her anatomical skills focus on bodies that bear surgical scars or show asymmetries, modifications, scarifications, mastectomies or simple signs of age.
    Her palpable love for this flesh, which carries the signs of life and time, combined with the elegance of the medium she uses, make these artworks touching and beautiful. Here’s Sally’s official website, Instagram profile, and a nice interview in which she explains why she includes in all her works one thread that belonged to her grandmother. (Thanks, Silvia!)

Henry Cotton

– Dottore, ho dei continui sbalzi di umore.
– Non si preoccupi. Le togliamo un paio di denti, e tornerà come nuovo.
– Sono anche un po’ depresso.
– Allora, oltre ai canini, le rimuoviamo chirurgicamente il colon.

Poche teorie mediche hanno avuto una vita travagliata come quella sulle infezioni focali: propugnata a spada tratta all’inizio del ‘900, poi abbandonata a metà secolo, e in seguito riesumata dati alla mano negli anni ’90, è una di quelle strane nebulose che ancora è difficile dipanare. L’infezione focale è un’infezione secondaria che, partendo da un focus, cioè un focolaio infettivo, per qualche ragione riesce ad arrivare ad organi e parti del corpo distanti dal focus originario. Un esempio per tutti sono le tonsille che, se non curate durante l’infezione da streptococco, potrebbero far ammalare il bambino in siti distanti dalla gola, come i reni, l’endocardio, le vie urinarie o le articolazioni.
Che questi “passaggi” di infezioni in punti diversi del corpo possano esistere (anche se non con la frequenza un tempo stimata) sembrerebbe ormai piuttosto sicuro; ma in che modo questo avvenga è ancora oggetto di studio. Nel corso degli anni il processo e l’effetto a distanza di origine focale è stato attribuito alla diffusione dei batteri, oppure delle tossine, a reazioni di tipo allergico, ormonale, e via dicendo. Secondo alcuni studiosi i dati sarebbero però contrastanti, confusi e addirittura l’intera teoria potrebbe anche rivelarsi errata.

Nella prima metà del ‘900, comunque, le infezioni focali erano una vera e propria moda per medici e dottori, e a farne le spese erano spesso i denti dei pazienti. Da quando nel 1910, in un celebre discorso alla McGill University, il chirurgo inglese William Huter aveva indicato nelle infezioni alla bocca la causa prima di un impressionante elenco di malattie sistemiche (anemia, gastrite, colite, febbri oscure, disturbi nervosi, infezioni reumatiche, malattie renali), si era presto diffusa l’idea che le estrazioni dentali e le tonsillectomie potessero curare i più svariati disturbi. Così qualsiasi dente malato veniva estirpato, senza se e senza ma, e qualche medico avanzò perfino l’idea che perfino alcuni fra i denti sani andassero estratti dalla bocca del paziente… come forma di prevenzione. Altri proponevano che i dentisti che ancora si intestardivano a praticare devitalizzazioni e odontoiatria conservativa venissero puniti con sei mesi di lavori forzati. In tutta questa frenesia, com’è facile immaginare, molti pazienti si ritrovarono completamente sdentati.

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Naturalmente, quando una teoria è elegante e sembra poter spiegare molte cose assieme, c’è sempre chi ha la tendenza ad esagerare. In questo caso, l’uomo che spinse queste idee un po’ troppo oltre si chiamava Dr. Henry A. Cotton, ed era il direttore medico del Trenton State Hospital nel New Jersey.

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Henry Cotton mostrava senza dubbio delle idee progressiste: fra le altre iniziative, decise di abolire il contenimento dei pazienti psichiatrici (che fino ad allora venivano regolarmente legati al letto con cinghie di cuoio e altri metodi restrittivi) e istituì riunioni quotidiane con lo staff per discutere approfonditamente i progressi dei pazienti e risolvere qualsiasi problema relativo alle cure mediche. Auspicava che i manicomi venissero sostituiti da strutture più simili agli ospedali, ma inserite in contesti bucolici e piacevoli, in modo da creare un “ambiente sano per le persone che non lo sono”.
Il vero errore di Cotton fu quello di applicare le contemporanee teorie sulle infezioni focali (ancora agli albori) alla psichiatria.
E se altri studiosi avevano soltanto ipotizzato che alcuni disturbi nervosi potessero in realtà essere causati da focolai insospettabili, per esempio un ascesso all’interno della bocca, Cotton dal canto suo passò all’azione, convinto di poter curare gran parte delle malattie mentali con le tenaglie da dentista.

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Al Trenton State Hospital, lo staff del dottor Cotton estrasse più di 11.000 denti.
Il metodo di Cotton per perseverare nel suo errore era rigoroso: se l’estrazione dei denti non era sufficiente a far guarire il paziente affetto da psicosi o da schizofrenia, evidentemente il focolaio d’infezione non si trovava lì. Si passava quindi alla tonsillectomia, e alle procedure chirurgiche per pulire i seni nasali. Se ancora la malattia mentale non scompariva, per Cotton non c’era dubbio che il responsabile fosse qualche altro organo infetto, che andava prontamente rimosso.

