Negli ultimi vent’anni si sono sviluppati molti sport ritenuti “estremi”, ma l’eye-squirting (“spruzzo dall’occhio”) è forse il più weird e bizzarro. Si tratta di inspirare del latte (o qualsiasi altra bevanda colorata) attraverso il naso, per poi schizzarla il più lontano possibile attraverso i dotti nasolacrimali.
Ad un primo sguardo sembra uno di quei trucchetti “anatomici” che vanno forte alle feste: c’è chi è capace di arrotolare la lingua, di strabuzzare un solo occhio alla volta, di toccarsi il polso storcendo il pollice, ecc. Ecco, la particolarità fisica necessaria per praticare l’eye-squirting, in realtà, non si sa se sia veramente rara: potrebbe addirittura essere piuttosto comune. Il fatto è che, per scoprire di averla, dovreste almeno provare. E quanti di voi avrebbero voglia di farlo?
I dotti nasolacrimali sono quei minuscoli buchini che avete sull’angolo interno di ogni occhio, e servono a scaricare le lacrime in eccesso dentro al naso (ecco perché, quando si piange, ci “cola” il naso). Gli atleti di questo sport sono capaci di invertire il processo, e inspirando il latte nella cavità nasale riescono poi a proiettarlo attraverso il piccolo canale nell’occhio fino a considerevoli distanze.
Questo sport è “estremo” perché in realtà i seni nasali e paranasali sono piuttosto delicati. Già sarebbe buona regola evitare di toccarsi gli occhi, perché eventuali batteri potrebbero finire nel naso, ma a peggiorare le cose la cavità nasale è anche direttamente connessa con la rinofaringe, a sua volta collegata con le tube di Eustachio, e quindi con l’orecchio medio. Per quanto sia pastorizzato, introdurre del latte in un sistema così complesso sembra piuttosto azzardato. Sinusiti, riniti, e infiammazioni all’orecchio potrebbero essere all’ordine del giorno. Fatto sta che nel 2004 il record (a tutt’oggi imbattuto) di spruzzo attraverso l’occhio è stato fissato dal turco Mehmet Yilmaz, che è riuscito a raggiungere l’ambita distanza di 2 metri 79,5 cm. Ecco il video della sua ineguagliata performance.
Siete in una sala d’attesa: sedute come voi ci sono altre otto o nove persone. Un bambino di pochi mesi, tenuto in braccio dal papà, ad un tratto comincia a piangere. Un po’ imbarazzato, l’uomo si guarda intorno. Poi solleva un lembo della sua camicia, e si scopre il capezzolo. Il neonato si attacca avidamente al seno, mentre il papà vi sorride. Non siete culturalmente preparati a una scena simile. Come reagireste?
Sembra l’ennesima leggenda urbana, invece è realtà: anche i maschi possono allattare.
Le ghiandole mammarie maschili, nonostante siano presenti in ciascun individuo, non producono latte in normali circostanze. Ma già Darwin aveva notato la loro “completezza” e aveva ipotizzato che agli albori dell’umanità i figli potessero essere allattati indistintamente da maschi e femmine. E i resoconti di bambini svezzati con “latte paterno” sono presenti fin dall’antichità (se ne rileva traccia nel Talmud, in Aristotele, perfino in Anna Karenina). George Gould e Walter Pyle nel loro Anomalies and Curiosities of Medicine del 1896 registrano diversi casi di allattamento maschile negli Stati Uniti meridionali.
Recentemente alcune storie simili sono divenute celebri sui media di mezzo mondo. Il caso più conosciuto è quello di un padre di Walapore, nello Sri Lanka: nel 2002 si venne a sapere che quest’uomo, avendo perso la moglie durante il parto, da mesi ormai allattava al seno le due figliole. Un fatto strano per tutti, ma non per il padre, che raccontò con la massima naturalezza l’inizio della sua esperienza: “mia figlia maggiore rifiutava di essere nutrita col latte in polvere dal biberon. Una sera ero così affranto che, pur di farla smettere di piangere, le offrii il mio capezzolo. Allora mi resi conto che ero in grado di allattarla al seno”.
Laura Shanley, consulente per le maternità, dopo aver letto un saggio di Dana Raphael (The Tender Gift: Breastfeeding, 1978), decise di provare se fosse sufficiente l’auto-suggestione per indurre una produzione maschile di latte. Convinse l’ex-marito David a “dire a se stesso che poteva allattare, e nel giro di una settimana una delle sue mammelle si gonfiò ed iniziò a gocciolare latte”. Che la faccenda sia davvero così semplice sembra piuttosto inverosimile, ma lasciamo il beneficio del dubbio all’entusiasta Laura.
Fatto sta che diversi tipi di animali dividono il compito dell’allattamento equamente fra mamma e papà: non soltanto le comunità di volpi volanti della Malaysia (un genere di pipistrello, ecco l’articolo che ne parla) annoverano maschi allattanti, ma anche capre e colombi possono occasionalmente compiere lo stesso exploit. Ovviamente per quanto riguarda i colombi non si tratta di un vero e proprio allattamento, ma del cosiddetto latte di gozzo, prodotto lattiginoso che viene dispensato ai cuccioli tanto dalle madri quanto dai padri, durante i primi 10-12 giorni di vita.
Ma ritornando alla nostra specie, e ai casi reali, la produzione maschile di latte avviene più spesso per cause meno “romantiche”. Si tratta più comunemente di un effetto collaterale di alcuni trattamenti farmacologici a base di ormoni. Ad esempio, nella cura del cancro alla prostata vengono utilizzati ormoni femminili per arginare la proliferazione del tumore. Questo può portare ad una stimolazione delle ghiandole mammarie. Allo stesso modo, i transessuali che stanno compiendo la cura ormonale rilevano talvolta i medesimi sintomi. Trattamenti antipsicotici o l’assunzione di droghe che bloccano i recettori della dopamina potrebbero avere un effetto simile. Situazioni di stress e di mancanza di cibo possono portare alla produzione di latte maschile: lo si riscontrò in alcuni dei detenuti dei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, e nelle truppe di ritorno dalle guerre di Vietnam e Corea.
Sembra insomma ormai ben documentata la possibilità che un uomo possa allattare suo figlio. Purtroppo, poche ricerche veramente esaustive sono state condotte al riguardo. Resta ancora un mistero come e in quali condizioni questa eventualità si palesi. Certo è che se una delle peculiarità escusivamente femminili dovesse venire a cadere, anche i ruoli all’interno della famiglia andrebbero ripensati.
Per molti padri, l’idea di nutrire il figlio attraverso il proprio corpo sembra essere un’esperienza desiderabile, un legame con il bambino che normalmente viene negato ad un maschio: le donne sono culturalmente predestinate a questo tipo di intimità, e il padre ne è tradizionalmente escluso. È possibile per i maschi “allenarsi” all’allattamento? Dovremmo forse pensare a un futuro più eterogeneo riguardo a questo aspetto dello svezzamento? Un bambino allattato indifferentemente da mamma e papà potrebbe crescere più sano e felice?