Aghori

Il mondo non è altro che illusione. È facile dirlo, ma se dovessimo davvero crederci, come imposteremmo la nostra vita? Avrebbero ancora senso le leggi degli uomini, le regole di comportamento? E se perfino l’etica fosse un ulteriore tranello mentale, e in realtà Dio se la ridesse di tutti i nostri dubbi e scrupoli morali?

Simili questioni stanno al centro di molte tradizioni religiose, ma nessuna ha portato il ragionamento alle estreme conseguenze quanto la setta degli Aghori.


Asceti shivaisti, lo scopo degli Aghori è liberarsi una volta per tutte dalla ruota delle reincarnazioni; per fare questo puntano, attraverso la meditazione e un ascetismo estremo, a fondere il proprio Sé (Atman) con il tutto (Brahman), superando il pensiero bloccato in illusori dualismi. Gli opposti non esistono, per loro, e così non esiste nulla di bello o di brutto, di buono o di cattivo; tutto è emanazione di Shiva, dunque tutto è perfetto.


Così, gli Aghori hanno sviluppato un percorso spirituale davvero incredibile: abbracciare tutti quei comportamenti che la società normalmente condanna ed aborre, tutte le pratiche più disgustose e oscene, tutte le azioni moralmente condannabili secondo le tradizionali regole del karma.


Per raggiungere l’estasi che permetterà loro di trascendere le categorie del pensiero umano, gli Aghori fanno uso di cannabis, bevono alcool, mangiano cibi conditi con oppiacei e allucinogeni. Si abbandonano anche a rituali sessuali di matrice tantrica, se non a vere e proprie orge. Mica male come asceti, direte.


Ma gli Aghori non si fermano certo qui. Per dimostrare che hanno abbandonato ogni preconcetto, inclusi i dualismi gusto/disgusto e puro/impuro, si dedicano senza battere ciglio a urofagia e coprofagia. Si aggirano anche spesso negli ossari a cielo aperto dove le salme vengono lasciate a decomporsi, e sono stati più volte avvistati mentre si spalmavano su tutto il corpo le ceneri di una cremazione. Uno dei loro rituali (il shava samskara) utilizza un cadavere come “altare” su cui si celebra la cerimonia.


Terrificanti già nell’aspetto, adorni di monili ricavati da ossa umane e teschi utilizzati come coppe da cui bevono, non arretrano nemmeno di fronte all’ultimo dei tabù: il cannibalismo. Quest’ultimo viene praticato su cadaveri trafugati o dissepolti, e secondo alcune fonti la fine preferita dai maestri Aghori è quella di venire divorati dal proprio successore, in modo da trasferirgli tutti i “poteri” acquisiti durante la vita.


Potrebbe sembrare che nulla sia troppo sacro per un Aghori; in realtà è esattamente l’opposto. L’asceta cerca infatti di vedere Dio in qualsiasi fenomeno dell’universo, in tutte le manifestazioni della catena di causa ed effetto. Quindi, se ogni cosa è sacra e illuminata, la tenebra e la paura sono soltanto nella nostra mente. Mangiare carne di mucca (proibitissimo per qualsiasi tradizione induista) o mangiare un corpo umano sono azioni che non possono dispiacere a Shiva, in quanto egli permette che esistano. Anzi, Shiva è in quelle azioni così come in tutte le altre, sempre, contemporaneamente, ovunque.
La ricerca spirituale è dunque un precipitarsi nella turpitudine, nell’osceno e nel rivoltante, salvo accorgersi poi che quella che sembrava oscurità era in verità luce – è un tentativo di disimparare tutto ciò che ci hanno insegnato sul bene e sul male, per guardare il mondo con uno sguardo primordiale, con gli occhi di un bambino ancora privo di categorie di pensiero.


Ora, quanto avete letto finora è la teoria, fin troppo nobilitante.
Nella realtà molte frange della setta sono più interessate agli aspetti magico-sciamanici che a quelli filosofici: così i rituali divengono veri e propri atti magici, violenti e rivoltanti, finalizzati all’acquisizione di poteri soprannaturali, e che comportano il sacrificio di animali e perfino di esseri umani. La comunione con Shiva passa in secondo piano rispetto alle fatture contro i nemici, e al potenziamento delle virtù magiche degli “stregoni” attraverso il rito. Secondo alcune fonti, gli Aghori sarebbero addirittura convinti che Shiva perdona fino a sette omicidi (esclusi i sacrifici umani, che sono sempre a fin di bene e che quindi non entrano nel conto).

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La setta degli Aghori, sparsa principalmente su India e Nepal, è avvolta nel segreto e nel mistero, in quanto i suoi adepti non hanno alcuna voglia di fare troppa pubblicità alle proprie azioni. Nelle campagne, gli asceti sono temuti e venerati come uomini dagli enormi poteri magici, proprio in virtù della forza che dimostrano nel dedicarsi agli aspetti più terribili dell’esistenza.

(Grazie, Skiv95!)

Il dentista di Jaipur

Falk Peplinski è l’autore di questo cortometraggio documentario che narra la quotidianità del dentista Pushkar e del suo maestro Pyara Singh, che operano nei pressi della stazione ferroviaria di Jaipur. Nonostante il tono ironico, questo breve (ma intenso!) filmato vuole essere una dichiarazione d’amore per l’India, paese in cui tutto può succedere…

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Korla Pandit

Nel 1948, la televisione era nata da poco ma già migliaia di persone ne possedevano una. Quello fu l’anno in cui, negli Stati Uniti, cominciò la prima vera e propria programmazione televisiva, e fra i vari spettacoli offerti da questa magica e strana scatola delle meraviglie ce n’era uno davvero unico: lo show di Korla Pandit.

