L’Angelo Francese

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Nato negli Urali nel 1903 da genitori francesi, Maurice Tillet aveva un’intelligenza viva e un fisico atletico invidiabile. Gli amici erano impressionati dalla sua abilità nel parlare diverse lingue, e a causa dei lineamenti dolci del suo volto l’avevano soprannominato “Angelo”. Durante la Rivoluzione Russa la sua famiglia ritornò precipitosamente in Francia, stabilendosi a Reims. E lì cominciarono i problemi.

All’età di 17 anni, Maurice cominciò a notare dei dolorosi rigonfiamenti sul suo corpo. Si trattava, come avrebbe purtroppo scoperto in fretta, dei primi sintomi di acromegalia. Ma se la malattia causa talvolta stature gigantesche, in Maurice operò un cambiamento differente: la statura rimase normale, ma il suo torace divenne cilindrico e, oltre alle mani e ai piedi, la parte del corpo che cominciò davvero a crescere a dismisura fu la faccia. Proprio quel volto un tempo angelico che gli era valso il soprannome, ora lo faceva assomigliare a un orco o un uomo delle caverne.

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A causa del suo nuovo aspetto, Maurice dovette rinunciare al suo sogno di una carriera da avvocato, e per cinque anni lavorò nella Marina come ingegnere. Mentre era imbarcato nell’esercito, a Singapore, Tillet conobbe un promoter di wrestling che lo convinse a provare ad entrare in quello sport. Maurice scoprì di avere del talento nell’arte della lotta, e sicuramente il suo aspetto incuteva un certo timore negli avversari, avvantaggiandolo. Con il nome d’arte di “Angelo Francese”, disputò incontri di grande successo in Europa, e quando si trasferì in America, a causa della Guerra, cominciò ad inanellare una serie di vittorie impressionanti. I fan del wrestling erano elettrizzati dalla sua figura così come dalla sua tecnica potente, anche perché il suo personaggio sembrava collegare due mondi che finora erano rimasti distanti: quello dello sport e quello dei fenomeni da baraccone, i freak ammirati nei sideshow itineranti di mezzo mondo.

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Nel 1940, Tillet venne esaminato dall’antropologo Carleton Coon (autore di alcune sfortunate teorie sull’origine e la storia delle razze), mentre le macchine fotografiche di LIFE seguivano l’incontro: l’etnologo annotò le misure della mandibola, della testa, dei piedi e delle mani giganteschi, e concluse che Maurice potesse rappresentare “una regressione all’uomo di Neanderthal”. Per quanto ai nostri occhi oggi possa sembrare una diagnosi assurda e infamante, per un atleta che combatteva quotidianamente (gli avversari sul ring, la sua malattia fuori dal quadrato), il servizio fotografico gli regalò un’immensa notorietà, tanto che Tillet cominciò a sfruttare a suo favore il personaggio dell’uomo preistorico.

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Sulla scia della sua fama, cominciarono a spuntare come funghi gli imitatori: tutti dall’aspetto di cavernicoli, e tutti con il suo stesso nome d’arte. L’Angelo Russo, l’Angelo Canadese, l’Angelo Irlandese, il Polacco, il Ceco, e poi l’Angelo d’Oro, quello Nero e perfino una Lady Angel. Qui sotto, una foto dell’Angelo Svedese.

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Nel frattempo, Tillet continuava a vincere e nei primi anni ’40 divenne uno dei wrestler di prima categoria, vincendo il titolo mondiale dei pesi massimi e restando imbattuto per 19 mesi consecutivi. Poi, lentamente, la sua gloria cominciò a declinare di pari passo con la sua salute, nonostante egli continuasse a lottare. Ma ormai non era più un campione: disputò il suo ultimo incontro nel febbraio del 1953.

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Uno scompenso cardiovascolare mise fine alla sua vita, un anno dopo; ma non prima che uno scultore divenuto suo amico riuscisse ad eseguire dei calchi in gesso e a scolpire alcuni busti a grandezza naturale, uno dei quali è esposto al Museo Internazionale di Scienza Chirurgica di Chicago. L’anno scorso Maurice Tillet è stato introdotto nella Professional Wrestling Hall of Fame.

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French Angel and Canadian writers l. to r. Ralph Allen, Johnny Fitzgerald, Joe Perlove, and Hal Walker.  Frank Tunney.

Oggi molti siti internet lo ricordano quasi esclusivamente per la diceria secondo cui gli artisti della Dreamworks si sarebbero ispirati ai suoi lineamenti per il personaggio cinematografico di Shrek – tralasciando di menzionare il vero esempio che Tillet ci lascia: quello di uno strano gigante gentile, un angelo che si disvelava soltanto a chi sapeva guardare oltre l’apparenza fisica. E, soprattutto, un uomo che aveva imparato l’essenza spirituale della lotta, che consiste nello sfruttare a proprio favore la forza dell’avversario. Tillet era riuscito, con determinazione, a trasformare un destino crudele nella migliore delle opportunità.

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Ecco un sito inglese interamente dedicato a Maurice Tillet, contenente articoli e foto d’epoca.

(Grazie, Giulia!)

