Tassidermia e vegetarianismo

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La tassidermia sembra conoscere, in questi ultimi anni, una sorta di nuova vita. Alimentata dall’interesse per l’epoca vittoriana e dal diffondersi dell’iconografia e l’estetica della sottocultura goth, l’antica arte tassidermica sta velocemente diventando addirittura una moda: innumerevoli sono gli artisti che hanno cominciato ad integrare parti autentiche di animali nei loro gioielli e accessori, come vi confermerà un giro su Etsy, la più grande piattaforma di e-commerce per prodotti artigianali.

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A Londra e a New York conoscono un crescente successo i workshop che insegnano, nel giro di una giornata o due, i rudimenti del mestiere. Un tassidermista esperto guida i partecipanti passo passo nella preparazione del loro primo esemplare, normalmente un topolino acquistato in un negozio di animali e destinato all’alimentazione dei rettili; molti alunni portano addirittura con sé dei minuscoli abiti, per vestire il proprio topolino alla maniera di Walter Potter.

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Su Bizzarro Bazar abbiamo regolarmente parlato di tassidermia, e sappiamo per esperienza che l’argomento è sensibile: alcuni dei nostri articoli (rimbalzati senza controllo da un social all’altro) hanno scatenato le ire di animalisti e vegetariani, dando vita ad appassionati flame. Ci sembra quindi particolarmente interessante un articolo apparso da poco sull’Huffington Post a cura di Margot Magpie, sui rapporti fra tassidermia e vegetarianesimo.

Margot Magpie è istruttrice tassidermica proprio a Londra, e sostiene che una gran parte dei suoi alunni sia costituita da vegetariani o vegani. Ma come si concilia questa scelta di rispetto per gli animali con l’arte di impagliarli?

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Ovviamente, tagliare e preparare il corpo di un animale non implica certo mangiarne la carne. E una gran parte degli artisti, vegetariani e non, che operano oggi nel settore ci tengono a precisare che i loro esemplari non vengono uccisi con lo scopo di creare l’opera tassidermica, ma sono già morti di cause naturali oppure – come nel caso dei topolini – allevati per un motivo più accettabile. (Certo, anche sul commercio dei rettili come animali da compagnia si potrebbe discutere, ma questo esula dal nostro tema). Si tratta in definitiva di materiale biologico che andrebbe sprecato e distrutto, quindi perché non usarlo?

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Ma preparare un animale comporta comunque il superamento di un fattore di disgusto che sembrerebbe incompatibile con il vegetarianismo: significa entrare in contatto diretto con la carne e il sangue, sventrare, spellare, raschiare e via dicendo. A quanto dice Margot, però, i suoi allievi vegetariani colgono una differenza fondamentale fra l’allevamento degli animali a fini alimentari – con tutti i problemi etici che l’industrializzazione del mercato della carne porta con sé – e la tassidermia, che è vista invece come un rispettoso atto d’amore per l’animale stesso. “La tassidermia per me significa essere stupiti dall’anatomia e dalla biologia delle creature, e aiutarle a continuare a vivere anche dopo la morte, in modo che noi possiamo vederle ed apprezzarle”, dice un suo studente.

La passione per la tecnica tassidermica proviene spesso dall’interesse per la storia naturale. Visitare un museo e ammirare splendidi animali esotici (che normalmente non potremmo vedere) perfettamente conservati, può far nascere la curiosità sui processi utilizzati per prepararli. E questo amore per gli animali, dice Margot, è una costante riconoscibile in tutti i suoi alunni.

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“Combatto con questo dilemma da un po’. – racconta un’altra artista vegetariana – La gente mi dice che ‘non dovrebbe piacermi’, ma ci sono piccole cose nella vita che ci danno gioia, e non possiamo farne a meno. Mi sembra che sia come donare all’animale una vita interamente nuova, permettergli di vivere per sempre in un nuovo mondo d’amore, per essere attentamente rimesso in sesto, posizionato e decorato, ed è un’impresa premurosa e amorevole”.

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L’altro problema è che non tutti i lavori tassidermici sono “naturalistici”, cioè mirati a riprodurre esattamente l’animale nelle pose e negli atteggiamenti che aveva in vita. Non a caso facevamo l’esempio della tassidermia antropomorfica, in cui l’animale viene vestito e fissato in pose umane, talvolta inserito in contesti e diorami di fantasia, oppure integrato come parte di un accessorio di vestiario, un pendaglio, un anello. Si tratta di una tassidermia più personale, che riflette il gusto creativo dell’artista. Per alcuni questa pratica è irrispettosa dell’animale, ma non tutti la pensano così: secondo Margot e alcuni dei suoi studenti la cosa non crea alcun conflitto, fintanto che il corpo proviene da ambiti controllati.

