Veneri anatomiche: l’ossessione del femmineo

C’è un’ossessione profonda, che attraversa i secoli e non accenna a placarsi. L’ossessione maschile per il corpo della donna.

Un corpo magnetico che conduce a sé (seduce), tirando i fili del simbolo; carne duttile e plasmabile, che nell’atto sessuale ha funzione ricettiva, eppure voragine abissale nella quale ci si può perdere; corpo castrante, che eccita la violenza e l’idolatria, corpo di dea callipigia da deflorare; scrigno che racchiude il segreto della vita, sessualità ambigua il cui piacere è sconosciuto e terribile.

Così è capitato che nel corpo femminile si sia scavato, per cavarne fuori questo suo mistero, aprendolo, smembrandolo in pezzi da ricombinare, cercando le occulte e segrete analogie, le geometrie nascoste, l’algebra del desiderio, come ha fatto ad esempio Hans Bellmer in tutta la sua carriera. Nei suoi scritti e nelle sue opere pittoriche (oltre che nelle sue bambole, di cui avevo parlato qui) l’artista tedesco ha maniacalmente decostruito la figura femminile disegnando paralleli inaspettati e perturbanti fra le varie parti anatomiche, in una sorta di febbrile feticismo onnicomprensivo, in cui occhi, vulve, piedi, orecchie si fondono assieme fluidamente, fino a creare inedite configurazioni di carne e di sogno.

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L’erotismo di Bellmer è uno sguardo psicopatologico e assieme lucidissimo, freddo e visionario al tempo stesso; ed è nella sua opera Rose ouverte la nuit (1934), e nelle successive declinazioni del tema, che l’artista dà la più esatta indicazione di quale sia la sua ricerca. Nel dipinto, una ragazza solleva la pelle del suo stesso ventre per esaminare le proprie viscere.

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L’atto di alzare la pelle della donna, come si potrebbe sollevare una gonna, è una delle più potenti raffigurazioni dell’ossessione di cui parliamo. È lo strip-tease finale che lascia la femmina più nuda del nudo, che permette di scrutare all’interno della donna alla ricerca di un segreto che forse, beffardamente, non si troverà mai.
Ma l’immagine non è nuova, anzi vuole riecheggiare lo stesso turbamento che si può provare di fronte alle numerose e meravigliose veneri anatomiche a grandezza naturale scolpite in passato da abili artisti, una tradizione nata a Firenze alla fine del XVII secolo.

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Queste bellissime fanciulle adagiate in pose languide aprono l’interno del loro corpo allo sguardo dello spettatore, senza pudore, senza mostrare dolore. Anzi, dalle espressioni dei loro volti si direbbe quasi che vi sia in loro un sottile compiacimento, un piacere estatico nell’offrirsi in questa nudità assoluta.
Perché questi corpi non sono rappresentati come cadaveri, ma essenzialmente vivi e coscienti?
L’esistenza stessa di simili sculture oggi può disorientare, ma è in realtà una naturale evoluzione delle preoccupazioni artistiche, scientifiche e religiose dei secoli precedenti. Prima di parlare di queste straordinarie opere ceroplastiche, facciamo dunque un rapido excursus che ci permetta di comprenderne appieno il contesto; sottolineo che non mi interesso qui alla storia delle veneri, né esclusivamente alla loro portata scientifica, quanto piuttosto al loro particolarissimo ruolo in riguardo al femmineo.

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Il dominio dello sguardo
Quando Vesalio, con incredibile coraggio (o spavalderia), si fece immortalare sul frontespizio della sua De humani corporis fabrica (1543) nell’atto di dissezionare personalmente un cadavere, stava lanciando un messaggio rivoluzionario: la medicina galenica, indiscussa fino ad allora, era colma di errori perché nessuno si era premurato di aprire un corpo umano e guardarci dentro con i propri occhi. Uomo del Rinascimento, Vesalio era strenuo sostenitore dell’esperienza diretta – in un’epoca, questo è ancora più notevole, in cui la “scienza” come la conosciamo non era ancora nata – e fu il primo a scindere il corpo da tutte le altre preoccupazioni metafisiche. Dopo di lui, il funzionamento del corpo umano non andrà più cercato nell’astrologia, nelle relazioni simbolico-alchemiche o negli elementi, ma in esso stesso.
Da questo momento, la dissezione occuperà per i secoli a venire il centro di ogni ricerca medica. Ed è lo sguardo di Vesalio, uno sguardo di sfida, altero e duro come la pietra, a imporsi come il paradigma dell’osservazione scientifica.

