Tre appuntamenti milanesi

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Mors pretiosa

Mors Pretiosa

Here comes the third volume in the Bizzarro Bazar Collection, Mors pretiosa – Italian religious ossuaries, already on pre-sale at the Logos bookshop.

This book, closing an ideal trilogy about those Italian sacred spaces where a direct contact with the dead is still possible, explores three exceptional locations: the Capuchin Crypt in Via Veneto, Rome, the hypogeum of Santa Maria dell’Orazione e Morte in via Giulia, also in Rome, and the chapel of San Bernardino alle Ossa in Milan.
Our journey through these three wonderful examples of decorated charnel houses, confronts us with a question that might seems almost outrageous today: can death possess a kind of peculiar, terrible beauty?

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From the press kit:

There is a crack, a crack in everything: that’s how the light gets in” sings Leonard Cohen, and this is ultimately the message brought by the bones that can be admired in this book; death is an eternal wound and at the same time a way out. A long way from the idea of cemetery, its atmosphere of peace and the emotions it instils, the term “ossuary” usually evokes an impression of gloomy coldness but the three places in this book are very different. The subjects in question are Italy’s most important religious ossuaries in which bones have been used with decorative ends: the Capuchin Crypt and Santa Maria dell’Orazione e Morte in Rome, and San Bernardino alle Ossa in Milan. Thick with the sensation of mortality and vanitas, these ossuaries are capable of performing a completely unexpected role: on the one hand they embody the memento mori as an exhortation to trust in an afterlife for which the earthly life is a mere preparation and test, on the other they represent shining examples of macabre art. They are the suggestive and emotional expression – which is at the same time compassionate – of a “high” feeling: that of the transitory, of the inexorability of detachment and the hope of Resurrection. Decorated with the same bones they are charged with safeguarding, they pursue the Greek concept of kalokagathìa, namely to make the “good death” even aesthetically beautiful, disassembling the physical body to recompose it in pleasant and splendid arrangements and thereby transcend it. The clear and in-depth texts of the book set these places in the context of the fideistic attitudes of their time and Christian theological traditions whereas the images immerse us in these sacred places charged with fear and fascination. Page after page, the patterns of skulls and bones show us death in all of its splendour, they make it mirabilis, worthy of being admired.

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In the text are recounted some fascinating stories about these places, from sacred representations in which human remains were used as props, to the misadventures of corpse seekers; but mainly we discover that these bone arabesques were much more than a mere attempt to impress the viewer, while in fact they represented a sort of death encyclopedia, which was meant to be read and interpreted as a real eschatological itinerary.

As usual, the book is extensively illustrated by Carlo Vannini‘s evocative photographs.

You can pre-order your copy of Mors Pretiosa on this page, and in the Bookshop you can purchase the previous two books in the series.

Emoscambio

Sui piloni dei viadotti italiani, lungo le autostrade, sul cemento dei muri di contenimento o sui cartelli stradali appaiono talvolta strane ed ermetiche scritte. La più celebre è DIO C’È. Secondo una leggenda metropolitana, sarebbe opera di un frate francescano che, percorrendo l’Italia a piedi, avrebbe deciso di quando in quando di riaffermare (assecondando istinti piuttosto vandalici, a dire il vero) l’esistenza del Signore. Un’altra spiegazione, mai pienamente confermata, è che si trattasse di un linguaggio in codice camorristico per segnalare la presenza di spacciatori nei paraggi: qualche appassionato di enigmistica ha addirittura pensato che la scritta fosse un acronimo per “Droga In Offerta: Costo Economico”.

Ancora più incomprensibili e spiazzanti erano i caratteri cubitali che sembravano pubblicizzare o profetizzare un misterioso EMOSCAMBIO, con una caratteristica “E” disegnata come la lettera greca sigma, e seguiti da un numero di telefono. Se ne ricorderà chi, nato negli anni ’70, viaggiava spesso in Nord Italia: campeggiavano su casolari abbandonati, fabbriche in disuso e altri punti poco frequentati. Ma a cosa facevano riferimento quei criptici messaggi sullo “scambio di sangue”?

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La realtà che si cela dietro alle scritte è sorprendente, e rimane ancora in parte inspiegata. Chiunque si fosse appuntato il numero telefonico, e avesse deciso una volta tornato a casa (non esistevano i cellulari allora!) di saperne di più sul fantomatico emoscambio, avrebbe sentito dall’altro capo della cornetta una segreteria telefonica che lo ragguagliava sui punti salienti di una particolare teoria salutistica, invitandolo poi a spedire un contributo di almeno 10.000 lire ad una casella postale dell’aeroporto Linate a favore dell’I.I.D.F., Istituto Italiano di Fisiologia.

