Bloody Murders

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Quando state entrando ad un concerto, o a uno spettacolo teatrale, vi viene consegnato il programma della serata. Una cosa simile accadeva, in Inghilterra, anche per un tipo particolare di spettacolo pubblico: le esecuzioni capitali.

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Nel XVIII e XIX Secolo, infatti, alcune stamperie e case editrici inglesi si erano specializzate in un particolare prodotto letterario. Venivano generalmente chiamati Last Dying Speeches (“ultime parole in punto di morte”) o Bloody Murders (“sanguinosi omicidi”), ed erano dei fogli stampati su un verso solo, di circa 50×36 cm di grandezza. Venivano venduti per strada, per un penny o anche meno, nei giorni precedenti un’esecuzione annunciata; quando arrivava il gran giorno, veniva preparata spesso un’edizione speciale per le folle che si assiepavano attorno al patibolo.

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Sull’unica facciata stampata si potevano trovare tutti i dettagli più scabrosi del crimine commesso, magari un resoconto del processo, e anche delle accattivanti illustrazioni (un ritratto del condannato, o del suo misfatto, ecc.). Usualmente il testo si concludeva con un piccolo brano in versi, spacciato per “le ultime parole” del condannato, che ammoniva i lettori a non seguire questo funesto esempio se volevano evitare una fine simile.

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La vita di questi foglietti non si esauriva nemmeno con la morte del condannato, perché nei giorni successivi all’esecuzione ne veniva stampata spesso anche una versione aggiornata con le ultime parole pronunciate dal condannato – vere, stavolta -, il racconto del suo dying behaviour (“comportamento durante la morte”) o altre succulente novità del genere.

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I Bloody Murders erano un ottimo business, appannaggio di poche stamperie di Londra e delle maggiori città inglesi: costavano poco, erano semplici e veloci da preparare, e alcune incisioni (ad esempio la figura di un impiccato in controluce) potevano essere riutilizzate di volta in volta. Il successo però dipendeva dalla tempestività con cui questi volantini venivano fatti circolare.

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Questi foglietti erano pensati per un target preciso, le classi medie e basse, e facevano leva sulla curiosità morbosa e sui toni iperbolici per attirare i loro lettori. Era un tipo di letteratura che anche le famiglie più povere potevano permettersi; e possiamo immaginarle, raccolte attorno al tavolo dopo cena, mentre chi tra loro sapeva leggere raccontava ad alta voce, per il brivido e il diletto di tutti, quelle violente e torbide vicende.

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La Harvard Law School Library è riuscita a collezionare più di 500 di questi rarissimi manifesti, li ha digitalizzati e messi online. Consultabili gratuitamente, possono essere ricercati secondo diversi parametri (per crimine, anno, città, parole chiave, ecc.) sul sito del Crime Broadsides Project.

Holt Cemetery

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A New Orleans, se scavate due o tre metri nella terra, potreste trovare l’acqua. Questo è il motivo per cui, in tutto il Delta del Mississippi (e in gran parte della Louisiana, che per metà è occupata da una pianura alluvionale), di regola i cimiteri si sviluppano above ground, vale a dire in mausolei e loculi costruiti al di sopra del livello del suolo. Ma ci sono eccezioni, e una di queste è lo Holt Cemetery.

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Si tratta del “cimitero dei poveri”, ossia del luogo che ospita i cari estinti di coloro che non possono permettersi di far costruire una tomba sopraelevata. I costi funerari, negli Stati Uniti, sono esorbitanti e perfino famiglie in condizioni più o meno agiate devono talvolta aspettare mesi o anni prima di poter permettersi il lusso di una lapide. Lo Holt Cemetery è una delle “ultime spiagge”, riservate ai meno abbienti.

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Non è raro trovarvi delle lapidi in legno o altri materiali, insegne di tipo artigianale, su cui sono stati iscritti con vernice e pennello le date di nascita e di morte del defunto.

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In altri casi le tombe ospitano gli effetti personali del morto, perché la famiglia non aveva spazio o possibilità di metterli da parte – ma questa non è forse l’unica motivazione. New Orleans infatti è stata storicamente il crocevia di diverse etnie (neri, europei, isleños, creoli, cajun, filippini, ecc.), e ha raccolto un patrimonio culturale estremamente variegato e complesso. Questo si rispecchia anche nei rituali religiosi e funebri: alcuni di questi oggetti sono stati lasciati lì intenzionalmente, per accompagnare il parente nel suo viaggio nell’aldilà.