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“Credo che utilizzare animali provenienti da fonti etiche per la tassidermia sia positivo e, per questo motivo, posso continuare felicemente con il vegetarianismo e con il mio interesse di lunga data per la tassidermia. Sento di molti tassidermisti moderni che usano esclusivamente animali morti per cause naturali o in incidenti, quindi credo che ci troviamo in una nuova era di tassidermia etica. Sono felice di farne parte”.

C’è chi invece il problema l’ha aggirato del tutto. L’artista americana Aimée Baldwin ha creato quella che chiama “tassidermia vegana”: i suoi uccelli sono in realtà sculture costruite con carta crespa. Il lavoro certosino e la conoscenza del materiale, con cui sperimenta da anni, le permettono di ottenere un risultato incredibilmente realistico.

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Ecco il link all’articolo di Margot Magpie. Gran parte delle fotografie nell’articolo provengono da questo articolo su un workshop tassidermico newyorkese. Ecco infine il sito ufficiale di Aimée Baldwin.

Animali liofilizzati

Ecco una domanda difficile per tutti i possessori di animali: quando il vostro cane o gatto morirà, cosa farete delle sue spoglie?

C’è chi decide di seppellire il proprio animale, chi opta per la cremazione – ma c’è anche chi non riesce mai ad uscire veramente dalla fase della negazione, e vorrebbe continuare ad avere il proprio cucciolo con sé, per sempre.

Fino a poco tempo fa l’unica altra soluzione possibile era la tassidermia: eppure gli imbalsamatori spesso non sono disposti a preparare gli animali da compagnia, e per un motivo evidente. Finché si tratta di preservare la testa di un cervo, il cliente non fa mai problemi, ma quando l’animale da impagliare è un gattino amato e conosciuto per anni, qualsiasi imperfezione nel risultato tassidermico salta subito all’occhio del padrone. Così questo tipo di clienti risulta essere difficile, se non quasi impossibile, da soddisfare.

Oggi però esiste una nuova tecnica di conservazione degli animali da compagnia che promette miracoli. Guardate l’immagine qui sotto: questo cane è morto, ed è stato liofilizzato.

Quando pensiamo alla liofilizzazione, ci vengono in mente subito alcuni alimenti ridotti in polvere, come ad esempio il caffè solubile. Il procedimento in realtà può essere applicato anche a qualsiasi sostanza organica, e consiste nell’essiccamento dei tessuti a temperature estremamente basse, alle quali vengono alternate fasi di riscaldamento in situazioni di pressione controllata, di modo che l’acqua contenuta nei tessuti passi direttamente dallo stato ghiacciato al vapore (sublimazione). In questo modo la struttura della sostanza viene intaccata il meno possibile e mantiene le proprie caratteristiche specifiche: ecco perché la liofilizzazione di un animale da compagnia dà questi risultati eccezionali.

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Chiaramente i costi di un simile procedimento non sono indifferenti, e in America oscillano tra 850 e 2.500 dollari; inoltre la liofilizzazione di un animale, magari di grossa taglia, non è affatto un processo veloce, e tra liste d’attesa e tempi tecnici si può aspettare anche più di un anno prima che l’esemplare ritorni al suo padrone.

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I responsabili delle ditte che offrono questo servizio descrivono una clientela meno eccentrica di quello che si potrebbe immaginare: chi si rivolge a loro è gente normale, che non sopporta l’idea della separazione definitiva, e che cerca nella preservazione dell’animale un aiuto per superare il dolore. Per alcuni di essi, l’animale era l’unica compagnia di una vita solitaria. Desiderano avere ancora una presenza fisica concreta, con cui relazionarsi e illudersi di interagire.

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Abbiamo parlato spesso dell’occultamento della morte operato nel tempo dalle società occidentali; il progressivo allontanarsi dell’esperienza del cadavere dalle nostre vite ha reso sempre più complicata l’elaborazione del lutto, e questo si riflette anche sulla morte degli animali da compagnia, dato che l’amore che portiamo verso di loro talvolta rende la separazione altrettanto traumatica che se si trattasse di una persona cara.