Ora, un simile Istituto non è mai esistito. Il numero di telefono era quello di un’abitazione privata di Segrate (MI), dove viveva un signore di nome Vito Cosmaj.

L’unica traccia ufficiale dell’attività di Cosmaj si può trovare nei bollettini del Registro Pubblico Generale delle opere protette dalla legge sul diritto d’autore relativi alla fine degli anni ’70: in quel periodo risulta che Vito Cosmaj avesse facoltà di godere dei diritti di alcune opere edite a sue spese, vale a dire il trattato Fisiologia Universale (Umana Sociale e Cosmica), edito a Lodi dallo stampatore Lodigraf nel 1978, il manuale intitolato T.A.F. – Tecnologia dell’Amplesso Fisiologico (registrato il 13/03/1980), una sua revisione (del 30/12/1980) e infine nientemeno che un Vangelo Secondo Vito Cosmaj (13/10/1980).

Già questi titoli sarebbero abbastanza eccentrici da stimolare la fantasia di un qualsiasi indagatore. Ma quando si scopre a quali ricerche si dedicasse il nostro Cosmaj, le cose si spingono ancora più fuori dall’ordinario.

Uno dei fondamenti della sua dottrina era la cosiddetta T.A.F., o Tecnica dell’Amplesso Fisiologico, volta a ristabilire la corretta posizione durante l’accoppiamento: secondo Vito Cosmaj, era essenziale ritornare alla copula naturale, tipica di tutti gli animali, in cui l’uomo prende la donna da dietro, restando in piedi. Far l’amore a letto nella posizione del “missionario”, invece, era a suo dire una perversione inaccettabile, “posizione sbagliata, innaturale e non fisiologica (ossia pornografica, tolemaica, cristiano-ebraica islamico-democristiana)”.

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I volantini distribuiti da Vito Cosmaj sono un piccolo capolavoro dell’assurdo, che ricorda il futurismo e il surrealismo: per mezzo di costanti divagazioni e pungolature alla politica e alla borghesia, l’autore disegna una specie di folle programma pseudoscientifico per rivoluzionare la realtà italiana. Il gusto dissacrante e ironico è evidente, a partire dalle invenzioni linguistiche (fare sesso con il metodo T.A.F. diventa “taffare”, la laurea che è possibile conseguire presso il fantomatico Istituto è chiamata “Addottorato”, ecc.) fino alla finta pubblicità che reclamizza una cintura di castità prodotta dalla Virgo-Virginis S.p.A. di Palermo, dal capitale sociale di 999 miliardi di lire “interamente versato”…
Prendiamo ad esempio la descrizione dell’esame finale per ottenere l’Addottorato:

PER OTTENERE la suddetta laurea è necessario superare un esame con prova pratica ed orale in seno all’I.I.D.F.
L’ADDOTTORATO in questione è riservato ai soli MASCHI celibi, ammogliati, separati, divorziati, vedovi, ecc. ecc. di nazionalità italiana con età non inferiore agli anni 21, mentre tale laurea è interdetta alle femmine per ovvi motivi, ai religiosi (preti, frati, vescovi, cardinali, papi, ajatolli, archimandritti, ebrei, buddisti, maomettani, cristiani, democristiani, testimoni di geova, protestanti, ortodossi, valdesi, ecc. ecc.), ai reclusi, agli unisex, ai dementi e ciarlatani che insegnano ed hanno imparato la fisiologia negli atenei del nostro “glorioso Stato Italiano”, e a tutti coloro insomma che non avranno superato l’esame per qualsivoglia motivo […]. L’I.I.D.F. non procura femmine da taffare agli esaminandi. È proibita ogni forma di leccamento, succhiamento, masturbazione o toccamento manuale agli organi sessuali da parte di entrambi i soggetti. L’unica eccitazione ammessa è il dimenare del sedere della femmina contro i genitali del maschio e viceversa per 20” dopo di che CHI NON HA EREZIONE OPPURE NON RIESCA A COMPENETRARE LA FEMMINA NELL’ORIFIZIO GIUSTO VIENE INESORABILMENTE BOCCIATO ED ESPULSO DALL’I.I.D.F. […] Premio di consolazione per i bocciati: uno stronzetto d’oro (falso naturalmente) da appuntare all’occhiello quale distintivo.

