Shen Dzu: i Maiali di Dio

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Ogni anno all’incirca a metà di luglio del calendario cinese, a Taipei sull’isola di Taiwan, si svolge il Festival Yimin. Si tratta di una ricorrenza religiosa in cui si commemorano i duecento guerrieri di etnia hakka che persero la vita, verso la fine del ‘700, durante una ribellione: parate festose, colorate, con musica e danze.
Si tratta anche di un evento che da qualche anno è vivacemente contestato da alcuni gruppi di animalisti taiwanesi, che stanno cercando di sensibilizzare anche il resto del mondo sulla crudeltà di una particolare gara che si compie all’interno del festival: lo Shen Dzu Contest, ovvero la competizione dei Maiali di Dio.

I Maiali di Dio, protagonisti di questa gara, sono dei suini che fra i 15 e i 24 mesi di età hanno avuto la sfortuna di essere selezionati per diventare vittime sacrificali. Per prima cosa vengono castrati, senza anestesia, nella convinzione che questo aumenti la robustezza della loro costituzione. Dopodiché, per un periodo che può durare anche un paio d’anni, sono confinati in spazi angusti affinché non possano muoversi, e nutriti a forza con un tubo di gomma infilato direttamente nell’esofago. La tecnica del gavage, ritenuta non etica e quindi vietata in Italia, è tuttora utilizzata in Francia, Spagna, Stati Uniti, Bulgaria, Ungheria e Belgio per la produzione di foie gras. Nel caso degli Shen Dzu, però, il risultato è ancora più impressionante: i maiali vengono alimentati di continuo fino ad assumere una mole spaventosa, arrivando a pesare quasi una tonnellata – mentre gli esemplari domestici normalmente non superano i 2-300 kg. Incapaci di camminare o anche soltanto di reggersi sulle gambe, spesso con organi interni completamente deformati, la pelle piagata dal forzato decubito, i colossali animali devono essere portati in piazza a forza di braccia, anche da una ventina di persone ciascuno.
Si dice che, per barare ed aumentare il peso del maiale, alcuni allevatori con pochi scrupoli somministrino agli animali, nei giorni precedenti alla gara, dei cibi “speciali”: al posto del solito riso, della frutta o delle patate, questi ultimi pasti sono a base di sabbia, piombo, o qualsiasi materiale pesante.

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Una volta sul palco della competizione, il maiale più grasso otterrà la vittoria. Ma questo non gli risparmierà di finire, come tutti gli altri concorrenti, sgozzato e macellato di fronte alla folla festante, in sacrificio ai 200 valorosi martiri Yimin.

A worshipper prepares to insert a knife into the throat of a fattened pig for a sacrifice as part of the Hakka Yimin Festival in Hsinchu

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Lo Shen Dzu Contest è anche un business, poiché la carne viene venduta al miglior offerente. Una vittima sacrificale di 600 kg può fruttare, in media, circa 4.500 €, mentre un esemplare di 900 kg arriva anche al costo di 67.500 €.

Una volta macellati i Maiali di Dio, la loro pelle viene stesa, dipinta con motivi tradizionali, e montata su grandi carri da parata per essere ammirati dalla folla.

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Come ultima nota ironica, va notato che nutrire a forza gli animali, e macellarli in pubblico, è ufficialmente vietato dalla legge taiwanese; ma, secondo le associazioni animaliste, il governo non farebbe nulla per impedire lo svolgersi dello Shen Dzu Contest, per paura di rappresaglie da parte dei numerosi gruppi religiosi che lo rivendicano come parte della loro tradizione culturale.

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Worshippers look at fattened sacrificial pigs as part of the Hakka Yimin Festival in Hsinchu

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Ecco il sito ufficiale del festival Yimin, contente molte informazioni sulla cultura hakka.

(Grazie, Fabio!)