Così, se l’immagine di qualcuno che coccola un animale morto ci dovesse apparire patetica o peggio ancora ridicola, gli psicologi ricordano che gli esseri umani proiettano abitualmente attributi umani ad oggetti inanimati; e per quanto riguarda la morte, ovviamente, tutti noi abbiamo reso visita ad una tomba, e magari rivolto parole intime al defunto, come se potesse sentirci… come se fosse ancora vivo. E viene da domandarsi se questo “come se”, il desiderio e la capacità umana di rifiutare la realtà così com’è per costruirne una simbolica, non sia forse alla base di tutte le nostre grandezze, e di tutte le nostre miserie.

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Gopher Hole Museum

(Articolo a cura della nostra guestblogger Marialuisa)

Nel caso a qualcuno venisse voglia di farsi un tour del Canada e passasse per caso da Tourrington, ad Alberta, non si dimentichi di visitare il motivo per cui la piccola cittadina ha iniziato a godere di fama internazionale, il Gopher Hole Museum.

Aperto nel 1995 nel tentativo di aumentare il turismo locale, il Gopher Hole Museum è un’esposizione stabile di ben 47 diorama rappresentanti scene di umana quotidianità… interpretate però da graziosi scoiattoli impagliati. Come per tutto ciò che riguarda la tassidermia, sta a chi guarda decidere se tutto questo è affascinante, divertente o raccapricciante.

Gli scoiattoli sono agghindati e vestiti di tutto punto, a tema con il loro “buco” (gopher hole si riferisce infatti alle tane scavate nel terreno da questi particolari roditori), arredato con minuzia di particolari, dove ci vengono mostrati perfino i loro pensieri e dialoghi attraverso dei fumetti attaccati agli scoiattoli stessi o disegnati sullo sfondo.


Il museo, alla sua apertura, era passato del tutto inosservato; paradossalmente, infatti, la gloria internazionale è arrivata dall’involontaria pubblicità gratuita generata dall’entrata in gioco del PETA, movimento per il trattamento etico degli animali.
L’apertura del museo, con i suoi allegri animaletti impagliati, ha generato malcontento e suscitato forti critiche dal movimento. La contestazione principale è quella che si sarebbe potuto creare lo stesso museo utilizzando riproduzioni piuttosto che veri scoiattoli. Si può discutere su come l’utilizzo di riproduzioni piuttosto che animali veri avrebbe modificato l’effetto visivo dei diorami; tuttavia è interessante conoscere la risposta di una dei curatori del museo.

La risposta di Angie Falk alle critiche animaliste è che questi scoiattoli di terra, con le gallerie che scavano, sono un grosso problema per gli agricoltori di Tourrington; essendo in sovrannumero vengono comunque soppressi e abbattuti, a prescindere dal Museo. Quindi perché non riutilizzarli per motivi artistici ed economici?

Di arte si può in effetti parlare, osservando come le scene raffigurate nel Museo siano in realtà uno specchio della vita ad Alberta: piccole attività artigiane, allevatori, negozi e persino scene religiose, tutti rappresentanti un piccolo spaccato di società; l’aspetto artistico popolare dell’operazione è evidente. La capacità e il talento necessari per dare vita e naturalezza a questi quadretti di vita quotidiana non sono affatto scontati, e per questo tutte le installazioni sono curate dalla migliore artista tassidermica locale, di nome Shelley Haase.

Certo, la bellezza è sempre soggettiva; ma senz’altro il Gopher Hole Museum è un modo quantomeno originale di “riciclare”.

A questo link potete trovare una raccolta di immagini dei diorami.

Sculture tassidermiche – III

Concludiamo qui la nostra serie di post sulla scultura tassidermica.

Partiamo subito da una delle artiste più controverse, Katinka Simonese, conosciuta con il nome d’arte di Tinkebell. Artista provocatoria, Katinka cerca di mettere davanti ai nostri occhi i punti ciechi della nostra società moderna. Per fare un esempio, milioni di polli maschi sono uccisi ogni giorno (spesso vengono gettati con forza contro un muro del pollaio); ma se Katinka replica la stessa azione in pubblico, viene arrestata. Allo stesso modo, l’artista ha trasformato il suo stesso gatto in una borsa in pelliccia double-face che può essere rivoltata per diventare un cagnolino. Per denunciare il fatto che il nostro “amore” per i cuccioli domestici è diventato uno status symbol, un commercio bell’e buono, più che un vero affetto per gli animali.

