La strage degli albini

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Quest’anno in Tanzania si terranno le elezioni.
Di conseguenza, quest’anno si innalzerà il numero di bambini albini che verranno uccisi e fatti a pezzi.

Il nesso fra i due eventi è costituito dalla stregoneria africana, che permea la società tanzaniana a quasi tutti i livelli, e a cui molti dei candidati faranno ricorso per vincere ai seggi elettorali. Infatti nonostante ogni villaggio in Tanzania possa vantare una chiesa, una moschea o entrambe, questo non significa che gli abitanti abbiano abbandonato le credenze tradizionali.

Di fatto, risulta evidente che, per quanto formalmente vi sia una presa di distanza nei confronti della stregoneria, nella pratica essa sia a tutt’oggi fortemente radicata nel pensiero tanzaniano.
Sussiste l’idea che l’insuccesso, la malattia e la morte possano dipendere da azioni malefiche, e questo ha permesso al guaritore tradizionale, il mganga wa kienyeji, di sopravvivere ed operare ancora intensamente, nonostante la presenza di una legislazione coloniale ancora attiva che dovrebbe condannare la sua attività, e un Sistema Sanitario pensato per raggiungere in maniera capillare anche le zone rurali.
(A. Baldassarre, Gravidanza e parto nell’ospedale di Tosamaganga, Tanzania, 2013)

Africa, Tanzania, Lake Eyasi, ornamental skulls and beads used by the local witch doctor

Al di là dei giudizi facili e riduttivi sulla superstizione, l’ignoranza o l’arretratezza del cosiddetto Terzo Mondo, è importante comprendere che se la stregoneria è ancora così viva, è perché assolve a una funzione sociale ben precisa: quella del controllo delle pulsioni e dell’istituzione di un codice di condotta reputato appropriato – quindi, essenzialmente, è uno di quegli elementi che cementano e tengono assieme l’identità della società.

Con i discorsi di stregoneria e le azioni pratiche dirette contro la stregoneria, la società mantiene viva la capacità di osservarsi preoccupata.
(A. Bellagamba, L’Africa e la stregoneria: Saggio di antropologia storica, 2008).

In Tanzania, la magia (sia benevola che malevola) è praticata ma allo stesso tempo temuta e condannata. Questo stigma dà origine ad una complessa serie di conseguenze. Un uomo che si arrichisce troppo in fretta, ad esempio, viene sospettato di essere uno stregone; quindi in generale le persone cercano di nascondere, o perlomeno condividere con il gruppo, la propria fortuna – appunto per non essere accusati di stregoneria, ma anche per evitare di provocare l’invidia altrui, che porterebbe a nuovi sortilegi e malefici. Evidentemente questo meccanismo diventa problematico quando ad esempio una donna incinta si sente costretta a nascondere la gravidanza per non suscitare le gelosie delle amiche, oppure nel caso più eclatante delle violenze di cui parliamo qui: la strage degli albini che ormai da decenni si consuma, purtroppo senza grande clamore mediatico.

Worshippers carry oil lanterns during a night time procession through the streets of Benin's main city of Cotonou,

Il 2015 è partito male: a febbraio Yohana Bahati, un neonato albino di un anno del distretto di Chato nella Tanzania settentrionale, è stato strappato dalle braccia della madre da cinque uomini armati di machete. La donna è finita in ospedale con multiple ferite alle braccia e al volto per aver cercato di difendere il figlioletto; il cadavere del bambino è stato ritrovato pochi giorni più tardi, senza braccia e né gambe. Nel dicembre precedente era sparita una bambina albina di 4 anni, che non è stata più ritrovata.