The Dangerous Kitchen – VI

Lo sentiamo dire spesso: abbiamo perso il contatto con la natura. E normalmente ci figuriamo la natura sotto le forme rassicuranti di quel bel boschetto con tanto di ruscello dove vorremmo andare a passeggiare di tanto in tanto; ma forse amare la natura passa per forza anche per l’accettazione e la comprensione dei suoi massacri. Questo “scollamento” si riflette anche nel nostro cibo: il banco della carne al supermercato, con le sue fettine pulite e tagliate, impacchettate e asettiche, sembra studiato appositamente per farci dimenticare che quel cibo proviene da un animale ucciso per la nostra alimentazione. I nostri bisnonni o anche i nostri nonni non avrebbero avuto problemi ad ammazzare un coniglio, spellarlo e cucinarlo per cena; oggi non vogliamo saperne nulla – preferiamo che ci venga servito qualcosa di irriconoscibile e astratto.

Come sapete questa rubrica si rivolge a quei gourmet che cercano un brivido in più, o uno spunto di riflessione sul relativismo culinario. È ora quindi di tornare alle origini, e alla piena coscienza di ciò che mangiamo; oggi vi proponiamo di preparare, per voi e per i vostri cari, proprio quella parte dell’animale che usualmente scartiamo, perché ci consente di identificarlo senza ombra di dubbio: la testa.


E non parleremo nemmeno delle testine d’agnello, piuttosto diffuse in Italia, ma dell’animale la cui carne viene consumata più spesso. Oggi vi spiegheremo come cucinare una testa di mucca al cartoccio.


Purtroppo avrete qualche difficoltà a trovarla esposta al mercato, come invece potrebbe succedervi in Messico: ma di sicuro il vostro macellaio di fiducia non vi negherà una testa vaccina se la prenotate con un po’ di anticipo. La scarsa richiesta per questo taglio garantirà inoltre un prezzo piuttosto contenuto.


La testa di mucca viene utilizzata per preparare un particolare spezzatino di frattaglie diffuso in Europa e in America: si chiama headcheese negli USA, brawn in Inghilterra, sülze in Germania e testa in cassetta in Italia (piatto tipico in Liguria, Piemonte, Toscana e Sardegna) – anche se in Europa si preferisce cucinarlo a partire dalla testa di maiale.

La nostra ricetta, invece, è squisitamente tex-mex e prevede una lunga cottura alla griglia. D’altronde, per tornare a contatto con la natura, non c’è niente di meglio che riunire tutta la famigliola all’aria aperta, con i bambini che scorrazzano per il prato, le farfalle, gli uccellini, e una testa di mucca spellata sul vostro barbecue nuovo fiammante.


Nel caso siate un po’ schizzinosi, potete pulirla asportando gli occhi e se volete anche la lingua (che eventualmente preparerete a parte, in salmì). Dopo averla posta a faccia in giù su una teglia in alluminio abbastanza grande da contenerla, spolveratela con gli odori di vostra scelta e lasciate affumicare la testa per un paio d’ore.

Una volta imbrunita, annaffiatela di vino bianco o salsa barbecue, chiudete la testa di mucca in una serie di fogli di alluminio, facendo bene attenzione a ricoprirla accuratamente. Continuate la cottura a fuoco vivo prima, poi gradualmente più basso, per 2-3 ore.


Dopo aver aperto il cartoccio, cominciate a ripulire le ossa di tutta la carne, eliminando il grasso. Le guance sono ovviamente la parte più gustosa e carnosa. Servite il tutto con salsa barbecue, anelli di cipolla e patate fritte.


La ricetta verrà certamente apprezzata da tutta la famiglia: infatti, come suggerisce questo filmato, le ossa rimaste assicureranno ore e ore di sano divertimento per i vostri bambini!