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Ma il problema dello Holt Cemetery è che lo spazio non è mai abbastanza: quando una tomba è in stato di abbandono, i guardiani possono decidere di riutilizzarla. Non esiste un piano regolatore, non esistono posti assegnati, né un vero e proprio registro. I nuovi morti sono sepolti sopra a quelli vecchi, dei quali non rimane traccia alcuna. Così, per evitare che si salti a conclusioni affrettate, alcune famiglie continuano a lasciare nuovi oggetti, o a sistemare corone di fiori, a erigere recinti o semplicemente a modificare l’aspetto della lapide per segnalare che quel loculo è ancora “in uso”. Si racconta ad esempio di una tomba accanto alla quale qualche anno fa era stata posizionata una sedia di latta, e sulla sedia stava aperto un libro che cambiava ogni settimana.

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I sepolcri più appariscenti, nel cimitero di Holt, sono quelli della famiglia Smith. Arthur Smith, infatti, è un artista locale che ha partecipato a diverse mostre di outsider art: ancora oggi lo si può vedere spingere il suo carrello per le discariche della città, alla ricerca di quei tesori con cui fabbricherà la sua arte povera. È proprio lui che mantiene in continua evoluzione le istallazioni che ha costruito attorno alle tombe di sua madre e di sua zia. (Potete trovare altre foto della sua produzione artistica qui).

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Nonostante i recinti e le cure dei familiari, come dicevamo all’inizio, il grande problema di New Orleans è sempre stata l’acqua, e non solo quella violenta e brutale degli uragani: basta una piena del Mississippi per causare gravi fenomeni alluvionali. Un po’ di pioggia, perché cada anche l’ultimo tabù. Ecco allora che nel piccolo cimitero di Holt i morti tornano a galla. Dalla terra umida affiorano parti di teschi, ossa che sventolano ancora brandelli di vestiti, piccoli rimasugli sbiancati dal tempo e dalla natura.

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C’è chi, venendo a conoscenza della situazione allo Holt Cemetery, grida allo scandalo, al sacrilegio e allo svilimento della dignità umana; ed è ironico, e in un certo senso poetico, il fatto che un simile cimitero sorga proprio a ridosso di un quartiere particolarmente benestante della città.

Questo strano luogo in cui i morti non hanno lapide, né una sepoltura sicura, sembra simboleggiare lo scorrere delle cose del mondo più che un cimitero opulento, circondato da alte pareti di marmo, in cui si entra come in un austero santuario in cui il tempo si sia fermato. Holt è il cimitero dei poveri, è tenuto vivo dai poveri. Qui non ci si può permettere nemmeno l’illusione dell’eterno, e la memoria esiste solo finché vi è ancora qualcuno che ricordi.

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(Grazie, Marco!)

Nel Regno dell’Irreale

Henry Darger era la classica persona che passa inosservata. Abiti sciatti ma puliti, un umile lavoro come custode dell’ospedale locale, la messa ogni giorno, un lavoro di volontariato a favore dei bambini che avevano subito abusi o erano stati trascurati, una fissazione per la storia della Guerra Civile Americana. Aveva avuto un’infanzia piuttosto difficile, subendo anche un internamento in manicomio (e all’inizio del ‘900, non era uno scherzo: significava lavori forzati e severe punizioni); eppure di tutte quelle sofferenze Henry sembrava non portare alcun segno, anzi spesso ricordava di aver avuto anche momenti felici. Un solitario, ma di buon cuore. Un uomo qualsiasi, nella grande città ventosa di Chicago. Anche la sua morte avvenne senza clamore, una mattina d’aprile del 1973.

Eppure Henry nascondeva un segreto.

Qualche giorno dopo la sua morte, frugando nella sua stanza per liberarla, i padroni di casa trovarono il progetto nascosto di Henry Darger, l’opera di una vita.

Il romanzo fantasy The story of the Vivian Girls, reintitolato recentemente The Realms of Unreal, scritto da Darger durante un periodo di oltre 60 anni, è un’opera straordinaria per dimensioni: più di 15.145 pagine di racconto, fittissime, e alcuni volumi rilegati contenenti diverse centinaia di illustrazioni, papiri colorati ad acquerello, ritagli di giornale e di libri da colorare. Oltre a questo, Darger scrisse anche un’autobiografia di 5.084 pagine, e un secondo lavoro di fiction, Crazy House, di più di 10.000 pagine.