La lista degli organi asportati chirurgicamente ai pazienti di Henry Cotton fa venire i brividi. C’è chi perse i testicoli, chi le ovaie o la cervice; altri si ritrovarono senza cistifellea, senza milza, addirittura senza stomaco; nella maggior parte dei casi il principale responsabile delle infezioni focali era giudicato il colon.
Il problema è che all’epoca non c’erano antibiotici, e gli interventi chirurgici erano spesso fatali o comportavano complicazioni post-operatorie: la figlia dell’economista Irving Fisher, Margaret, morì proprio a seguito di un’infezione, contratta in seguito a diverse operazioni. Cotton le aveva diagnosticato una “marcata ritenzione di materia fecale nel colon cieco con marcato ispessimento dell’area”. In breve tempo i pazienti cominciarono ad essere comprensibilmente terrorizzati all’idea di finire sotto i ferri del chirurgo (saranno stati anche malati di mente, ma non erano di certo matti). In alcuni casi i degenti vennero portati di forza nella sala operatoria. Oggi un’idea del genere ci fa indignare, ma all’epoca l’etica medica non andava al di là di chiedere il consenso ai genitori del paziente. E comunque, come scrive Nathan Belofsky, “pochi si lamentavano, e quelli che lo facevano erano considerati pazzi, quindi nessuno li stava a sentire“.

Henry Cotton, in tutto questo, guadagnava fama e popolarità: le sue terapie rivoluzionarie avevano, a suo dire, una percentuale di successo dell’85%. Le onorificenze cominciarono a piovere sullo psichiatra dalle associazioni mediche di tutto il mondo, e i pazienti facevano la fila per essere trattati con le sue tecniche d’avanguardia. D’altronde, soprattutto in quell’epoca, i manicomi erano nella pratica delle carceri in cui si entrava per non uscirne più, e per chi soffriva di una malattia nervosa o mentale l’idea di risolvere tutto con una semplice operazione chirurgica doveva sembrare un sogno.

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Ma i primi problemi per Cotton dovevano presto arrivare, e proprio da dove erano meno attesi. Il Dr. Meyer era stato insegnante di Cotton, ed era uno dei fautori della teoria. Uno dei membri del consiglio di amministrazione del Trenton State Hospital, sapendo che poteva contare sulla sua benevolenza, gli commissionò uno studio indipendente sui metodi di Cotton, forse nella speranza di una buona pubblicità. Meyer affidò l’inchiesta a un’altra sua ex-studente, Dr. Phyllis Greenacre, pensando che tutto sarebbe andato liscio. La giovane Greenacre, però, tornò da lui con un resoconto piuttosto scottante: prima di tutto l’ospedale di Cotton, che veniva vantato come la punta di diamante dell’avanguardia dal volto particolarmente “umano”, le era in verità sembrato malsano e insalubre tanto quanto i vecchi manicomi. Inoltre i pazienti le erano sembrati fin dall’inizio stranamente inquietanti, finché non si era resa conto del motivo di questo disagio: erano quasi tutti senza denti, incapacitati ad articolare bene i suoni o a mangiare. Lo stesso Cotton le apparve come un personaggio ambiguo (“è singolarmente peculiare”, annoterà). Ma il vero punto caldo che la Greenacre portò alla luce fu un dubbio scandaloso: la giovane dottoressa avanzò più di una riserva sui metodi statistici impiegati da Cotton per arrivare a quell’85% di successo nelle terapie che il dottore pubblicizzava. I registri erano caotici e imprecisi, con dati che spesso si contraddicevano da soli.

Queste dure critiche al metodo Cotton giunsero fino al Senato del New Jersey, che aprì un’inchiesta, ma il tutto si risolse in una bolla di sapone, anche grazie alle conoscenze altolocate del primario. La Greenacre venne messa a tacere da Adolf Meyer, e i più eminenti scienziati testimoniarono che la clinica di Cotton era la più tecnologicamente avanzata e la “più progredita del mondo nella cura dei folli, e che il nuovo metodo di trattamento per rimozione dell’infezione focale pone l’istituzione in una posizione unica per quanto riguarda gli ospedali per i malati di mente”.

Nel frattempo, Cotton aprì una sua clinica privata per esaudire le richieste dei pazienti più facoltosi, in cui riproponeva i suoi metodi. Metodi, gli va dato atto, in cui probabilmente aveva una fede cieca, se dobbiamo dare credito alla diceria che egli stesso si sia curato da un inizio di depressione facendosi togliere alcuni denti marci.