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PIG 05049

È proprio vero, come recita l’adagio popolare, che del maiale non si butta via nulla?
Partendo dalla voglia di verificare questo assunto, la designer olandese Christien Meindertsma è divenuta autrice di un progetto davvero sorprendente, intitolato PIG 05049. Il nome deriva dal numero assegnato ad un maiale, che la Meindertsma ha scelto come oggetto del suo studio.

Cresciuto in un allevamento olandese, il maiale 05049 ha avuto la sorte che aspetta tutti i suoi consimili: macellato una volta adulto, le sue parti sono state spedite in tutta Europa per essere utilizzate… sì, ma come?
Per tre anni Christien ha seguito, pezzo per pezzo e con grande dedizione, ogni singola parte del suo maiale – pelle, carne, ossa, e tutto il resto – mentre veniva scomposta e utilizzata nei modi più disparati, entrando in processi produttivi sempre più distanti fra loro, comprata e rivenduta, di ditta in ditta, di fabbrica in fabbrica. E indovinate un po’. Le bistecche e gli insaccati, pur essendo il destino più ovvio, non sono che uno delle centinaia e centinaia di prodotti in cui il nostro maialino ha finito per ritrovarsi.

Dalla vernice per pareti alle statuine in porcellana, dai freni dei convogli ferroviari ai pennelli dei migliori pittori, dalle caramelle gommose al collagene delle iniezioni, fino ad arrivare agli estremi opposti: proiettili… e protesi cardiache salvavita. Le differenti parti del maiale vengono riutilizzate in questi ed altri oggetti di uso più o meno comune, e la Meindertsma ha documentato e fotografato ognuno di questi prodotti per inserirli, in scala 1:1, in un catalogo che porta sulla costola una replica dell’etichetta che il maiale 05049 aveva sull’orecchio.

La sua complessa ricerca, spiega l’artista e designer olandese, serve a mostrare come il nostro rapporto con gli oggetti sia inesorabilmente mutato con l’avvento della produzione di tipo industriale: non soltanto non sappiamo di cosa siano fatte le cose che utilizziamo, né quale lavorazione abbiano subìto, ma nemmeno gli stessi anelli di questa catena produttiva sono consci dell’intero processo. Gli allevatori di maiali, infatti, sono i primi a non sapere affatto che fine fanno i loro animali, e sono convinti di servire esclusivamente l’industria alimentare.

Il maiale 05049 diviene quindi simbolo di questa frammentazione, la difficoltosa tracciabilità del suo corpo “esploso” e ormai invisibile dimostra quanto tutti noi siamo tagliati fuori dagli stessi meccanismi produttivi che abbiamo messo a punto. Ed inquieta il pensiero che forse non ci sia nessuno che abbia davvero una visione d’insieme. Sono stati necessari tre anni di dure ricerche, e la puntigliosità di un’artista, per comprendere esclusivamente come funziona lo sfruttamento di un maiale; d’istinto, il pensiero corre quindi alle misteriose e paurose oscillazioni della Borsa, le altalenanti sorti dei diversi mercati internazionali… Quanti altri processi, enormemente più complessi e ramificati, restano nascosti e si organizzano, come dotati di vita propria, senza che nessuno possa rendersi veramente conto della loro totalità?

Ecco la pagina del progetto PIG 05049 sul sito ufficiale di Christien Meindertsma. Qui sotto trovate due video: nel primo viene sfogliato il volume PIG 05049, nel secondo l’autrice presenta (in inglese) il proprio lavoro al pubblico.

(Grazie, Dino!)

Decomposizione in time-lapse

Abbiamo già pubblicato dei filmati in time-lapse di animali che si decompongono. Vogliamo aggiungere questo video alla nostra collezione, perché la testa di maiale in questione funge da pasto non soltanto per insetti e larve, ma anche per i dolcissimi scoiattoli che abitano il bosco. Ancora una volta, è evidente come la natura si avvalga della morte come una risorsa, un nuovo inizio piuttosto che una fine. Non c’è nulla di orribile in questi filmati, che anzi documentano una continua esplosione di vita.

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