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Il problema morale
Bisogna tenere a mente che nei secoli che stiamo prendendo in esame, l’anatomia non era affatto distaccata dalla visione religiosa, anzi si riteneva che studiare l’uomo – centro assoluto della Natura, immagine e somiglianza del Creatore e culmine della sua opera – significasse avvicinarsi un po’ di più anche a Dio.

Eppure, per quanto si riconoscesse come fondamentale l’esperienza diretta, era difficile liberarsi dall’idea che dissezionare una salma fosse in realtà una sorta di sacrilegio. Questa sensazione scomoda venne aggirata cercando soggetti di studio che avessero in qualche modo perso il loro statuto di “uomini”: criminali, suicidi o poveracci che il mondo non reclamava. Candidati ideali per il tavolo settorio. La violazione che si osava infliggere ai loro corpi era poi ulteriormente giustificata in quanto alle spoglie dissezionate venivano garantite, in cambio del sacrificio, una messa e una sepoltura cristiana che altrimenti non avrebbero avuto. Grazie al loro contributo alla ricerca, avendo scontato per così dire la loro pena, essi tornavano ad essere accettati dalla società.

Lo stesso senso di colpa per l’attività di dissezione spiega il successo delle tavole anatomiche che raffigurano i cosiddetti écorché, gli scorticati. Per raffigurare gli apparati interni, si decise di mostrare soggetti in pose plastiche, vivi e vegeti a dispetto delle apparenze, anzi spesso artefici o complici delle loro stesse dissezioni. Una simile visione era certamente meno fastidiosa e scioccante che vedere le parti anatomiche esposte su un tavolo come carne da macello (cfr. M. Vène, Ecorchés : L’exploration du corps, XVIème-XVIIIème siècle, 2001).

L’uomo, che si è scorticato da solo, osserva l’interno della sua stessa pelle come a carpirne i segreti. Da Valverde, Anatomia del corpo humano (1560).

Dal medesimo volume, dissezione del peritoneo in tre atti. Nella terza figura, il personaggio tiene fra i denti la propria parete addominale per mostrarne il reticolo vascolare.

Dal medesimo volume, dissezione del peritoneo in tre atti. Nella terza figura, il personaggio tiene fra i denti il proprio grembiule omentale per mostrarne il reticolo vascolare.

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Spiegel e Casseri, De humani corporis fabrica libri decem (1627).

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Spiegel e Casseri, Ibid.

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Già nelle stampe degli écorché si nota una differenza fra figure maschili e femminili. Per illustrare il sistema muscolare venivano utilizzati soggetti maschili, mentre le donne esibivano spesso e volentieri gli organi interni, e fin dalle primissime rappresentazioni erano nella quasi totalità dei casi gravide. Il feto visibile all’interno del grembo femminile sottolineava la primaria funzione della donna come generatrice di vita, mentre dall’altro canto gli écorché maschi si presentavano in pose virili che ne esaltavano la prestanza fisica.

Spiegel e Casseri, Ibid.

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Un muscoloso corpo maschile posa per una tavola che in realtà descrive una dissezione del cranio. Dal De dissectione partium corporis humani libri tres di C. Estienne (1545).

Dal medesimo volume, l’anatomia degli intestini è baroccamente inserita all’interno di una corazza da guerriero romano.

Lo svelamento dell’utero, messa in scena simbolica della denudazione. Dal Carpi commentaria cum amplissimis additionibus super Anatomia Mundini (1521).

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La gravida di Pietro Berrettini (1618) si alza snella e graziosa per esibire il suo apparato riproduttivo.

Come si vede nelle stampe qui sotto, già dalla metà del ‘500 i soggetti femminili mostrano una certa sensualità, mentre si abbandonano a pose che in altri contesti risulterebbero indecenti e impudiche. L’artista qui si spinse addirittura a realizzare delle versioni anatomiche di celebri stampe erotiche clandestine, ricopiando le pose dei personaggi ma scorticandoli secondo la tradizione anatomica, “raffreddando” così ironicamente la scena.