L’albinismo è diffuso nell’Africa sub-sahariana più che altrove: se in Occidente colpisce una persona su 20.000, in Tanzania l’anomalia genetica arriva a toccare la percentuale di un individuo su 1.400.
Sono quasi un centinaio gli albini assassinati negli ultimi quindici anni, ma le cifre ovviamente si riferiscono soltanto ai casi scoperti e denunciati. E soprattutto non tengono conto di tutte le vittime che sono sopravvissute alle mutilazioni.
Il macabro listino dei prezzi di questa caccia all’albino fa rabbrividire. Secondo un report delle Nazioni Unite, in Tanzania le diverse parti del corpo (orecchie, lingua, naso, genitali e arti) da utilizzare nei rituali di stregoneria possono arrivare a valere 75.000 euro; la pelle sul mercato nero è venduta dai 1.500 ai 7.000 euro. L’anno scorso in Kenya è stato arrestato un uomo che cercava di vendere un albino ancora vivo, per la somma di 250.000 dollari. Secondo le credenze, i poteri magici degli albini sono molteplici: le loro ossa sono in grado di togliere il malocchio; con un loro braccio si può localizzare l’oro in una miniera; con i seni e i genitali si preparano pozioni contro l’infecondità; ultimamente pare si sia diffusa addirittura l’idea che stuprare una donna albina potrebbe curare l’AIDS… e via dicendo.

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Emmanuel Festo

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Nel 2009, un attivista ha dichiarato all’agenzia AFP: “Sappiamo che gli informatori che identificano un albino vulnerabile possono ricevere un compenso di 100 dollari, sappiamo che gli assassini vengono pagati migliaia di dollari, ma non è chiaro chi siano i reali consumatori; stiamo parlando di un grosso business, e c’è corruzione nella polizia e nei tribunali, ecco perché le uccisioni continuano“.

Nonostante la situazione sia tutt’altro che rosea, di fronte alle pressioni internazionali forse qualcosa si sta muovendo: proprio il mese scorso, trentadue stregoni e più di duecento guaritori tradizionali, secondo la BBC, sono stati arrestati dalla polizia tanzaniana – segnando forse un’inversione di marcia rispetto alla precedente riluttanza delle autorità ad intervenire sulla questione. Intanto, diverse iniziative sono sorte per cercare di dare una voce a questo eccidio, come ad esempio l’audiolibro sociale italiano Ombra Bianca (fra i testimonial, anche diversi premi Nobel, Papa Francesco, il Dalai Lama). Il film White Shadow (2013), opera prima di Noaz Deshe premiata a Venezia con il Leone del Futuro, racconta la vita difficile di un ragazzino albino in Tanzania, fra discriminazioni e violenze.

Kapala

I kapala (in sanscrito, “teschio”) sono coppe rituali caratteristiche del tantrismo di matrice induista o buddista, utilizzate in diversi rituali sacri, e ricavate normalmente dalla calotta cranica di un teschio umano.

Tipiche del tantrismo tibetano, quello più specificatamente magico e sciamanico, queste coppe sono spesso scolpite in bassorilievo con figure sacre (soprattutto Kali la dea dell’eterna energia, Shiva il distruttore e creatore, principio primo di tutte le cose, e Ganesha colui che rimuove gli ostacoli), e talvolta montate con elaborati orpelli e abbellimenti in metallo e pietre preziose.

Gli utilizzi rituali di queste coppe sono molteplici: vengono impiegate nei monasteri tibetani come piatti di offerta di libagioni per gli dèi – pane o dolci a forma di occhi, lingue, orecchie – come oggetti di meditazione, o per iniziazioni esoteriche che prevedono che dai kapala si beva sangue o vino. A seconda di cosa contengono, le coppe vengono chiamate con differenti appellativi.

Gli dèi tantrici vengono talvolta rappresentati mentre reggono dei kapala nelle mani, o bevono il sangue da simili coppe. Esistono kapala ricavati da teschi di scimmie o di capre, che come quelli umani debbono essere consacrati prima che si possano utilizzare per scopi religiosi.

L’antica tradizione dei kapala è vista spesso come un retaggio di antichi sacrifici umani. Quello che ne resta al giorno d’oggi è una strana, macabra ma affascinante forma d’arte e di scultura, una sorta di memento mori ritualizzato, che dona a questi oggetti un alone di mistero e ci riconnette al senso più vero e ineluttabile del sacro.