Gourmand e gourmet

(Articolo a cura del nostro guestblogger Pee Gee Daniel)

Che altro è l’ingordo se non un entusiasta della vita che pretenda di degustarla il più possibile attraverso le cavità orali?
Se il filosofo ambisce a comprendere l’universo attraverso il pensiero, il dandy grazie ai lussi sibaritici di cui si circonda, e il grande amatore giacendo con un’infinità di partner, il mangione eserciterà questa disposizione d’animo assimilando tutto il cibo che l’elasticità delle pareti intestinali gli permetta di ingurgitare.
I due campioni di quest’ultima inclinazione, che andremo qui di seguito a descrivere, sarebbero piaciuti a Rabelais: ben testimoniano infatti le prerogative che il mostruoso sviluppo della fase orale può assumere, tra quantità e qualità, tra il polifago e l’onnivoro, tra la fame e l’appetito.

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Nonostante sia vissuto in tempi relativamente recenti (la sua breve vita si svolse infatti tra il 1772 e il 1798) di Tarrare non ci sono rimaste notizie biografiche inoppugnabili e tutto di questa figura tende a sconfinare nel leggendario. Unica certezza è la bulimia pantagruelica da cui era affetto.
Sembra che sin dalla più tenera età fosse capace di ingurgitare intere derrate di carne, tanto che la modesta famiglia d’origine si vide presto costretta a buttarlo fuori casa, intimandogli di provvedere da solo alla propria inestinguibile voracità. Tarrare partì dunque dalla natia Lione per esibirsi in tutta la Francia con compagnie di giro, presso cui rivestiva il ruolo di una sorta di geek ante litteram. Il suo numero consisteva nell’ingoiare qualunque cosa il pubblico gli porgesse: pietre, animali vivi e frutti interi.
Giunto a Parigi si arruolò nell’Esercito Rivoluzionario, tra le cui fila ben presto ci si accorse che le razioni militari non erano minimamente sufficienti a saziare quello stomaco senza fondo. Venne  ospedalizzato e fu allora che i medici per la prima volta ebbero modo di condurre alcuni test circa le sue potenzialità digestive. Il soggetto si dimostrò capace di divorare in una sola volta, e senza apparente sforzo, le portate di una mensa imbandita per 15 persone, una quantità di gatti, cagnolini, lucertole e serpenti vivi e, dulcis in fundo, un’intera anguilla, che butto giù senza masticare.
Avendo tra l’altro dato prova di poter ingoiare un’intera risma di fogli, “restituendoli” a fine giornata pressoché intonsi, il generale Beauharnais lo impiegò per il buon esito della guerra in corso contro i prussiani, obbligando Tarrare a ingoiare documenti della massima importanza che, custoditi nelle sue budella, egli avrebbe poi “depositato” oltre le linee nemiche. Intercettato dall’esercito tedesco, si ritrovò ancora tra le corsie di un nosocomio, dove stavolta l’equipe medica tentò di curare l’inusuale patologia tramite una terapia a base di laudano, pillole di tabacco, aceto di vino e uova sode, destinata comunque all’insuccesso. Tiranneggiato da languori sempre più incontenibili, Tarrare si spinse a sgranocchiare immondizie e scarti di fogna e fu fermato appena in tempo mentre cercava di bere sangue prelevato ad altri pazienti o di cibarsi dei cadaveri ricoverati nella morgue. Gli venne persino imputata la scomparsa di un infante di 14 mesi, avvenuta in sospetta concomitanza con il suo passaggio… Morì a Versailles in seguito a un violento accesso di dissenteria.
Particolare curioso è che, a dispetto di questa sua mania, aveva sempre conservato un peso corporeo nella media.

William Buckland, geologist, 1823.
Ben diverso fu invece l’approccio all’alimentazione di Sir William Buckland (1784-1856).
Eminente geologo presso l’università di Oxford (a lui si devono le prime descrizioni scientifiche di fossili di dinosauri), affiancava al ruolo accademico una passione a dir poco eccentrica, che lo rese non meno celebre.
A muovere Buckland era una curiosità scientifica, applicata al campo dietetico. La missione che Buckland si prefisse sin dalla giovinezza fu quella di assaggiare almeno un esemplare di ogni specie vivente. E in effetti, nel corso dei suoi settant’anni abbondanti di vita, ebbe modo di comporre un catalogo variegatissimo di bestie commestibili.
Durante questa carriera mangereccia degustò carne di vari animali domestici, proscimmie, primati, grossi felini (si narra di una famigerata libagione a base di pantera), rettili, anfibi e meduse urticanti, solo per fare qualche esempio. Tipico il suo modo di accogliere gli ospiti: con una galletta spalmata di polpa di topo in una mano e una tazza di tè fumante nell’altra. Si lagnò solo un paio di volte del proprio desinare, a proposito della consistenza eccessivamente stopposa della talpa e, in un’altra occasione, del cattivo sapore del moscone. Come avrete capito le storie sulle sue eccentricità, vere o romanzate che siano, non si contano.
A quanto si narra questo Casanova gastronomico non si sarebbe nemmeno limitato a sperimentare i gusti del regno animale. In seguito a una sua visita presso la Cattedrale di San Paolo, per esempio, venne fatta una scoperta sconcertante: un calice contenente il sangue di un martire cristiano fu ritrovato completamente vuoto, come se qualcuno ne avesse bevuto il sacro contenuto…
Il picco delle stranezze fu raggiunto allorché il lord venne introdotto a una mostra di preziosi cimeli. Quando si trovò davanti alla teca che conteneva il cuore di Luigi XIV non resistette all’impulso e, subito dopo aver pronunciato la fatidica frase: «Il cuore di un Re mi manca!», si avventò sull’organo imbalsamato e lo trangugiò in un sol boccone senza che gli accompagnatori avessero il tempo di bloccarlo.