Nella stessa lunghezza d’onda, Tinkebell ha trasformato un cagnolino in carillon, suggerendo l’idea che nella nostra società consumistica gli animali rivestano il ruolo di oggetti, e che quindi possiamo modificarli a piacere, a seconda dei nostri bisogni. Senza dubbio le sue opere portano a riflettere sul ruolo che riserviamo oggi agli animali, utilizzati come veri e propri prodotti.

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Cai Guo Qiang ha esposto il suo lavoro in una mostra, intitolata I Want to Believe, al Guggenheim Museum a New York: la mostra include il suo spettacolare pezzo chiamato Head On, che mostra 90 lupi imbalsamati sospesi in un arco che rovinano collassando contro un muro di vetro.

Ma Cai Guo ha anche esposto tigri seviziate, trafitte da mille frecce, per insinuare nello spettatore quella pietà che latita nella vita di ogni giorno, mostrando queste fiere come vittime sacrificali per le quali non possiamo che sentirci colpevoli.

Simile per concetto, Claire Morgan utilizza la tassidermia in maniera squisitamente astratta. Le sue belve sono un imponente memento mori che ci ricorda che ogni nostro piacere, anche quello più estetico, deriva dalla morte di qualche altro essere.

Passiamo ora a un artista differente, che modella ibridi fantastici a partire da tessuti organici. Si tratta di Juan Cabana, che riprendendo l’antica arte dell’imbalsamazione delle chimere crea straordinari esemplari di esseri mitologici, come ad esempio le sirene. È naturale, guardando le sue opere, ripensare alle Sirene delle Fiji ospitate dai musei di Phineas Barnum.

Sempre in tema di chimere, concludiamo questo excursus fra gli artisti tassidermici con Kate Clark, scultrice degna di nota, che ibrida tecniche tassidermiche con artifici scultorici più tradizionali. Le sue opere mostrano esemplari impagliati dotati di volti umani, quasi a farci riflettere sull’intima identità che ci lega al mondo animale. Possiamo così vederci, nelle sue sculture, come prede di caccia e vittime venatorie. Per ricordare che fra noi e gli animali non c’è poi tutta questa differenza.

Per finire, vorremmo segnalarvi alcuni siti di altri artisti tassidermici che, per motivi di spazio, non abbiamo potuto trattare.

Maurizio Cattelan – artista italiano controverso ed estremo, che ha utilizzato in alcune opere esemplari tassidermici.

Julia deVille – artista che unisce l’alta moda alla fascinazione per il memento mori.

Thomas Grunfeld – creatore di chimere.

The Idiots – collettivo artistico che ibrida la tecnologia con la tassidermia.

Sculture tassidermiche – II

Continuiamo la nostra panoramica (iniziata con questo articolo) sugli artisti contemporanei che utilizzano in modo creativo e non naturalistico le tecniche tassidermiche.

Jane Howarth, artista britannica, ha finora lavorato principalmente con uccelli imbalsamati. Avida collezionista di animali impagliati, sotto formalina e di altre bizzarrie, le sue esposizioni mostrano esemplari tassidermici adornati di perle, collane, tessuti pregiati e altre stoffe. Jane è particolarmente interessata a tutti quegli animali poveri e “sporchi” che la gente non degna di uno sguardo sulle aste online o per strada: la sua missione è manipolare questi resti “indesiderati” per trasformarli in strane e particolari opere da museo, che giocano sul binomio seduzione-repulsione. Si tratta di un’arte delicata, che tende a voler abbellire e rendere preziosi i piccoli cadaveri di animali. La Howarth ci rende sensibili alla splendida fragilità di questi corpi rinsecchiti, alla loro eleganza, e con impercepibili, discreti accorgimenti trasforma la materia morta in un’esibizione di raffinata bellezza. Bastano qualche piccolo lembo di stoffa, o qualche filo di perla, per riuscire a mostrarci la nobiltà di questi animali, anche nella morte.

Pascal Bernier è un artista poliedrico, che si è interessato alla tassidermia soltanto per alcune sue collezioni. In particolare troviamo interessante la sua Accidents de chasse (1994-2000, “Incidenti di caccia”), una serie di sculture in cui animali selvaggi (volpi, elefanti, tigri, caprioli) sono montati in posizioni naturali ma esibiscono bendaggi medici che ci fanno riflettere sul valore della caccia. Normalmente i trofei di caccia mostrano le prede in maniera naturalistica, in modo da occultare il dolore e la violenza che hanno dovuto subire. Bernier ci mette di fronte alla triste realtà: dietro all’esibizione di un semplice trofeo, c’è una vita spezzata, c’è dolore, morte. I suoi animali “handicappati”, zoppi, medicati, sono assolutamente surreali; poiché sappiamo che nella realtà, nessuno di questi animali è mai stato medicato o curato. Quelle bende suonano “false”, perché quando guardiamo un esemplare tassidermico, stiamo guardando qualcosa di già morto. Per questo i suoi animali, nonostante l’apparente serenità,  sembrano fissarci con sguardo accusatorio.