Chi all’epoca era bambino, e per la prima volta accese la televisione in quell’anno, lo ricorda ancora: occhi magnetici, turbante bianco impreziosito di rubini, sorriso dolce ed enigmatico, dita affusolate e abilissime. Di quest’uomo dai lineamenti indiani si conosceva molto poco, la sua vita era già un mistero. Si diceva fosse nato a Nuova Delhi, figlio di un brahmino e di una cantante lirica francese, e che avesse in seguito abbandonato l’India per studiare musica in Inghilterra, e infine a Chicago. Durante  il suo spettacolo, intitolato Korla Pandit’s Adventures In Music, egli suonava un organo Hammond e un pianoforte a coda Steinway (spesso contemporaneamente) proponendo particolari arrangiamenti di melodie esotiche e mediorientali. Il suo modo di utilizzare l’Hammond in maniera “percussiva” gli permetteva di eseguire da solo la base ritmica, rendendolo un vero e proprio one-man-band.

Ma non erano soltanto le sue abilità pianistiche ad affascinare gli spettatori. Certo, le atmosfere romantiche e misteriose delle sue melodie erano pressoché inedite per l’epoca; e facevano la loro parte anche le scenografie arabeggianti puntellate di orchidee, con nubi rischiarate dalla luna che venivano proiettate alle spalle del musicista… eppure l’elemento vincente era proprio l’alone di mistero che circondava Korla. Durante lo show, egli non pronunciava mai una sola parola. Comunicava attraverso il “linguaggio universale della musica”, come avvertiva la voce narrante nell’introduzione. E, soprattutto, guardava in camera, verso gli spettatori, con un misto di serenità e saggezza, ma anche di malizia… lo sguardo penetrante di un mago che conosce i segreti della seduzione, e sa usare le note per aprire qualsiasi cuore femminile.

E, infatti, sembra che molte donne fossero letteralmente impazzite per quegli occhi sibillini. Si dice che gli spedissero regali sempre più costosi, in una vera e propria frenesia d’amore. Con il suo sguardo magnetico, Korla di certo sapeva sfruttare il potere ancora sconosciuto della scatola magica, la televisione. La leggenda vuole che migliaia di padri spaventati, e di mariti furibondi, si fossero convinti che Pandit stesse davvero ipnotizzando, attraverso la TV, le consorti e le figlie. Scrissero rabbiose lettere all’emittente KTLA, fino a spingere la rete a cancellare lo show dell’indiano. Nel 1953 Korla Pandit, all’apice della popolarità, viene licenziato dall’emittente. Passerà il resto della vita nell’anonimato, dando lezioni di musica, suonando in piccoli club, inaugurando concessionari d’auto e supermarket. Nessuno più si ricorda di lui, tranne Tim Burton che nel 1994, per il film Ed Wood, gli affida un cameo/omaggio nel ruolo di se stesso. Negli ultimi anni della sua vita, trova un piccolo ritorno di carriera grazie ai revival di musica lounge ed esotica, ma ormai si sta facendo anziano: la leggenda svanisce.

Eppure pochi sanno che quella leggenda nasconde un sorprendente segreto. Korla non è affatto indiano. Era nato a St. Louis, nel Missouri, ed era afroamericano: si chiamava John Roland Redd. A quell’epoca, per un uomo di colore non era facile sfondare nello show business; così nel 1948, assieme alla moglie Beryl (artista dello studio Disney), decise di inventarsi un personaggio che potesse essere maggiormente accettato e, al contempo, abbastanza misterioso da avere successo. E fa la mossa giusta: la televisione, ai suoi albori, aveva già di per sé una qualità magnetica che oggi non possiamo nemmeno immaginare, e lo show di Korla faceva leva su questo magnetismo, innalzandolo ai massimi livelli, e portando in migliaia di case una dimensione di sogno, sensuale e romantica, un’atmosfera magica e sospesa.

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Korla Pandit muore nel 1998, all’ipotetica età di 77 anni: ipotetica, perché quando glielo chiedevano rispondeva sempre, con un enigmatico sorriso, di avere intorno ai 2000 anni.

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Il sito dedicato a Korla Pandit.

Tiro dell’orecchio

Nelle Olimpiadi Eschimo-Indiane, che si tengono annualmente nel periodo di luglio-agosto, è presente uno sport che a prima vista può apparire ridicolo, ma che è in realtà piuttosto estremo: il tiro dell’orecchio.

Come le altre discipline di questo particolare tipo di Olimpiadi, volte a tramandare il patrimonio tradizionale degli Inuit, anche il tiro dell’orecchio ha origini antiche. I due sfidanti siedono all’interno di un cerchio, e una cordicella viene legata ad uno dei loro rispettivi orecchi (ad entrambi quello destro, o quello sinistro). Al segnale, i due concorrenti cominciano a tirare, spostando all’indietro il peso del corpo.

Chi cade all’indietro, o cede per il dolore, o fa in modo che la cordicella si stacchi, perde.

Come si può intuire, questa gara di resistenza può provocare lacerazioni, contusioni, ed è una pratica tutt’altro che priva di rischi. Come se non bastasse, si dice che gli antichi Inuit la praticassero in condizioni climatiche glaciali, rendendo ancora più difficile e dolorosa la prova di coraggio.

Ancora oggi, ogni anno, si sfidano uomini e donne decisi a provare il loro valore. Ma non tentate di emulare questi atleti allenati, trasformando una disciplina olimpionica in un entusiasmante quanto pericoloso gioco di società… e se proprio volete provare, tenete a portata di mano del ghiaccio!

Eccovi infine il video di una finale olimpionica di questo sport decisamente weird.