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Hananuma Masakichi
Non molti conoscono lo scultore giapponese Hananuma Masakichi, nato nel 1832, e la sua triste e straordinaria storia. Quasi un secolo prima che nell’ambito dell’arte si incominciasse a parlare di iperrealismo, Masakichi riuscì a stupire il mondo intero con una scultura praticamente indistinguibile dalla realtà.
A quanto si racconta, la statua in questione avrebbe avuto una genesi del tutto particolare. Quando Hananuma Masakichi aveva circa cinquant’anni, si ammalò di tubercolosi: era convinto di avere ancora poco tempo da vivere. Eppure Masakichi era innamorato di una donna, e quando si ama si trova anche nei momenti più disperati la forza di reagire. Così l’artista decise che avrebbe tenuto duro, sacrificando ogni attimo che gli restava, per lasciare alla propria amata un ricordo di sé che le tenesse compagnia dopo la sua morte. Quello sarebbe stato il suo ultimo, grandioso progetto: creare un’esatta copia di se stesso, a grandezza naturale e perfetta in ogni minimo dettaglio, che potesse durare per sempre. In quel modo, non sarebbe mai veramente scomparso dalla vita e dal cuore della donna dei suoi sogni.
Masakichi cominciò a lavorare alla scultura mediante specchi girevoli, in modo da poter osservare e studiare ogni parte del proprio corpo, e replicarla con il legno. La pazienza e il sacrificio necessari per raggiungere il suo scopo lasciano sbigottiti, soprattutto se pensiamo che la statua non venne scolpita a partire da un blocco unico: l’artista incise ogni muscolo, ogni vena, ogni minima protuberanza del suo fisico servendosi di minuscoli pezzi di legno separati, striscioline che poi assemblava con incastri a coda di rondine e colla. Non usò nemmeno un chiodo metallico, ma soltanto piccoli agganci e pioli di legno per collegare l’enorme quantità di ritagli che compongono la statua, cava al suo interno. Si calcola che il numero di pezzetti utilizzati stia tra le 2.000 e le 5.000 unità. Eppure i vari dettagli sono incastrati ed uniti con una tale perfezione che perfino esaminando la superficie della statua con una lente d’ingrandimento si fatica a riconoscere la linea di “saldatura” fra un segmento e l’altro. Ogni ruga, ogni tendine, ogni increspatura della pelle venne replicata ossessivamente da Masakichi. Ma non finisce qui.
Dopo aver dipinto e laccato la statua in modo da replicare il colore e il tono della sua pelle, Masakichi si spinse ancora oltre. Desiderava infondere maggior vita alla statua, renderla a tutti gli effetti una parte di sé. Così cominciò a praticare dei piccolissimi fori per replicare la porosità della pelle, e ad incollarvi i propri peli e capelli. Li trasferiva, dal suo corpo alla statua, facendo bene attenzione che la posizione rimanesse la medesima: i capelli sulla tempia destra della statua provenivano dalla tempia destra dell’artista, e così via. Masakichi proseguì, donando alla sua opera capelli, ciglia, sopracciglia, fino alla peluria delle parti intime.
Certo, poi la leggenda pretenderebbe che, non ancora soddisfatto, nell’ormai ossessivo intento di consacrare alla statua (e alla donna che amava) il rimasuglio di vita che gli restava, Masakichi si fosse strappato le unghie da mani e piedi per applicarle alle dita della statua (c’è chi afferma che addirittura i pochi denti visibili fra le labbra socchiuse della statua sarebbero quelli dell’artista). Ma non c’è bisogno di arrivare a questi fantasiosi estremi per rimanere stupefatti dall’incredibile perfezionismo di Masakichi.
Finalmente, nel 1885, la sua opera fu compiuta. Come ultimo tocco, l’artista sistemò i propri occhiali sul naso del suo doppio, e gli mise uno scalpello nella mano destra. Nella sinistra invece, con perfetto senso della vertigine simbolica, Masakichi pose una maschera, che gli occhi della statua sembrano contemplare fissamente. Un doppelgänger che si specchia nella sua stessa ambigua identità.
La somiglianza era davvero strabiliante: secondo i racconti dell’epoca, quando Masakichi si metteva in posa di fianco alla sua statua, la gente faticava a comprendere immediatamente quale fosse l'”originale” e quale la “copia”. Nella fotografia qui sotto, ad esempio, la statua è quella a sinistra.