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Donna che tiene la placenta di due gemelli. Ispirata a una stampa erotica di Perino Del Vaga. Dal De dissectione partium corporis humani libri tres di C. Estienne (1545).

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Dal medesimo testo, gravida che espone l’apparato riproduttivo. Il contesto di camera da letto dona alla posa una connotazione marcatamente erotica.

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Altra illustrazione ispirata a una stampa erotica di Perino del Vaga (vedi sotto).

Ecco il modello “proibito” per la stampa anatomica precedente. (G.G. Caraglio, Giove e Antiope, da Perino del Vaga)

Non bisogna dimenticare infatti che un altro sottotesto — decisamente più misogino — di alcune stampe anatomiche femminili, è quello che intende smentire, sfatare il fascino della donna. Tutta la sua carica erotica, tutta la sua bellezza tentatrice viene disinnescata tramite l’esposizione delle interiora.
Difficile non pensare a Memento di Tarchetti:

Quando bacio il tuo labbro profumato,
cara fanciulla, non posso obbliare
che un bianco teschio vi è sotto celato.

Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso,
obbliar non poss’io, cara fanciulla,
che vi è sotto uno scheletro nascosto.

E nell’orrenda visïone assorto,
dovunque o tocchi, o baci, o la man posi,
sento sporgere le fredda ossa di morto.

(Disjecta, 1879)

Se dobbiamo credere a Baudrillard (Della seduzione, 1979), l’uomo ha sempre avuto il controllo sul potere concreto, mentre la femmina si è appropriata nel tempo del potere sull’immaginario. E il secondo è infinitamente più importante del primo: ecco spiegata l’origine dell’ossessione maschile, quel senso di impotenza di fronte alla forza del simbolo detenuto dalla donna. Pur con tutte le sue violente guerre e le sue conquiste virili, egli ne è sedotto e soggiogato senza scampo.
Ricorre dunque all’estrema soluzione: frustrato da un mistero che non riesce a svelare, finisce per negare che esso sia mai esistito.
Ecce mulier! Questa è la tanto vagheggiata femmina, che fa perdere la testa agli uomini e induce al peccato: soltanto un ammasso di disgustosi organi e budella.

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Da Valverde, Anatomia del corpo humano (1560).

La messa in scena dell’osceno
Alcune stampe cinquecentesche erano composte di diversi fogli ritagliati, in modo che il lettore potesse sollevarli e scostare poco a poco i vari “strati” del corpo del soggetto, scoprendone l’anatomia in maniera attiva. L’immagine qui sotto, del 1570 circa e poi numerose volte ristampata, è un esempio di questi antesignani dei pop-up book; pensata ad uso dei barbieri-chirurghi (l’uomo tiene la mano in una bacinella di acqua calda per gonfiare le vene del braccio prima di un salasso), consiste di quattro risvolti incollati da sfogliare in successione per vedere gli organi interni.

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Le veneri anatomiche, decomponibili, non erano dunque che la versione tridimensionale di questo genere di stampe. Gli studenti avevano la possibilità di smontare gli organi, studiarne la morfologia e la posizione senza dover ricorrere a un cadavere.

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Se la ceroplastica si propose quindi fin dal principio come sostituto o complemento della dissezione, ottimo strumento didattico per medici e anatomisti spesso in cronica penuria di salme fresche, le statue in cera costituirono anche uno dei primi esempi di spettacolo anatomico accessibile anche alla gente comune. Le dissezioni vere e proprie erano già un educativo divertissement per la buona società, che pagava volentieri il biglietto di entrata per il teatro anatomico approntato solitamente nei pressi dell’Università. Ma la collezione fiorentina di cere anatomiche contenute all’interno del Museo della Specola, voluto dal Granduca di Toscana, era visitabile anche dai profani.

Da sovrano illuminato e da appassionato di scienza qual era, si rese conto, con molto anticipo rispetto agli altri regnanti, di quanto fosse importante la cultura scientifica e di come questa dovesse essere resa accessibile a tutti. […] C’erano orari diversi per le persone istruite e per il popolo: quest’ultimo infatti poteva visitare il Museo dalle 8 alle 10 “purché politamente vestito” lasciando poi spazio fino “alle 1 dopo mezzogiorno… alle persone intelligenti e studiose”. Anche se ora questa distinzione ci suona un po’ offensiva, si capisce quanto fosse innovativa per quell’epoca l’apertura anche al grosso pubblico.

