Incubi in flash

Articolo a cura della nostra guestblogger Marialuisa

Per gli appassionati della mente umana, per gli esploratori di angosce e incubi, non può mancare una visita al sito ufficiale di David Firth,dove si si trova la raccolta dei suoi cartoni animati in flash.

David Firth nasce il 23 gennaio del 1983, è un artista poliedrico che ha diffuso i propri lavori in ambito video, musicale e creativo principalmente tramite web.

Il più famoso dei suoi lavori è la mini serie in flash Salad fingers, e tratta delle avventure di un personaggio umanoide che si caratterizza per le dita lunghissime e frastagliate simili ad insalata appunto ma dalla sensibilità insolitamente sviluppata.

Salad fingers è ossessionato dal tatto: tocca infatti oggetti di diversa natura (i suoi preferiti sono cucchiai arrugginiti, animali morti e una sorta di strano bruco) e sembra ricavarne sensazioni psichedeliche, cadendo in profondi stati di estasi che lo debilitano e lo sconvolgono; il ferirsi, poi, provoca l’apice di queste sensazioni, stordendolo fino allo svenimento. Il personaggio si esprime in monologhi parlati in un inglese britannico e dall’accento marcato, spesso condendoli con frasi in francese. È patetico, flebile e triste e le sue avventure sono per lo più rappresentazioni angoscianti, incentrate su elementi quali il sangue, la sporcizia, la violenza, i sanitari, gli umori corporali. Tutti dettagli urtanti per la sensibilità dello spettatore, in un clima di costante sospensione e un continuo stato di ansia senza la benché minima evoluzione.

Il personaggio ha diverse personalità, tutte in forte contrasto tra loro; le principali sono però due: la prima è violenta, sanguinaria e crudele, rappresentazione di puro odio verso se stessi ma soprattutto verso gli altri, senza scrupoli e senza rimorsi; l’altra è l’esatto opposto, una compensazione di mitezza, sottomissione a se stessi e alla realtà, una personalità così chiusa nelle proprie debolezze da vivere in un mondo totalmente inventato fatto di altri personaggi che sono solo suoi alter ego, un inferno pregno di sensi di colpa in cui egli si ritrova fragile e dipendente dagli affetti, seppure non reali.

Salad fingers è probabilmente il personaggio più noto perché tocca quei lati segreti e talvolta profondamente rifiutati che si celano in ogni essere umano, oscuri e rinnegati, come la crudeltà e il sadismo ma anche la fragilità emotiva, l’autolesionismo, la debolezza sentimentale e la dipendenza che si ha verso altre persone che ci rende vulnerabili e alla mercé della volontà altrui.

Eccovi un episodio di Salad fingers in cui il nostro eroe invita alcuni amici per una cenetta a base di pesce:

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Se reggete Salad fingers, i passi successivi sono senz’altro Spoilsbury Toast Boy e Milkman.

I temi dominanti nelle opere di Firth sono i disturbi della mente, l’autolesionismo, il cannibalismo, la decomposizione del corpo, la crudeltà dell’animo, la depressione, la solitudine e tutte le conseguenze che comporta l’alienazione; nel suo mondo, le turbe della mente si auto-generano e si moltiplicano come batteri, fino a corrompere l’essenza stessa della lucidità.

I mini-cartoni di David Firth sono un vero e proprio teatro della crudeltà che mette a dura prova la nostra sensibilità, soprattutto perché vengono sempre presentati in uno stadio di abbozzo, e alla fine non è nemmeno la morte ciò che ci lascia nauseati di fronte alle sue animazioni. È l’angoscia, l’ansia, la paura di quello che succederà, l’attesa che acuisce le sensazioni profonde di disagio e il desiderio di scappare da ciò che stiamo vedendo. I disegni, seppur abbozzati, rappresentano un incubo deformato e irrisolto: a dispetto del look trasandato, tutto è in realtà confezionato con estrema cura, i colori spenti, le prospettive, le musiche, tutto è sospeso e perturbante – tutto ci urla che è qualcosa che non vorremmo vedere eppure restiamo incollati, come nei sogni peggiori, in cui manca il controllo per riuscire a fuggire o svegliarsi.

Le passioni, che riscontriamo espresse in maniera neutra, terrorizzano perché sono quasi intoccabili pur nella loro estrema violenza, i linguaggi sono vari, spesso le lingue sono diverse, i suoni sono dilatati e isolati. La capacità primaria di Firth è quella di riuscire a ricreare l’essenza degli incubi, un faticoso agglomerato di elementi che trova una sua via per unirsi e realizzarsi nel modo più estremo e incisivo.

Tetsuya Ishida

Quando nel 2005, a soli 32 anni, il pittore giapponese Tetsuya Ishida morì sotto un treno, per chi conosceva la sua opera venne più che naturale pensare che si trattasse di suicidio. I suoi quadri, infatti, sono talmente carichi di un’angoscia gelida e paralizzante da poter essere letti in un’ottica prettamente personale di depressione e solitudine.

Eppure i suoi dipinti surrealisti vanno ben al di là della semplice espressione di un disagio individuale. Certo, i quadri di Ishida avevano come protagonista assoluto e ossessivo Ishida stesso, che nei suoi autoritratti si figurava come una vittima dal corpo fuso con gli elementi architettonici e tecnologici quotidiani. Ma  la sua forza evidente è quella di offrire un ritratto drammatico dell’uomo moderno, al di là dell’autoritratto. Un uomo irrimediabilmente oppresso e imprigionato, reificato, ormai ridotto ad oggetto inanimato, parte integrante di una catena di montaggio di stampo industriale che lo priva di ogni identità.

Benché lo stile e l’immaginario di Ishida siano tipicamente giapponesi (a qualcuno di voi verrà certamente in mente il Tetsuo di Tsukamoto), i temi che sono affrontati nelle sue opere hanno valenza universale ed esprimono le paure di tutto il mondo “civilizzato”. L’ibridazione uomo-macchina, tema fondamentale della fine del secolo scorso con cui si sono confrontati autori del calibro di James G. Ballard o di David Cronenberg, è uno dei tratti fondamentali della nostra cultura.

Se negli anni ’50 si poteva pensare che la tecnologia ci venisse in aiuto e facesse da protesi senza che questo intaccasse la nostra stessa identità e il concetto di corpo, oggi è ovvio che non è così. Gli ambienti in cui viviamo entrano a far parte delle architetture della mente, così come il corpo diviene sempre più sfuggente, ibridato, multiforme. Il concetto identitario cambia e si trasforma continuamente.

Ishida mostra di essere consapevole di questo nuovo assetto, e allo stesso tempo denuncia la violenza che l’individuo subisce a livello sociale. In un paese come il Giappone, l’allarme lanciato dall’artista è che la conseguenza di un’impostazione di lavoro così oppressiva non può che portare a una totale deumanizzazione.

Purtroppo, a parte il sito ufficiale (in giapponese) con diverse splendide gallerie, sulla rete si trovano pochissime informazioni su questo prolifico pittore scomparso prematuramente.