La storia, così come ci viene tramandata, ha un triste epilogo. La donna tanto agognata, per amore della quale la titanica impresa era stata portata a termine, nonostante tutto rifiutò Hananuma. L’artista non morì di tubercolosi, ma visse ancora una decina d’anni, fino a terminare i suoi giorni in povertà nel 1895 (pare a causa di una diagnosi sbagliata).
Fu Robert Ripley, il disegnatore-avventuriero di cui abbiamo parlato in questo articolo, che all’inizio della sua carriera di collezionista dell’insolito, negli anni ’30, acquistò per dieci dollari la statua di Masakichi esposta in un saloon di Chinatown a San Francisco. L’autoritratto dell’artista giapponese rimase sempre uno dei suoi pezzi favoriti fra le migliaia che accumulò negli anni, e la esibì più volte nei suoi vari musei attraverso il mondo, e anche in casa propria.
La statua è sopravvissuta a ben due terremoti, quello di San Francisco nel 1989 (era posizionata su una piattaforma rotante, venne sbalzata via e ci vollero quattro mesi per restaurarla) e quello di Northridge del 1994. Oggi non viene esposta se non in occasioni eccezionali: nonostante i danni subiti siano evidenti, la scultura di Hananuma Masakichi sorprende ancora oggi per realismo e perfezione del dettaglio, e si può soltanto immaginare quale effetto potesse avere sul pubblico di fine ‘800. Una replica della statua (una “copia della copia” del corpo di Hananuma…) è visibile nel London Ripley’s Odditorium a Piccadilly Circus.
Progetto MKULTRA
Gli Americani saranno anche dei paranoici cospirazionisti, sempre pronti a vedere intrighi e misteriosi “progetti” dei servizi segreti ovunque; ma bisogna ammettere che questa loro paura non nasce dal nulla. Di cospirazioni e di strane operazioni occulte ne hanno viste e vissute parecchie.
Anni ’50, inizio della Guerra Fredda. Stati Uniti e Russia cominciano a cercare freneticamente nuove armi per essere sempre un passo più avanti del loro avversario. E, in aggiunta alle ricerche batteriologiche e al perfezionamento delle armi atomiche, la CIA decide che ci sono i presupposti per iniziare un’operazione un po’ differente, sperimentale, e soprattutto illegale.
Sotto il nome in codice MKULTRA, il nuovo programma di ricerca segreto si propone di studiare e scoprire dei metodi per controllare la mente delle persone. Vi ricordate il nostro articolo su José Delgado? Ecco, la CIA vuole fare un ulteriore passo innanzi. D’altronde, pochi anni prima, aveva utilizzato l’Operazione Paperclip per reclutare i “migliori” scienziati e criminali di guerra nazisti, comprando le conoscenze acquisite durante gli esperimenti umani nei campi di sterminio, in cambio dell’immunità dai processi. Alcuni di questi scienziati avevano studiato tecniche di lavaggio del cervello, interrogatorio e tortura.
L’intento della CIA è quello di capire se esiste la possibilità di indurre, ad esempio, una persona all’assassinio programmato; se c’è un metodo scientifico per attuare il lavaggio del cervello o estorcere informazioni durante un interrogatorio; se si può alterare la percezione degli eventi nei testimoni, e via dicendo. Va da sé che per raggiungere questi risultati occorrono cavie umane. Così, se molti dei soggetti studiati dal progetto MKULTRA sono consenzienti, i ricercatori comprendono subito che per ottenere delle analisi precise e delle prove inconfutabili serviranno anche soggetti ignari… cavie che non sappiano di star prendendo parte all’esperimento. Anche in questo risiede l’illegalità dell’operazione, coperta quindi dal massimo segreto. E, sempre in massimo segreto, vengono investiti milioni e milioni di dollari in un progetto che a posteriori si può tranquillamente definire aberrante e criminale.
La maggior parte degli esperimenti relativi a MKULTRA hanno a che fare con le droghe. Si ricercano sostanze che alterino la mente in tutti i modi possibili: dalle sostanze più innocue che favoriscano la concentrazione, o che si dimostrino efficaci come rimedio per il dopo-sbronza… fino ai metodi chimici per creare confusione, depressione, paranoia e shock prolungati in un soggetto, per inibire le menzogne, per creare uno stato di ipnosi, per indurre lo svenimento istantaneo o la paralisi degli arti. Insomma, droghe “positive” che possono potenziare le truppe americane; e droghe “negative”, destinate a controllare e alterare la forza mentale del prigioniero o del nemico.