(M. Poggesi, La collezione ceroplastica del Museo La Specola, in Encyclopaedia anatomica, 2001)

Le cere anatomiche dunque, oltre ad essere un supporto di studio, facevano anche appello ad altre, più nascoste fascinazioni che attiravano con enorme successo masse di visitatori di ogni estrazione sociale, divenendo tra l’altro tappa fissa dei Grand Tour.

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Allo stesso modo delle stampe antiche, anche nelle statue di cera si ritrova la stessa esposizione del corpo della donna – passiva, sottomessa all’anatomista che (presumibilmente) la sta aprendo, spesso gravida del feto che porta dentro di sé, il volto mai scorticato e anzi seducente; e la figura maschile è invece ancora una volta utilizzata principalmente per illustrare l’apparato muscolo-scheletrico, i vasi sanguigni e linfatici ed è priva della sensualità che contraddistingue i soggetti femminili.

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Eros, Thanatos e crudeltà
Le veneri anatomiche fiorentine non potevano non suscitare l’interesse di Sade.
Il Marchese ne parla una prima volta, col tono discreto del turista, nel suo Viaggio in Italia; le menziona ancora in Juliette, quando la sua perversa eroina scopre con giubilo cinque piccoli tableaux di Zumbo che mostrano le fasi della decomposizione di un cadavere. Ma è nelle 120 giornate di Sodoma che le cere sono utilizzate nella loro dimensione più sadiana: qui una giovane fanciulla viene accompagnata all’interno di una stanza che racchiude diverse veneri anatomiche, e dovrà decidere in quale modo preferisce essere uccisa e squartata.

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Lo sguardo lucido di Sade ha dunque colto il volto oscuro, cioè l’erotismo perturbante e crudele, di queste straordinarie opere d’arte scientifica. Sono senza dubbio i volti serafici, in alcuni casi quasi maliziosi, di queste donne a suggerire un loro malcelato piacere nell’essere lacerate e offerte al pubblico; e allo stesso tempo questi modelli tridimensionali rendono ancora più evidente la surreale contraddizione degli écorché, che restano in vita come nulla fosse, nonostante le ferite mortali.
Si può discutere se il Susini e gli altri ceroplasti suoi emuli fossero o meno perfettamente coscienti di un simile aspetto, forse non del tutto secondario, della loro opera; ma è innegabile che una parte del fascino di queste sculture provenga proprio dalla loro sensuale ambiguità.
Bataille fa notare (Le lacrime di Eros, 1961) che, nel momento in cui l’uomo ha preso coscienza della morte, seppellendo i suoi morti con rituali funebri, ha anche cominciato a raffigurare se stesso, sulle pareti delle grotte, con il sesso eretto; a dimostrazione di quanto morte e sesso siano collegati a doppio filo, quali opposti che spesso si confondono.

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Le veneri anatomiche, in questo senso, racchiudono in maniera perfetta tutta la complessità di questi temi. Splendidi e preziosi strumenti di indagine scientifica, meravigliosi oggetti d’arte, misteriosi e conturbanti simboli; con il loro misto di innocenza e crudeltà sembrano ancora oggi raccontarci le intricate peripezie del desiderio umano.

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Ecco la pagina dedicata alle cere anatomiche del Museo di Storia Naturale di Firenze.

Gli scorticati di Fragonard

La città di Grasse, in Provenza, già considerata la capitale mondiale dei profumi, divenne celebre nel XVIII secolo per aver dato i natali al famoso pittore rococò Jean Fragonard (una delle tre maggiori profumerie locali è oggi chiamata Fragonard in suo onore). Pochi però conoscono la storia del cugino di questo celebre pittore, che divenne rinomato per motivi completamente diversi.

