Il bruno di mummia era un colore marrone ambrato tendente all’ocra, che ricordava per l’appunto la pelle o i bendaggi delle mummie egiziane: pigmento ricco e bituminoso, prodotto fin dal XV e XVI secolo, era tra i colori preferiti della Confraternita dei Preraffaelliti, la corrente pittorica ottocentesca simbolista e decadente.
Il colore non era scevro da qualche difetto. La sua composizione e qualità variava considerevolmente di partita in partita ed inoltre, poiché era piuttosto grasso, poteva intaccare i colori circostanti. Nonostante questi piccoli inconvenienti, la fortuna del bruno di mummia però sembrava destinata a proseguire a lungo.
Finché proprio alcuni pittori preraffaelliti non si accorsero con orrore di come il pigmento veniva preparato.
Il nome “bruno di mummia” nascondeva molto più che un’allusione all’Egitto antico: l’ingrediente di base del colore erano proprio delle autentiche mummie, umane e feline, fatte a pezzi e macinate diligentemente dai produttori di tinture; la polvere veniva poi unita a pece bianca (una resina d’abete utilizzata nella preparazione di vernici) e mirra. Nonostante l’alto prezzo della “materia prima”, che andava disseppellita dai profanatori di tombe e importata in Europa, l’affare era vantaggioso: un produttore londinese dichiarò di poter soddisfare le richieste dei suoi clienti per ben vent’anni a partire da una singola mummia.
Il commercio delle mummie dall’Egitto – per scopi medicinali, magici o altro – era florido da secoli; ma scoprire di aver dipinto per anni, a loro insaputa, con un “estratto” di antichi cadaveri disgustò e sconvolse, comprensibilmente, le anime sensibili dei pittori ottocenteschi. Quando nel 1881 Lawrence Alma-Tadema (famoso per le sue scene romantiche e decadenti ambientate a Pompei e, guarda caso, nell’antico Egitto) vide il suo preparatore di vernici macinare davanti ai suoi occhi un pezzo di mummia, allertò di corsa il suo collega, Edward Burne-Jones. I due, presi dal rimorso, organizzarono assieme ad alcuni membri delle loro famiglie un simbolico funerale, durante il quale diedero finalmente degna sepoltura… a un tubetto di bruno di mummia.
Nella prima metà del XX secolo la scorta di mummie comunque venne ad esaurirsi, così si cercò di sostituire l’ingrediente segreto con qualcosa di più economico – e soprattutto, meno controverso. Oggi il colore esiste ancora, ma la caratteristica tonalità ambrata gli viene donata dall’ematite. Nel 1964 Time Magazine riportava le parole, nostalgiche e rassegnate, di Geoffrey Roberson-Park, direttore dell’antica ditta di colori Roberson di Londra: “Può essere che abbiamo ancora qualche arto, magari spaiato, che giace da qualche parte. Ma non è abbastanza per produrre ancora del colore. L’ultima nostra mummia intera, l’abbiamo venduta…”
(Scoperto via The Oddment Emporium.)