Nel 1930 Cotton andò in pensione, forse spinto dalla crescente ondata di scetticismo sulle sue pratiche mediche; proprio quando altri studi e altre inchieste stavano venendo alla luce, smontando di fatto tutte le statistiche presentate da Cotton e dai suoi collaboratori, egli, con encomiabile tempismo, morì di infarto fulminante nel 1933. La sua fama era ancora intonsa, ed egli venne elogiato nei necrologi come un pioniere nella battaglia contro le malattie mentali.

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Le parti abbandonate del Trenton State Hospital (le tre foto sono di Scott Haefner (http://scotthaefner.com/)

Per chi fosse interessato, il libro pubblicato da Henry Cotton nel 1921, The Defective Delinquent And Insane: the relation of focal infections to their causation, treatment and prevention è consultabile online a questo indirizzo. Questa pagina (in inglese) contiene informazioni aggiuntive sulla carriera di Cotton.

Il palo del barbiere

Il palo del barbiere è un’insegna antichissima, che distingue questa attività sin dal Medioevo. Si tratta di un’asta più o meno lunga, con un pomo di bronzo all’estremità, e una spirale di strisce bianche e rosse che ne percorre la lunghezza (nella versione americana, compare anche il colore blu). Ma che significato ha?

Nell’antica Roma, farsi radere la barba era un implicito dovere di ogni adulto che non volesse sfigurare in società: se un uomo non era rasato, o era un filosofo o era un soldato, oppure… un barbone, appunto. Di conseguenza i tonsor erano fra i professionisti più pagati fra tutti, tanto che poeti satirici come Marziale o Giovenale non perdono occasione di ironizzare sugli ex-barbieri divenuti nobili cavalieri, che devono il loro successo alla forfex più che alla spada.


Nel Medioevo, però, i barbieri assunsero anche un’altra funzione. Fra il 1123, anno del primo Concilio Lateranense, e il 1215, anno del quarto Concilio Lateranense, ai sacerdoti cattolici e ai diaconi venne proibito di praticare la medicina a discapito della loro funzione ecclesiastica. Fino ad allora, infatti (ne avevamo già parlato in questo articolo) erano proprio i religiosi che, edotti di anatomia, curavano i malati e spesso eseguivano piccole operazioni. Quando la Chiesa cominciò ad esigere il distacco da queste pratiche, furono i barbieri ad occupare la “nicchia” di lavoro appena liberatasi.

Nella bottega del barbiere quindi non ci si recava solo per tagliarsi i capelli o regolare la barba: in condizioni igieniche a dir poco aberranti, venivano svolti anche servizi quali l’incisione di ascessi, la ricomposizione delle fratture, l’estrazione di denti marci e la rimozione (lenta e paziente) di pidocchi, pulci e zecche.


Ma nessuno di questi compiti era importante quanto la vera specialità dei barbieri: il salasso. Il prelievo di sangue (flebotomia) è un rimedio antico come il mondo, praticato già nell’antica Mesopotamia e in Egitto; la terapia, oggi ovviamente abbandonata, si basava sull’idea che il cibo si trasformasse in sangue all’interno del fegato, e venisse poi consumato con l’esercizio fisico: ma se questo sistema non funzionava correttamente, il sangue poteva ristagnare nel corpo, causando diversi disturbi, come mal di testa, febbre, fino addirittura all’infarto. Il controllo e il bilanciamento degli umori avveniva tramite l’incisione delle vene (o l’applicazione di sanguisughe, vedi questo post) in combinazione con farmaci emetici, per indurre il vomito, o diuretici.


I chirurghi veri e propri ritenevano l’arte del salasso una pratica minore, ben al di sotto del loro status, e spedivano dal barbiere tutti i pazienti a loro parere curabili con un semplice prelievo di sangue.

Come altri artigiani, i barbieri si ingegnarono presto per trovare un modo di pubblicizzare la propria attività: ma all’inizio non ci andarono tanto per il sottile. Nella Londra medievale, ogni bottega esponeva alla finestra dei grandi boccali ripieni del sangue dei clienti, in modo che anche il più distratto dei passanti li notasse.

Nel 1307, la gente di Londra decise che ne aveva abbastanza di questi vasi ripieni di sangue putrido e coagulato, e venne emanata una legge che ordinava: “nessun barbiere sarà così temerario o ardito da mettere sangue nelle finestre”. La stessa legge imponeva ai barbieri di disfarsi dei liquidi corporali portandoli fino al Tamigi, e lanciandoli nel fiume.

Così la gilda dei barbieri si organizzò per trovare un simbolo meno cruento che pubblicizzasse i servizi offerti: ecco che comparve il palo. L’asta rimandava al palo che veniva dato da stringere al paziente durante il salasso, in modo che il braccio restasse orizzontale e le vene risultassero ben visibili a causa dello sforzo. Il pomo in bronzo all’estremità simboleggiava invece il vaso in cui il sangue si raccoglieva.