Honoré Fragonard, classe 1732, laureato in chirurgia, nel 1762 incontra l’uomo che farà svoltare la sua carriera. Si tratta di Claude Bourgelat, stalliere di corte di Luigi XV e fondatore a Lione della prima Scuola Veterinaria al mondo. Questo eminente studioso di cavalli era il più grande esperto in materia, e aveva già pubblicato diversi trattati ritenuti eccellenti. Si era però convinto che, per comprendere a fondo questi splendidi animali, avrebbe dovuto studiarne l’anatomia fin nei minimi dettagli. Recluta quindi Fragonard affinché esegua per lui alcune dissezioni sui cadaveri di cavalli. In breve tempo, Bourgelat nomina Fragonard docente di anatomia alla sua Scuola Veterinaria, e in seguito direttore. Qui Fragonard comincia a realizzare le sue prime preparazioni anatomiche, ma è con l’apertura di una seconda scuola a Parigi che Fragonard, nuovamente nominato direttore e professore, può dedicarsi alla sua arte in modo più continuativo.

Honoré Fragonard realizza a Parigi migliaia di preparati anatomici veterinari e umani; ma è con la serie degli écorchés (gli scorticati) che impressiona non soltanto il mondo accademico ma anche l’aristocrazia, che comincia a comprare i suoi pezzi per inserirli nelle diverse camere delle curiosità in giro per l’Europa. In effetti i suoi “scorticati” sono dei preparati davvero unici e mozzafiato.

Si tratta di cadaveri sezionati e imbalsamati secondo una ricetta segretissima: i corpi vengono aperti e fissati da Fragonard con un misterioso fluido, in modo da permettere di scorgere tutti i vari strati di muscolatura superficiale e profonda, i tendini, l’apparato vascolare e circolatorio. Fragonard non si accontenta del risultato scientifico, e riesce a donare ai suoi corpi pose artistiche ispirate a quadri e miti celebri. L’homme à la mandibule (“L’uomo con la mandibola”), ad esempio, si rifà all’episodio di Sansone che combatte i Filistei: la posa minacciosa e lo sguardo allucinato e folle rendono il cadavere scorticato minaccioso e drammatico.

Fragonard realizza anche delle celebri composizioni incentrare sull’equitazione; per spingersi ancora oltre nel risultato sconcertante, attornia il suo Cavaliere dell’Apocalisse di una piccola “armata” di cadaveri di feti umani che cavalcano feti di cavallo (oggi andati perduti).

Le cose, però, non vanno bene tra lui e il suo mentore, Bourgelat. Voci di corridoio cominciano a insistere sul fatto che quest’ultimo debba gran parte della sua fama alle dissezioni di Fragonard. Dall’altra parte, si sussurra che uno dei più celebri “cavalieri” di Fragonard fosse in realtà il cadavere di una giovane fanciulla di cui l’anatomista era innamorato, che egli avrebbe disseppellito e “fissato” in una preparazione anatomica per averla sempre con sé. Fra pettegolezzi e litigate, l’inimicizia tra i due diviene sempre più acre, finché nel 1771 Bourgelat licenzia Fragonard, con l’accusa di essere divenuto folle.

Honoré continua quindi a seccare e preparare cadaveri per le collezioni private degli aristocratici, e negli ultimi anni di vita accarezza il sogno di riunire tutti i suoi vecchi pezzi in uno sterminato Gabinetto di Anatomia. Ma il progetto fallisce, e i suoi preparati si disperdono in giro per l’Europa. Affranto e disilluso, Fragonard si spegne a Charenton nel 1799.

Delle svariate decine di scorticati da lui fabbricati, e per la maggior parte distrutti durante la Rivoluzione Francese, ce ne restano soltanto 21. Il numero maggiore di pezzi si trova al Musée Fragonard di Maison-Alfort, a 3 km da Parigi. Ciò che rimane ancora in parte sconosciuto è il metodo con cui Fragonard fu capace di creare simili opere. L’unico dato certo è che, nella miscela da lui creata per fissare i tessuti vascolarizzati, non faceva uso di cera fusa (che avrebbe distrutto i vasi sanguigni con il suo calore) ma di sego di montone, che fonde a temperature più basse e che poteva essere iniettato senza scaldare troppo il corpo. Pare inoltre che le particolari vernici utilizzate per seccare i cadaveri fungessero anche da repellente per parassiti, garantendo una straordinaria tenuta nel tempo.

E, in caso ve lo foste chiesti, un’attenta analisi ha rivelato le vestigia di un pene legato all’interno del bacino del “Cavaliere dell’Apocalisse”. Con buona pace dei romantici, il misterioso Cavaliere non era dunque una ragazzina, il perduto amore di Fragonard, come da secoli esigeva la leggenda.