Gli esperimenti di MKULTRA meglio conosciuti sono quelli legati alla sperimentazione dell’LSD. Sintetizzata per la prima volta nel 1938 da Albert Hoffman, la dietilamide-25 dell’acido lisergico (LSD) era ancora sconosciuta al grande pubblico. Gli agenti di MKULTRA decisero di comprendere i suoi effetti su una serie di cavie ignare, e nella famigerata Operazione Midnight Climax misero a punto questo sistema: dopo aver installato dei finti specchi in alcuni bordelli di San Francisco, con la complicità delle prostitute facevano in modo che al cliente venisse servito un drink in cui era stata disciolta una potente dose di acido. La “sessione” veniva quindi filmata da dietro lo specchio.
A poco a poco gli effetti della droga si manifestavano, e i clienti cominciavano ad essere preda di violente e incontrollabili allucinazioni; come si sa, l’LSD è fra le sostanze psicoattive sintetiche più potenti, con effetti che ad alti dosaggi possono spingersi ben oltre le 12 ore. I poveri clienti, arrivati con la modesta speranza di una seratina piccante, si ritrovavano di colpo scaraventati nel baratro della follia, in quella che aveva tutta l’aria di essere una crisi psicotica. Non capivano, non potevano capire perché di colpo vedessero le dimensioni della stanza alterarsi, il tempo distorcersi e la carta da parati pulsare come fosse viva. Si convincevano di essere impazziti di colpo, e il terrore si impadroniva di loro. Una volta esauriti gli effetti della droga, gli agenti si palesavano e intimavano alla vittima, ancora sotto shock, di non rivelare nulla di quanto era successo. Se avessero raccontato la loro storia, si sarebbe anche saputo che frequentavano il bordello… Alcuni dei soggetti non si ripresero più, e finirono ospedalizzati, e molti ritengono che diversi suicidi siano imputabili a questi esperimenti senza scrupoli.
Oltre alla somministrazione di droghe, il progetto sondò anche le diverse possibilità offerte dalla deprivazione sensoriale, dall’ipnosi, dalla privazione del sonno e dagli abusi verbali e fisici. Che tipo di osservazioni scientifiche si potevano trarre da simili esperimenti? Che valore aveva questa ricerca? Quando la CIA ammise pubblicamente, fra il 1975 e il 1977, l’esistenza del progetto MKULTRA e offrì le sue scuse, confessò anche che tutte queste ricerche non avevano portato ad alcun risultato concreto. Gli agenti a capo degli esperimenti, si scoprì, non avevano nemmeno le qualifiche necessarie per essere degli osservatori scientificamente attendibili. Quindi la massiccia operazione, dal costo stimato di più di 10 milioni di dollari, e che aveva coinvolto numerose multinazionali farmaceutiche e distrutto la vita a molti civili divenuti cavie, non era servita a nulla.
Nonostante la declassificazione di molti documenti, iniziata nel 1977, e le ammissioni della CIA, c’è chi è pronto a giurare che la “confessione” sia un ulteriore depistaggio, e che il progetto MKULTRA non sia mai stato chiuso: continuerebbe ancora, sotto diverso nome, per mettere a punto metodi sempre più perfezionati di controllo della mente.
Ma la cosa forse più curiosa è un effetto boomerang che la CIA non poteva prevedere, e che cambiò la storia. Come ricordato, non tutti i soggetti degli esperimenti di MKULTRA erano vittime ignare. Fra i volontari che si sottoposero ad alcuni test con l’LSD in California, c’era anche un giovane studente della Stanford University. Questo ragazzo, sconvolto dal potenziale della droga, decise che avrebbe cercato di promuovere l’LSD anche al di fuori di MKULTRA. Lo studente era Ken Kesey, autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo, che di lì a poco avrebbe fondato i Merry Pranksters e girato gli Stati Uniti portando follia e buonumore su un furgoncino multicolore, dispensando dosi gratuite di LSD a chiunque volesse provare. Grazie a Kesey cominciò la rivoluzione degli anni ’60, la pacifica ribellione hippie, e la cosiddetta psichedelia che cambiò volto alla società, alla musica, alla politica e alla cultura.
Da un terribile progetto segreto militare per il controllo della mente, quindi, nacque paradossalmente un movimento che in pochi anni conquistò il mondo; milioni di ragazzi cominciarono a predicare la liberazione della mente, l’espansione e l’allargamento della coscienza, l’uguaglianza dei diritti, il sesso libero, la convivenza pacifica e l’affrancamento da qualsiasi organizzazione militare o politica. Non esattamente quello che i vertici della CIA, con tutte le loro sofisticate conoscenze, avevano sperato di ottenere.