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Tra frecciate rabbiose alle religioni, alla Democrazia Cristiana e alla scienza, citazioni farlocche di Napoleone Bonaparte e del generale Cambronne, e virulenti aforismi, Cosmaj costruisce dei testi pirotecnici che avrebbero fatto la felicità di Queneau o di Umberto Eco.
Ancora sulla T.A.F.:

L’UOMO però imbecille come sempre, che si sente orgoglioso ed evoluto solo perché è riuscito a sbarcare sulla luna, mentre gli UFO sono ogni giorno di più una realtà e poi perché è riuscito a costruire una bomba (termonucleare) con la quale autodistruggersi, e poi perché è furbo a non finire, è riuscito a crearsi un DIO dentro il quale e per mezzo del quale giustificare tutti i misteri della natura e nascondere tutte le proprie capacità, miserie e limiti che non vuole riconoscersi per paura di perdere di dignità (anziché di trovarla) DOPO 2000 ANNI dal giorno in cui cominciò a misurare la propria esistenza, questa tecnica ancora ignora! PER I PAZZI ovviamente è più importante e più glorioso escogitare il sistema per autodistruggersi piuttosto che quello di vivere bene, armonicamente ed equilibratamente! […] L’UOMO CHE NON SA COMPIERE L’AMPLESSO (O MEGLIO TAFFARE) NUDO MENTRE GLI ALTRI LO OSSERVANO È UN UOMO CHE HA VERGOGNA DELLE PROPRIE AZIONI: Insomma NON È UN UOMO, MA UNA MERDA! (E per la donna vale lo stesso!)

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Ora, leggendo queste righe, la domanda sorge spontanea: Cosmaj ci era o ci faceva?
A prima vista tutta la questione dell’emoscambio sembra infatti un’elaborata burla, un esercizio di patafisica. Purtroppo Vito Cosmaj è morto nella prima metà degli anni ’90, e a parte il flano pubblicitario non rimangono altri indizi per conoscere qualcosa di più della sua visione. L’unica pista da seguire è trovare chi l’ha conosciuto di persona.

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L’abbiamo fatto, chiedendo qualche delucidazione a un altro personaggio particolarmente colorito: Gian Paolo Vanoli, che si autodefinisce “Sovrano Individuale” e “Giornalista Investigativo specializzato in Sanità da 40 anni”. Gestore di un sito di medicina alternativa e recentemente al centro di polemiche a causa delle controverse dichiarazioni rilasciate a Vice e rimbalzate sui siti internazionali, Vanoli bazzica da sempre tutto il variegato sottobosco di teorie sanitarie non convenzionali ed è strenuo sostenitore delle virtù terapeutiche derivanti dal bere la propria urina. Ma quello che ci interessa qui è la sua relazione con Vito Cosmaj, che Vanoli ha conosciuto e della cui assoluta serietà riguardo all’emoscambio si dice convinto. Secondo Vanoli, il fulcro di tutto il pensiero di Cosmaj era proprio la trasfusione di sangue a fini salutistici.

Ci scrive Vanoli: “L’ho conosciuto incontrandolo solo una volta nella quale abbiamo parlato della sua teoria e mi sono convinto che la praticava personalmente con altri. Infatti gli avevo detto di fare molta attenzione perché con lo scambio del sangue si importano le tossine ed il DNA alterato dei donatori e quindi possibili malattie e morte prematura… cosa che si è realizzata in lui.
NON ricordo di cosa vivesse, perché sono passati molti anni.
NON era una burla, la praticava regolarmente ogni tanto.
Per me è una pratica antica, ma NON salubre, quindi non sono d’accordo nel propagandarla.

Il dubbio, però, resta. Sia che praticasse davvero delle pericolose trasfusioni, sia che la sua bizzarra propaganda nascondesse in realtà un progetto artistico o che il buon Cosmaj fosse semplicemente un po’ fuori di testa, le sue tracce sono ormai svanite. Anche le innumerevoli, gigantesche scritte che personalmente disegnava sulle superstrade o sugli edifici abbandonati stanno scomparendo a poco a poco, e con esse sparisce anche un folle e affascinante segreto.

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Ringraziamo il nostro lettore Silvio per averci segnalato questa pagina web, che ha iniziato le ricerche sull’emoscambio, e in particolare l’utente David che nella sezione dei commenti proprio su quella pagina ha approfondito la questione.