Shrek, la pecora ribelle

Sheep Resting Upon the Rolling Hillside, Kaikura, South Island, New Zealand-537855

Le pecore, in Nuova Zelanda, sono un’istituzione. Fino agli anni ’60 la lana rappresentava un terzo dei ricavi di esportazione, e anche se oggi queste cifre si sono notevolmente abbassate, i greggi ovini sono ancora parte integrante dei bucolici paesaggi dello stato insulare. Ma se pensate che tutte le pecore siano “pecoroni”, ovvero docili e senza un vero carattere, la storia di Shrek vi farà ricredere.

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Shrek era un montone castrato della specie Merino, nato e cresciuto nella fattoria di Bendigo, vicino alla piccola comunità pastorizia di Tarras, nell’Isola del Sud. Le pecore Merino sono allevate per la loro lana di primissima qualità, e vengono dunque regolarmente tosate dai loro allevatori: questo processo non è violento, ma probabilmente piuttosto fastidioso per l’animale, che viene tenuto fermo in posizioni per lui innaturali. Gli agnelli e le pecore più giovani scalciano e combattono durante la tosatura, ma con il passare degli anni capiscono che non c’è nulla da temere; gli animali più vecchi hanno imparato dall’esperienza e non oppongono più resistenza quando vengono alleggeriti dai diversi chili di lana che li ricoprono. Un buon tosatore, infatti, impiega soltanto tre o quattro minuti per portare a termine l’indolore operazione.

Shrek, invece, non ne voleva proprio sapere di essere tosato – ed evidentemente mal sopportava anche la vita all’interno del gregge. Un bel giorno, decise che ne aveva vuto abbastanza e lasciò i suoi simili ovini per darsi alla macchia. Era il 1998, e nonostante le continue ricerche dei proprietari, per sei lunghi anni nessuno seppe più nulla di lui.

Infine, il 15 aprile del 2004, la sua “latitanza” giunse al termine quando il suo padrone riuscì finalmente a scovarlo: Shrek si era nascosto per tutti quegli anni in una grotta. Ma ormai non assomigliava nemmeno più ad una pecora.

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Secondo le parole del pastore che lo trovò nella caverna, “sembrava una creatura biblica”, un Behemoth o una bestia mitologica. Il suo vello infatti aveva cotinuato a crescere e crescere, senza controllo, fagocitando praticamente l’intero corpo dell’animale.

Shrek the Sheep Photo: STEPHEN JAQUIERY

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La curiosità scientifica che sta dietro a questo episodio è piuttosto sorprendente: per quanto riguarda le pecore domestiche come le Merino, se il pelo non viene tosato continuerà a crescere all’infinito. Si tratta di un’evoluzione dovuta proprio alla pastorizia, e all’interazione con l’uomo: infatti le pecore selvatiche perdono gran parte del vello in maniera naturale durante l’anno, cosa che succede anche ai capi allevati esclusivamente per la loro carne. Soltanto le pecore da lana producono pelo durante tutto l’anno, senza sosta. In questo senso, sono divenute dipendenti dall’uomo perché senza tosatura andrebbero incontro a seri problemi di salute. Nelle stagioni estive, la mole di lana può portare a stress da calore; il pelo non curato causa problemi di motilità, tanto che in alcuni casi impedisce alla pecora di rialzarsi da terra; inoltre anche gli occhi potrebbero venire ricoperti dalla lana, rendendo di fatto cieco l’animale.

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Certo, Shrek era comunque un’eccezione. Il vello di una pecora Merino pesa in media circa 4.5 kg, e in qualche raro caso arriva fino ai 15 kg; ma il pelo che Shrek aveva prodotto durante i sei anni di fuga aveva un peso assolutamente straordinario – 27 kg, sufficienti per cucire 20 completi da uomo.

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Diventato immediatamente una star per i neozelandesi, sempre orgogliosi delle proprie pecore, Shrek venne infine tosato in diretta TV nazionale. La sua lana fu messa all’asta per beneficienza, venne stampato un libro per bambini, e la famosa pecora incontrò perfino il Primo Ministro, Helen Clark, al Parlamento. Si stima che questa pubblicità abbia fruttato all’industria nazionale dell’esportazione approssimativamente 100 milioni di dollari.

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Per celebrare il suo decimo compleanno, a 30 mesi dalla prima tosatura, ecco un’altra trovata: Shrek venne nuovamente tosato, ma questa volta su un iceberg, galleggiante al largo della costa di Dunedin. Ancora una volta lo scopo di questa impresa era a favore di un ente benefico per la cura dei bambini, e per promuovere la lana neozelandese. Ma probabilmente fu tutt’altro che un compleanno memorabile per Shrek, a cui vennero addirittura applicati degli speciali ramponi da ghiaccio perché non scivolasse lungo i freddi pendii dell’iceberg.

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All’età di 16 anni, nel 2011, su consiglio del veterinario Shrek venne sottoposto ad eutanasia. Le sue ceneri furono sparse sulla cima della montagna più alta del paese, Mount Cook, a simbolo e memoria dell’insegnamento che, a detta dei neozelandesi, questo testardo animale ci ha lasciato: se non vuoi fare una cosa, lotta con tutte le tue forze per evitarla.

Ma, a voler essere davvero cinici, dalla storia di Shrek si potrebbe anche dedurre l’esatto opposto – non importa quanto tu ti batta, alla fine la tosatura arriva per tutti…

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