Ecco che, come ogni anno, è finalmente arrivato San Valentino (ritratto nella foto sopra). Il giorno degli innamorati, dei regalini, delle dichiarazioni, degli anelli, dei bigliettini e dei cioccolatini! Se non siete degli inguaribili cinici, e non soffrite di iperglicemia, potrebbe essere una bella festa.
Per tutti coloro che invece si sentono alieni a questo tipo di ricorrenze “comandate”, in cui sembra tassativo dare risalto ai buoni sentimenti, al pensiero positivo, e a una versione piuttosto consumistica e superficiale della vita e degli affetti, basti ricordare che fino a meno di un secolo fa esisteva un antidoto alle sdolcinature di San Valentino. Mentre tutti mandavano biglietti d’amore, voi avreste potuto inviare un biglietto d’odio.
Si tratta dei cosiddetti Vinegar Valantines (“biglietti di San Valentino all’aceto”), prodotti industrialmente dalla prima metà dell’Ottocento fino a metà del Novecento. I vinegar valentines erano il modo più crudele e scorretto di rifiutare un’avance sentimentale, ma non solo.
Questi biglietti erano delle vere e proprie lettere anonime prestampate, studiate appositamente per sbeffeggiare o accusare il destinatario dei più comuni comportamenti ritenuti molesti. C’erano biglietti per persone grasse, per ubriaconi, per vecchi che si credevano latin lover, per ragazze vanitose, per coppiette che osavano (“con disgutoso cattivo gusto”) baciarsi per strada, e via dicendo.
Alcune cartoline ci andavano giù veramente pesante, per i nostri standard odierni, addirittura arrivando a suggerire al destinatario di suicidarsi. Un biglietto degli anni ’50, indirizzato ai fissati della radio, recitava: “Tieni accesa quella cosa a volume così dannatamente alto che dovresti essere in catene! Spero che tu faccia esplodere le valvole, e poi… che ti faccia esplodere il cervello!”. Un altro lanciava in tono di sfida: “Dici di essere bravo a fare qualsiasi cosa! Quindi, avanti, mostrami le prove e fammi vedere quanto sei bravo a saltare giù dal tetto!”.
Altri biglietti entravano nel vivo della relazione tra moglie e marito, prendendosi gioco di uno dei due coniugi. C’erano messaggi destinati a quei mariti accusati di essere delle “donnicciole” perché accudivano i figli o davano una mano nelle faccende domestiche (speriamo che sotto questo aspetto i tempi siano cambiati!); altri facevano aleggiare sulla coppia sospetti di possibili “corna” perché la moglie faceva troppo la civetta, o il marito troppo il cascamorto.
I tipi di vinegar valantines erano pressoché infiniti: costavano poco, ed erano perfetti da spedire al professore rompiscatole, al boss in ufficio, ai vicini insopportabili, a chiunque tenesse un comportamento sconveniente. Al quadro d’insieme bisogna aggiungere inoltre questo dettaglio: nell’800, fino all’invenzione del francobollo, era chi riceveva una missiva che ne pagava il costo intero – quindi, oltre al danno, la beffa. In un certo senso, questi biglietti agivano come rinforzo delle norme sociali, bacchettando chi non era “conforme”, anche se talvolta i messaggi si velavano di un leggero tono di minaccia. Forse il loro vero ruolo era quello di valvola di sfogo: perfino la nostra cattiveria deve trovare un modo di venire incanalata.
Teniamo però sempre a mente che a cambiare, con il passare del tempo, è anche il senso dell’umorismo; e talvolta rischiamo di prendere troppo sul serio qualcosa che la gente dell’epoca avrebbe riconosciuto subito come un semplice scherzo.
P.S.: una volta ricevuto uno di questi biglietti “all’aceto”, era molto improbabile che il destinatario lo conservasse amorevolmente: la maggior parte delle cartoline finiva in pezzi, nel cestino. Questo significa che oggi i vinegar valantines ottocenteschi sono divenuti rarissimi oggetti da collezione.
(Scoperto via Collectors Weekly)