AGGIORNAMENTI

La questione dell’Emoscambio evidentemente appassiona i lettori. Nella sezione dei commenti sono spuntati alcuni aneddoti affascinanti, e ogni tanto qualcuno mi contatta con qualche nuovo tassello.

  • Solidea segnala che negli elenchi dei gettoni di necessità (“che circolavano anche negli anni 60/70, quando la Zecca dello Stato non riusciva a soddisfare le esigenze crescenti del conio di moneta […], vere e proprie pubblicità a pagamento“) si trova questo gettone relativo al periodo 1970-1980, altro tentativo promozionale per l’Emoscambio.

  • L’archivio Waybackmachine ha “salvato” per la consultazione il vecchio sito web dell’Emoscambio (segnalato da Gianmaria Rizzardi).
  • Il lettore Paolo ML ha invece trovato una curiosità all’interno del settimanale ABC (forse il n. 31 dell’agosto 1972,  la copertina è rovinata). Nella rubrica Risposte in breve, la corrispondente del giornale replica con ammirevole aplomb a una missiva inviatale dalla “Confraternita degli Emodinamisti” che evidentemente, oltre ad averle spedito un volantino, l’aveva anche apostrofata con un poco gentile epiteto — in puro stile Cosmaj.

Chiesa e anatomia

Qualche tempo fa Lidia, una nostra lettrice, ci segnalava la presenza della statua di un écorché (“scorticato”, una delle raffigurazioni classiche dell’anatomia umana) proprio all’interno del Duomo di Milano: si tratta del celebre San Bartolomeo di Marco D’Agrate. Eccolo qui sotto.


Lidia si chiedeva: com’è possibile che una statua simile venisse posta all’interno di un Duomo, proprio in un periodo (il XVI secolo) in cui l’utilizzo di cadaveri per la dissezione comportava la scomunica?

Questo apparente paradosso ci dà la possibilità di fare luce su alcuni miti relativi al Medioevo, in particolare riguardo ai rapporti fra la Chiesa cattolica e lo studio dell’anatomia.


L’idea che molti hanno degli albori degli studi anatomici e chirurgici si ricollega all’idea di Medioevo come di un’epoca buia, pervasa da ignoranza e superstizione; in questo contesto, i primi studiosi dell’anatomia sarebbero stati dei pionieri “fuorilegge”, che riesumavano cadaveri ed eseguivano le loro dissezioni di nascosto, perché su queste azioni gravava la pena della scomunica o, ancora peggio, la reclusione. Leonardo da Vinci, responsabile delle prime dettagliate illustrazioni dell’interno del corpo umano, e inventore del moderno disegno anatomico (quello “esploso”, che mostra come gli organi siano posizionati e si rapportino l’uno all’altro), effettuò le sue dissezioni in gran segreto, o almeno così ci hanno sempre raccontato, per evitare ritorsioni dalla Chiesa.

Preparatevi però a una sorpresa: queste idee sono state grandemente ridimensionate dagli studiosi a partire dagli anni ’70, fino ad arrivare a sostenere che la Chiesa cattolica non abbia mai condannato né le dissezioni, né lo studio dell’anatomia, né tantomeno la chirurgia.


Da cosa nasce allora questa confusione? Principalmente dalla cosiddetta “tesi del conflitto”, nata in ambito positivista nel XIX secolo: alcuni studiosi di storia infatti (White e Draper in particolare) sostennero che la Chiesa fosse da sempre stata in conflitto con la scienza, perché quest’ultima contraddice i miracoli; lo sviluppo delle materie scientifiche, quindi, sarebbe andato contro gli interessi del Pontefice e della comunità ecclesiastica, entrambi intenti a mantenere salvi i proventi della loro “vendita dell’Agnus Dei”. Quest’idea godette subito di grande popolarità, benché le fonti coeve non riportassero esplicitamente traccia di questa lotta acerrima fra scienza e religione. Gran parte degli autori, a dir la verità, non citava e spesso non si prendeva nemmeno la briga di verificare e studiare approfonditamente il diritto canonico e gli atti dei concili.