Le strisce bianche e rosse all’inizio non erano affatto pitturate: si trattava delle bende insanguinate che venivano appese al palo ad asciugare, come prova dell’operazione avvenuta con successo; le bende, nel vento, si attorcigliavano all’asta. Con il tempo, si prese a dipingere direttamente il palo con la spirale bianca e rossa.

Nel XVIII secolo le gilde di chirurghi e barbieri vennero distinte e regolate per legge, e i barbieri furono relegati alla sola tosatura dei capelli, prima in Inghilterra e poi nel resto dell’Europa. Questa perdita di prestigio dei barbieri coincide con la nascita della cosiddetta medicina moderna, intorno alla metà del 1700; ma l’insegna con il palo è rimasta fino ai giorni nostri. Ne esistono diverse varianti, spesso luminose e motorizzate: in America, viene usata anche una striscia blu, oltre a quelle rosse e bianche, forse a distinguere il sangue venoso da quello arterioso – o, molto più probabilmente, per richiamare i colori della bandiera. Anche in Italia può capitare di vedere ancora qualche esercizio che espone il palo multicolore, anche se fortunatamente il salasso non è più annoverato fra i servizi offerti dai moderni saloni di barbiere.

Il dentista di Jaipur

Falk Peplinski è l’autore di questo cortometraggio documentario che narra la quotidianità del dentista Pushkar e del suo maestro Pyara Singh, che operano nei pressi della stazione ferroviaria di Jaipur. Nonostante il tono ironico, questo breve (ma intenso!) filmato vuole essere una dichiarazione d’amore per l’India, paese in cui tutto può succedere…

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Vagina dentata

The Latin expression vagina dentata defines one of the most ancient archetypes of mankind: mythical representations of female genitalia equipped with ferocious dentition can be found in very different cultures and traditions.

In what can be read as an early warning against the dangers of the vagina, Hesiod recounts how, even before being born, Chronos castrated his understably surprised father Uranus from inside his mother Gaia’s vulva. In many other mythological tales, the hero on his quest has to pass through the gigantic vagina, armed with teeth, of a goddess: this happens in the Maori foundation myths, as well as in those of the Chaco tribes of Paraguay, or the Guyanese people. From North America populations to South East Asia, this monstrous menace was a primal fear. In Europe, particularly in Ireland and Grat Britain, cathedrals and castle fortifications sported the Sheela na Gig, gargoyles showing oversized, unsettling vulvas.

As you can guess, this myth is linked to an exquisitely masculine unconscious terror, so much so that Sigmund Freud interpreted it as a symbol of castration anxiety, that fear every male adolescent feels when first confronted with the female reproductive organ. Others see it as an allegory of the frustration of masculine vigor, which in a sexual intercourse enters “triumphantly” and always leaves “diminished”. In this sense, it is clear how the vagina dentata might be related to the ancient theme of the puella venenata (the “poisonous girl”), to other myths such as the succubus (which was perhaps meant to explain nocturnal emissions), and female spermophagus figures, who feed on men’s vital force, as for example the Mesopotamian demon Lilith.

The history of the vagina dentata, which was sometimes told to children, could have also served as a deterrent against molesters or occasional sex. Even in recent times, during the Vietnam War, a legend circulated among American troops regarding Viet Cong prostitutes who allegedly inserted razor blades or broken glass in their intimate parts, with the intent of mutilating those unwary soldiers who engaged in sex.

What few people know is that, in a purely theoretical way, a toothed vagina could be biologically possible. Dermoid cysts are masses of specialized cells; if these cells end up in the wrong part of the body, they can grow hair, bones or teeth. Inguinal dermoid cysts, however, do not localize in the vaginal area, but usually near ovaries. And even in the implausible scenario of a complete dentition being produced, the teeth would be incapsulated inside the cyst’s own tissue anyway.

Therefore, despite stories on the internet about mysterious “medical cases” of internal cysts growing teeth that pierce the uterus walls, in reality the vagina dentata remains just a fascinating myth.

As expected, this uncanny idea has been exploited in the movies: the most recent case is the comedy horror film Teeth (2007, directed by M. Lichtenstein), the story of a young girl who finds out her private parts behave rather aggressively during intercourse. Less ambitious, and more aware of the humorous potential of its subject matter, is the Japanese B-movie Sexual Parasite: Killer Pussy (2004, by T. Nakano).

In Tokyo Gore Police (2008, by Y. Nishimura) a mutant girl grows a crocodile mandible in place of her thighs:

Many great authors have written about vagina dentata, including the great Tommaso Landolfi, Stephen King, Dan Simmons, Neil Gaiman, Mario Vargas Llosa and others.