R.I.P. Mike Vraney

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Il 2 gennaio, all’età di 56 anni si è spento Mike Vraney. Sicuramente il suo nome non vi dirà molto, ma questo eterno adolescente dall’entusiasmo senza freni è stato il fondatore della Something Weird, una distribuzione home video che ha cambiato a suo modo la storia del cinema. Giusto per chiarire, se non fosse per lui l’ormai celebratissima pin-up Bettie Page e il padrino del gore Herschell G. Lewis non sarebbero forse oggi così sconosciuti.

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Mike aveva una missione: scovare, distribuire e rendere noti al pubblico tutti quei film a bassissimo budget, prodotti in maniera oscura, che rischiano di venire dimenticati come spazzatura. Collezionava in modo ossessivo film assurdi, weird, talmente folli o brutti da possedere un innegabile potere di seduzione: le pellicole, insomma, in cui le ristrettezze economiche o l’incompetenza della troupe rendono comici e stranamente poetici tutti quegli errori che in un film mainstream non potremmo mai tollerare.

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I produttori di questi film spesso li tenevano chiusi nel casssetto, ritenendoli ringuardabili e invendibili. Vraney, scandagliando i loro archivi, scovava le “perle” nascoste, e comprava i negativi, di cui essi erano ben lieti di sbarazzarsi.
Poi, spiazzando tutti, ci faceva i soldi: per questo motivo era stato soprannominato affettuosamente “il quarantunesimo ladrone”.

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Il suo business funzionava proprio perché era lui stesso in prima persona un fan sfegatato di tutto ciò che di bizzarro il cinema di serie B o Z è riuscito a sfornare. Il catalogo della Something Weird propone al pubblico una gamma sorprendente di “filoni” e generi di cui pochi, anche fra i cinefili più smaliziati, avevano sentito parlare prima che Vraney li distribuisse. Vi si trovano enfatici filmati “educativi” anni ’50 sui pericoli della strada (che talvolta erano degli splatter ante litteram), e sugli esagerati e irrealistici danni della marijuana o del sesso; i nudies cuties, film di inzio anni ’60 che con il pretesto di una striminzita trama proponevano i primi, scandalosi (per l’epoca) nudi femminili; introvabili e rari loop erotici/striptease dell’era del proibizionismo, fra cui appunto quelli di Bettie Page; film pensati per i bambini, ma per un motivo o per l’altro risultati completamente distorti e angoscianti; peplum con scenografie da recita scolastica; spaghetti-western messicaneggianti ridicoli e raffazzonati; i primi film della storia a rappresentare il “terzo sesso” (l’omosessualità), con tutte le ingenuità che ci si può aspettare; e, ancora, cartoni animati svalvolati, detective privati guardoni, assassini pazzoidi più pericolosi per il loro overacting che per la crudeltà, film celebri reinterpretati da un cast interamente di colore, e tutta una galassia di seni, culi, melodrammi, pubblicità ambigue, film di guerra e di avventura senza guerre né avventure (sempre per motivi di budget).

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Le proposte editoriali della Something Weird sono talvolta uno spasso già dal titolo. Eccone alcuni:
The Secret Sex Lives Of Romeo And Juliet (Le segrete vite sessuali di Romeo E Giulietta)
Fire Monsters Vs. The Son Of Hercules (I Mostri del Fuoco contro il Figlio di Ercole)
Masked Man Against The Pirates (L’Uomo Mascherato contro i Pirati)
Superargo Vs. The Faceless Giants (Superargo contro i Giganti Senza Volto)
Diary Of A Nudist (Il Diario di una Nudista)
Adult Version of Jeckyll & Hyde (La versione adulta di Jeckyll & Hyde)
The Fabulous Bastard From Chicago (Il Favoloso Bastardo di Chicago)

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Il cinema, si sa, è un’arte che si mescola e si confonde con l’industria: con buona pace di chi sbraita che i film dovrebbero essere questo o quello, sia i blockbuster di Michael Bay che gli esperimenti di Guy Debord sono cinema. E allora, se qualcosa ci insegna la meticolosa ricerca di Vraney, è che si possono trovare delle piccole pepite anche nell’immensa “fogna” dei film di consumo, quelli che un tempo venivano girati esclusivamente a fini economici, senza alcuna aspirazione artistica… ma che offrono di sicuro almeno una sana risata se non proprio, in rari casi, qualche breve e fulminea illuminazione. E ci fanno riflettere su quanto complessa e variegata sia stata nell’ultimo secolo la produzione cinematografica, e sul patrimonio che andrebbe completamente perduto in assenza di persone come Mike.

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Ariana Page Russell

Ariana è un’artista newyorkese affetta da una patologia della cute chiamata dermografismo: si tratta di una reazione abnorme agli stimoli e agli urti violenti. Se Ariana sbatte accidentalmente contro un tavolo, sulla sua cute si forma immediatamente un ponfo di colore rosso o rosa acceso che non se ne va prima di mezz’ora. Se si passa sulla pelle un oggetto acuminato, come ad esempio la punta di una matita, laddove alla maggior parte di noi resterebbe una sottile linea bianca che presto scompare, a lei rimane una striatura in rilievo per venti minuti buoni.

Questo tipo di affezione, che non è grave di per sé (a meno che non sia un sintomo di patologie più serie) e si può curare con antistaminici, non provoca né dolore né prurito ad Ariana – l’unico effetto negativo sono questi segni antiestetici che solcano periodicamente la sua pelle. Così la giovane artista ha deciso di trasformarli nel loro contrario, in un esercizio estetico puro.

Nella sua serie di fotografie intitolata Skin, la Russell ha trasformato il suo corpo in una vera e propria tela d’artista, in un laboratorio aperto in cui provare nuove forme e inedite decorazioni. Grazie alla sua peculiare anomalia, Ariana ha la possibilità di testare diversi materiali e diverse “fantasie” su di sé: la reazione cutanea dura più o meno mezz’ora, dandole così tutto il tempo per scattare delle foto e, se necessario, replicare il suo “quadro di pelle” per ottenere migliori risultati.

Le fotografie di Ariana Page Russell, che ricordano una versione ben più innocua delle scarificazioni, si iscrivono così nel più vasto filone della body art, ma con un elemento assolutamente personale; tutto questo, infatti, sarebbe impensabile se non fosse per la sua “malattia”, trasformata dall’artista in un tratto unico e inequivocabile della propria identità e del proprio stile.

A volte, sembrano dire questi temporanei “abbellimenti” decorativi sul corpo dell’artista, sta soltanto a noi decidere se una cosa è venuta per nuocere o meno; cosa è bene o cosa è male per noi; e ciò che per una persona è un problema, un fastidio o peggio ancora un handicap, per un’altra può rivelarsi uno stimolo positivo e carico di frutti.

Ecco il sito ufficiale di Ariana Page Russell.