A complicare le cose, ci furono un paio di canoni e bolle papali che vennero interpretati in maniera errata o parziale. È vero infatti che alcune restrizioni erano state decise dalla Chiesa per vietare a parte del clero di studiare l’anatomia. Ad esempio, un canone approvato in diversi concili ecclesiastici prevedeva che fosse proibito a monaci e canonici regolari lo studio della medicina. Ma se si leggono approfonditamente le motivazioni di questa proibizione, si scopre che essa veniva messa in atto per limitare quella “prava e detestabile consuetudine” che alcuni monaci avevano preso di studiare “giurisprudenza e medicina al fine di ricavarne un guadagno temporale”. Un monaco avrebbe dovuto dedicarsi alla preghiera e al conforto delle anime – ma al tempo molti si dedicavano invece alla medicina e alla giurisprudenza come secondo lavoro; ed era questa sete di guadagno che, secondo il canone, male si addiceva a degli uomini di fede. D’altronde il canone è tutto incentrato sul problema dell’avidità, e vi si proibiscono anche simonia e usura: il fatto che ai monaci venisse vietato anche lo studio della giurisprudenza fa capire bene come non fosse la medicina il problema essenziale.


Un altro canone si scagliava contro quei membri della Chiesa che erano soliti “lasciare i loro chiostri per studiare le leggi e preparare medicine, con il pretesto di aiutare i corpi dei loro fratelli malati […] stabiliamo allora, con il consenso del presente concilio, che a nessuno sia permesso di partire per studiare medicina o le leggi secolari dopo aver preso i voti ed aver fatto professione di fede in un certo luogo di religione”. Anche in questo caso non viene mai proibita la pratica della medicina; vengono accusati quei ministri di Dio che abbandonano il loro chiostro per perseguire scopi differenti. Come a dire, una volta che hai preso i voti, la tua strada deve essere quella del Signore, a quello devi dedicarti, senza che altre discipline ti distraggano dai tuoi compiti.

Un altro dilemma morale era che la chirurgia curava di certo molti malati, ma spesso portava alla morte del paziente. Questo mal si conciliava con l’assunzione ad alte cariche nella Chiesa, e pertanto praticare la chirurgia fu proibito agli Ordini Maggiori (insieme, per esempio, al divieto di pronunciare sentenze di morte o di essere a capo di uomini che spargono sangue). Ancora una volta, nessuna traccia della proibizione della pratica chirurgica in sé; e ancora una volta questi divieti erano limitati soltanto a una specifica parte del clero.


Ma forse il più incredibile fra i miti relativi alla Chiesa è l’editto denominato Ecclesia abhorret a sanguine (“La Chiesa aborre dal sangue”). Questa frase, citata e ricitata nei secoli a riprova della distanza fra Chiesa e chirurgia, venne attribuita a un fantomatico editto: eppure esso non è presente in alcun canone di alcun concilio! Pare che uno storico del XVIII secolo, citando un passo delle Recherches de la France di Étienne Pasquier, abbia deciso di tradurlo in latino e di scriverlo in corsivo. Da quel momento, tutti gli storici successivi presero il motto come una citazione diretta da qualche canone, senza controllarne l’effettiva provenienza.


E le dissezioni? Anche qui, ben poco che ci confermi una presunta presa di distanza della Chiesa. Ci fu, è vero, la bolla De sepulturis, nata con l’intento di combattere l’usanza, fiorita in Terra Santa durante le Crociate, di tagliare a pezzi il corpo dei nobili e di bollirli per separare la carne dalle ossa e riportare più agevolmente le spoglie a casa, oppure per seppellirle in diversi luoghi ritenuti sacri. Nella bolla non si proibiva di fare a pezzi un corpo per scopi scientifici (la preoccupazione era rivolta appunto a quella pratica di sepoltura definita “abominevole”), ma forse la bolla poté essere liberamente interpretata e usata per limitare in alcuni rari casi anche le dissezioni anatomiche.

Quello che è certo è che i monasteri erano da sempre i depositari dei maggiori testi di anatomia e medicina, che una buona parte del clero studiava queste discipline, e che le dissezioni vennero praticate durante tutto il Medioevo senza particolari problemi. Già nel XIII secolo le autopsie erano utilizzate e legalmente permesse come pratiche sperimentali per accertare le cause di un decesso e prevenire eventuali epidemie. È proprio dal XIV secolo che la pratica della dissezione, partendo da Bologna, iniziò a diffondersi gradualmente in tutte le altre università italiane ed europee, senza trovare alcun ostacolo.


E, se ancora non siete proprio convinti che la Chiesa non avesse problemi con la dissezione di un cadavere, pensate a quello che succedeva ai corpi dei santi, spesso letteralmente smembrati appena morti, ad opera degli stessi ecclesiastici… per farne reliquie.