Lisa Black, neozelandese ma nata in Australia nel 1982, lavora invece sulla commistione di organico e meccanico. “Modificando” ed “adattando” i corpi degli animali secondo le regole di una tecnologia piuttosto steampunk, Lisa Black si pone il difficile obiettivo di farci ragionare sulla bellezza naturale confusa con la bellezza artificiale. Crea cioè dei pezzi unici, totalmente innaturali, ma innegabilmente affascinanti, che ci interrogano su quello che definiamo “bello”. Una tartaruga, un cerbiatto, un coccodrillo: di qualsiasi animale si tratti, ci viene istintivo trovarli armoniosi, esteticamente bilanciati e perfetti. La Black aggiunge a questi animali dei meccanismi a orologeria, degli ingranaggi, quasi si trattasse di macchine fuse con la carne, o di prototipi di animali meccanici del futuro. E la cosa sorprendente è che la parte meccanica nulla toglie alla bellezza dell’animale. Creando questi esemplari esteticamente raffinati, l’artista vuole porre il problema di questa falsa dicotomia: è davvero così scontata la “sacrosanta” bellezza del naturale rispetto alla “volgarità” dell’artificiale?

Restate sintonizzati: a breve la terza parte del nostro viaggio nel mondo della tassidermia artistica!

Sculture tassidermiche – I

In anni recenti, la tassidermia artistica (cioè non naturalistica) ha conosciuto un rinnovato interesse da parte di pubblico e critica. Come è noto, la tassidermia è l’antica arte di impagliare gli animali: della bestia viene conservata soltanto la pelle (ed eventuali unghie o corna), e a seconda delle dimensioni e della specie si seguono diversi procedimenti per ridare la forma più naturale possibile all’esemplare. La tassidermia ha conosciuto la sua fortuna con la nascita dei musei di storia naturale e, in un secondo tempo, con la diffusione nel ‘900 della caccia come sport. Ma in entrambi i casi quello che l’artista cercava di raggiungere era un risultato il più possibile vicino alla realtà, rendendo l’animale impagliato il più vivo possibile, replicando minuziosamente le pose che assume in natura, ecc. La tassidermia artistica utilizza invece le tecniche di imbalsamazione e preparazione per attingere a risultati non realistici – per creare insomma chimere, mostri e animali impossibili.


Questo tipo di tassidermia non è certo una novità: già il tassidermista tedesco Hermann Ploucquet aveva incantato i visitatori della Grande Mostra del 1851 con i suoi “animali comici”, animali impagliati in pose antropomorfe che si sfidavano in improbabili duelli. Ploucquet poteva contare fra i suoi “fan” più celebri la Regina Vittoria in persona.

Ploucquet è generalmente ritenuto la maggiore influenza per il tassidermista vittoriano Walter Potter, divenuto celebre per i suoi diorami di complessità e ricercatezza ineguagliate. Classi di scuola in cui gli studenti sono tutti coniglietti impagliati, rane imbalsamate che fanno esercizi di ginnastica (grazie a un meccanismo automatico nascosto che dona loro il movimento), cerimonie di nozze fra topolini, e altre situazioni surreali costituivano il fulcro del suo Museo delle Curiosità.

Ogni piccolo dettaglio, dai quaderni ai calamai, dai vestitini alle tazzine da tè era maniacalmente riprodotto, e ad ogni animaletto Potter regalava una diversa espressione facciale – una sfida con la quale si sarebbero dovuti confrontare tutti i tassidermisti a venire.

I diorami di Potter, per quanto complessi, sembrano comunque infantili e un tantino ingenui, soprattutto se confrontati alle opere dei moderni artisti di tassidermia creativa. Forse questo è il momento di ricordare che tutti gli artisti di cui parleremo sono propugnatori di una tassidermia “etica” e responsabile, vale a dire che per le loro composizioni utilizzano esclusivamente 1) animali trovati morti sulle strade 2) parti di scarto di macelli o di collezioni museali 3) animali domestici donati dai proprietari dopo una morte naturale. Molti di questi artisti sono attivi in programmi di protezione della natura, e collaborano spesso con le facoltà di biologia delle principali università.