Per quanto circonfusi da un evidente alone di leggenda, i disturbi alimentari di questi signori non vanno per forza letti come frutto di fantasia; benché molto rari, sono oggi noti nelle loro varianti cliniche denominate iperfagia (appetito ossessivo) e picacismo.

Tabù alimentari

L’uomo è un animale onnivoro, e può mangiare e digerire cibi di origine vegetale e animale alla stessa stregua. Eppure la maggior parte degli esseri umani consuma soltanto poche varietà di prodotti alimentari.

Alcune popolazioni si nutrono di alimenti che disgustano altre popolazioni: i tabù alimentari sono fra i più radicati, e intimamente legati al gruppo etnico di cui si fa parte. Secondo alcuni antropologi (tra cui Marvin Harris) sarebbero stati i fattori ambientali a far prediligere un certo cibo a un determinato popolo. Il tabù della carne di maiale per ebrei e musulmani nel Medioriente deriverebbe dalla difficoltà nell’allevare questo animale, che è tendenzialmente stanziale e abbisogna di ombra e acqua: permettere il consumo di carne di maiale avrebbe significato mettere in pericolo l’identità stessa della tradizione nomade.

Secondo altri antropologi (come ad esempio Steven Pinker) il tabù alimentare sarebbe alla base stessa della nostra identità. Nel primo periodo di vita di un bambino sarebbe assente la distinzione fra cibi buoni e cibi disgustosi: così, proprio nel periodo cruciale in cui si apprende a preferire dei cibi piuttosto che altri (fino ai 4 anni), i genitori escludono dalla dieta del bambino alcuni alimenti, e questo basta affinché i bambini crescano trovandoli disgustosi. La tattica, poi, si perpetua da sé: i figli, crescendo, diventano dei genitori che non danno da mangiare cibi disgustosi ai propri figli.

Nelle tribù è talmente importante questo elemento aggregativo (il pasto comunitario, le regole interne per la consumazione del cibo), che si è notato come la maggior parte dei tabù alimentari proibiscano proprio il cibo preferito dalla tribù nemica.

Oggi, nel mondo, esistono ancora fortissimi tabù alimentari. Quello che è buono e appetibile per alcuni, per altri è disgustoso e detestabile. Insetti, cavallette e lombrichi sono cibi prelibati per milioni di persone; ben quarantadue popolazioni mangiano ratti, mentre sono molte le popolazioni che non berrebbero mai un bicchiere di latte, in quanto secreto dalle ghiandole animali, come la saliva o il sudore. Per non parlare del formaggio, che altro non è se non latte andato a male. Un americano inorridisce in una nostra macelleria se gli viene proposta carne equina, e noi facciamo lo stesso di fronte a una zuppa cinese in cui galleggiano due zampe di cane. E come reagireste se in un ristorante sushi tradizionale in Giappone, vi servissero un pesce spellato e tagliuzzato, ma ancora vivo?

Praticamente tutti gli animali sono commestibili e vengono mangiati, in tutto il mondo.

L’entomofagia (il mangiare insetti) è fra le pratiche globalmente più diffuse. Questo signore ha provato ad importare questa tradizione culinaria “adattandola” ai gusti occidentali, proponendo un menu interamente a base di insetti:

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In tutto il sud-est asiatico, invece, uno dei cibi più apprezzati è il balut: si tratta di uova di anatra fecondate, che contengono cioè l’embrione quasi completamente formato del pulcino: lo stadio di sviluppo al quale sia preferibile consumare questa prelibatezza è strettamente questione di gusti personali.

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In Papua Nuova Guinea i pipistrelli si fanno arrosto:

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Anche da noi sono considerate commestibili le cosce della rana; ma ne mangereste il cuore ancora pulsante?

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Forse l’unico tabù fondamentale condiviso dalla maggior parte delle popolazioni al mondo è il divieto di mangiare carne umana; eppure perfino il cannibalismo è stato accettato, in certe culture, nonostante fosse regolato da precise condizioni, e rigidamente motivato all’interno di un determinato quadro simbolico e tradizionale.