Durante tutti quegli anni di vita da recluso, Darger aveva accumulato un archivio immenso di ritagli di giornale, pubblicità, pagine di libri per bambini. Su quella base, ricopiando i suoi ritagli, aveva illustrato le avventure delle Vivian Girls, le protagoniste del suo romanzo. In The Realms of Unreal, le ragazze Vivian sono sette principesse (cattoliche) di un mondo immaginario in cui i Glandeliniani (atei convinti) sfruttano i bambini e ne abusano costantemente. Dopo che viene messo in atto il più scioccante omicidio infantile mai causato dal Governo Glandeliniano, i bambini si sollevano e si scatena una guerra senza confine, il vero fulcro del romanzo, che si sviluppa fra fughe rocambolesche, epiche battaglie e crudeli scene di tortura.

Si è molto discusso su quello “scioccante omicidio infantile“. Darger, infatti, era rimasto particolarmente colpito dall’assassinio di una bambina, Elsie Paroubek, strangolata da uno sconosciuto nel 1911: aveva ritagliato la foto della piccola vittima da un giornale e l’aveva conservata come una reliquia. Quando un giorno l’immagine andò perduta, egli si convinse che la foto fosse stata rubata da qualche malintenzionato introdottosi in casa sua. Dopo aver elaborato preghiere e novene rivolte a Dio affinché gli fosse concesso di recuperare la fotografia, Darger decise che quell’affronto andava risolto in altro modo: nel suo romanzo in corso d’opera, che diventava ogni giorno di più una sorta di universo parallelo nel quale Henry risolveva i suoi conflitti interiori, fece scoppiare la guerra fra le Vivian girls e i Glandeliniani proprio a causa dell’omicidio di una piccola schiava ribelle. In virtù di questa ossessione di Darger per la piccola Elsie Paroubek, trasfigurata in eroina nel suo romanzo, il biografo MacGregor avanza l’ipotesi che l’assassino della bambina (mai identificato) fosse proprio lo stesso Darger.

Le prove che Henry Darger potesse realmente essere un pedofilo o un assassino non sono mai affiorate. Certo è che gran parte delle illustrazioni di Realms of Unreal mostrano ragazzine nude, spesso torturate e uccise dai Glandeliniani con un’attenzione e una cura dei particolari che ricordano i disegni realizzati dai più famosi serial killer. A intorbidire ancora più le acque, nella maggioranza dei dipinti le piccole bambine nude sfoggiano genitali maschili. È molto probabile che, come notano i maggiori esegeti dell’opera di Darger, il vecchio recluso non avesse un’idea chiara dell’anatomia femminile, essendo rimasto molto probabilmente illibato fino alla fine dei suoi giorni.

È innegabile che i suoi dipinti abbiano una forza strana e inquietante: sia che le sorelle Vivian siano in pericolo, sia che giochino innocentemente su un prato, una sottile vena di voyeurismo naif e infantile pervade ogni dettaglio, e nonostante i colori sgargianti e appariscenti il mondo di Darger è sempre impregnato di una tensione erotico-sadica piuttosto morbosa.

In una catarsi psicanalitica durata sessant’anni, Darger disegnò centinaia e centinaia di fogli, anche di grandi dimensioni, illustrando le varie fasi dell’avventura bellica delle sue eroine. Il romanzo ha addirittura due finali, uno in cui le sorelle Vivian escono vittoriose dalla guerra, e uno in cui soccombono alle forze degli atei adulti Glandeliniani.

Queste sue fantasie private, che nelle intenzioni originali non avevano forse alcuna pretesa d’arte, ma semplicemente di riscatto ed evasione da una vita troppo solitaria, sono oggi riconosciute come uno dei maggiori esempi di outsider art (arte degli emarginati). Le sue illustrazioni vengono esposte nelle maggiori gallerie, e vendute all’asta a prezzi elevatissimi. Documentari e saggi vengono prodotti sulla sua arte. L’American Folk Art Museum sta cercando di trasformare in museo il piccolo, povero appartamento nel quale Henry Darger, chino sui suoi fogli, privo di amici e lontano da tutti, fuggiva nello sconfinato e sublime mondo partorito dalla sua fantasia.

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