Sarina Brewer, ad esempio, oltre che prendere parte a diversi progetti di storia naturale dell’Università del Minnesota, nel tempo libero si occupa anche di riabilitazione e cura degli animali selvatici feriti. Nonostante questa sua sensibilità verso gli animali, le sue doti di esperta tassidermista si esprimono spesso in modo macabro e grottesco: Sarina infatti costruisce chimere, esseri fantastici e immaginari nati dalla commistione di diverse morfologie animali.

Da più di 20 anni grifoni, arpie, gatti alati, strane e meravigliose creature prendono vita a partire da scarti di animali fra le abili mani della Brewer. Sarina crede che proprio in questo risieda la bellezza della sua arte: “io mi occupo della morte in maniera che i più reputano non convenzionale. Io non vedo un animale morto come disgustoso o offensivo. Penso che tutte le creature siano belle, nella morte così come nella vita, belle di fuori come di dentro. Il mio lavoro è un omaggio alla loro bellezza, perché quando le reincarno nelle mie opere, sto creando una nuova vita là dove prima c’era solo morte”.

Iris Schieferstein non lavora esclusivamente con la tassidermia, ma quando lo fa, i risultati sono sempre controversi e puntano il dito sul nostro concetto di realtà, di buon gusto, e sulla crudeltà esibita nel concetto di moda (un po’ come il britannico Reid Peppard di cui avevamo già parlato in questo famigerato articolo). I lavori della Schieferstein sono ibridazioni di forme, inaspettate sculture che confondono i piani di senso associando organico e meccanico.

Polly Morgan è londinese, classe 1980. Il suo lavoro è al tempo stesso disturbante e commovente: assolutamente spiazzante, persino scioccante a volte, ma sempre pervaso da uno strano e sottile senso di magia.

I suoi animali addormentati in speciali mausolei sembrano esseri fiabeschi, e ci pare di ravvedere un’evidente compassione, una vera e propria pietas nell’approccio che la Morgan adotta verso i suoi soggetti.

A breve la seconda parte del nostro viaggio nel mondo della tassidermia artistica.

The Whale Theatre

Every kid loves to think about Jonah in the belly of the big fish. Just like the Baron Münchhausen in the whale, or Pinocchio in the shark, living for some time inside one of these great sea animals is a fantastic idea which inspired artists and writers for centuries.

Well, you can probably guess what we are about to tell you. Yes, somebody actually lived inside a fish. Better yet, he built a theatre out of it.

This is Simon-Max, a French opera-bouffe tenor (1852-1923). He maily performed in Paris, but once he reached wide acclaim he managed to diversify his business, and in 1893 he already owned a casino in Villerville, a coastal city in Lower Normandy.

Just about at the time he opened his casino, news arrived that a whale was beached near the town. It was actually not so unusual for whales to end up beached on the coast of Normandy due to the low tide, as shown in this postcard published that same year (1893).

Simon-Max bought the whale from the local fishermen, and sold the oil and meat obtained from the animal. But then he decided that  he was going to try something unprecedented, using its skin. He built a theatre-museum inside the mounted cetacean.

The size of the animal in the original poster ads may be a little exaggerated, but they convey the idea of what the theatre might have looked like. The public entered through the whale’s mouth, watched the show in the interior room, which could host almost a hundred people, then exited through a small door in the tail. This attraction, called Théatre-Baleine (whale theatre), earned Simon-Max a huge amount of money, and made the city of Villerville quite famous for over a year. The tenor, inside his whale, performed an act called Jonas Revue (“Jonah Revisited”) which quickly became a hit.

The whale theatre was then transferred to the Paris Casino, but the following winter was completely destroyed by a fire.

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Alta moda tassidermica

L’artista tassidermico Reid Peppard ha firmato per la RP/Encore una splendida collezione di accessori di alta moda, chiamata V/ermine. Si va dal papillon con testa di ratto, ai gemelli da polso realizzati con teste di cavia (occhi in cristallo rosso Swarovski), ai fermacapelli con ali di piccione, agli eleganti portamonete ricavati dalla pancia di un topo bianco.

Piccoli e raffinati gioielli che non passano mai di moda, imperdibili per tutte le lettrici e i lettori di Bizzarro Bazar. Ah, se non ci fossimo noi, chissà come andreste vestiti alle feste!

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Il sito della collezione di RP/Encore.

Il blog di Reid Peppard.