Le strabilianti macchine di Mr. Ganson

Arthur Ganson, classe 1955, ha  sempre avuto un debole per i meccanismi. Fin da quando, bambino introverso e timido, decise di superare la solitudine raccogliendo materiali di recupero e costruendo macchine incredibili, “mettendo le mie idee e passioni dentro agli oggetti, e imparando a parlare attraverso le mie mani”. Anche oggi, dopo che i suoi lavori sono stati esposti in sedi prestigiose attraverso tutto il mondo, e che alcune sue opere sono raccolte permanentemente in diversi musei scientifici, Ganson mantiene intatti l’entusiasmo e la meraviglia infantili di fronte a un qualsiasi complesso congegno meccanico.

Ma le sue “macchine cinetiche”, o sculture, o come vogliate chiamarle, sono molto più che semplici macchinari – sembrano avere un’anima. Ganson descrive il suo lavoro come l’incontro fra ingegneria e coreografia: automi che danzano, dunque. Eppure per spiegare la spiazzante bellezza di queste macchine occorre afferrare il nodo centrale dell’opera di Ganson – l’inutilità.

Tutte le macchine create dall’uomo assolvono a uno scopo specifico, sono progettate per compiere un lavoro, e la loro struttura è strettamente collegata con la loro funzione. Quelle di Arthur Ganson, invece, non hanno un fine preciso e, per quanto complessa ed elaborata sia la progettazione, per quanto minuzioso e difficoltoso l’assemblaggio, tutta questa fatica di lavoro e di intelletto è diretta alla costruzione di un oggetto senza scopo; tutto questo affollarsi d’ingranaggi, molle e meccanismi ad orologeria si risolve nella chiara, semplice, bellezza del movimento. Ed è in questo momento, quando realizziamo che la macchina non è più nostra schiava, non serve a qualcosa, che essa comincia a parlare.

Ognuna delle decine e decine di opere ha la sua voce distinta. Molto spesso la macchina si muove per il puro piacere di farlo, magari assumendo di volta in volta forme casuali che probabilmente non si ripeteranno mai più.

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In altri casi sembra quasi che la macchina diventi addirittura simbolo della condizione umana: guardate questa Macchina con Petalo di Carciofo, con la foglia rinsecchita destinata a camminare, camminare senza sosta e senza meta, come un moderno Sisifo “on the road”.

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Altri marchingegni si oliano da soli, altri ancora introducono l’elemento del tempo. In Machine with Concrete, nonostante la macchina continui instancabilmente a muoversi, la riduzione di ghiera in ghiera è talmente estrema che l’ultima rotellina ha potuto essere incastonata nel cemento: si muove così lentamente che compierà una rivoluzione completa soltanto fra 2.3 trilioni di anni.

“Tutti questi pezzi cominciano nella mia mente, nel mio cuore, e io faccio del mio meglio per trovare il modo di esprimerli, ed è sempre approssimativo, è sempre una battaglia, ma alla fine riesco a concretizzare questo pensiero in un oggetto, e allora eccolo lì. Non significa nulla. L’oggetto in sé non vuol dire niente. Ma una volta che viene percepito, e qualcuno lo trasferisce nella sua mente, ecco che allora il ciclo si è completato”.

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Le macchine di Arthur Ganson ci parlano della nostra stessa fragilità – sono, come noi, macchinari perfetti ma senza uno scopo definito. E forse è proprio l’assenza di una ragione, di un motivo d’essere, che ne rende poetica l’esistenza. Se la vita avesse un senso, sembrano suggerire questi meravigliosi automi, non saremmo altro che macchine programmate e senz’anima. Che miracolo, che liberazione, potere danzare per il solo gusto di farlo!

Ecco il sito ufficiale di Arthur Ganson.

(Grazie, Yoana!)