Wat Rong Khun

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Da lontano il Phra Ubosot, ovvero la struttura principale all’interno dell’area sacra, risplende nel sole abbagliando il visitatore. Il bianco delle complesse e barocche decorazioni è reso ancora più accecante da migliaia di frammenti di specchi incastonati sull’intera superficie, per riflettere maggiormente la luce; nell’insieme la struttura sembra un manufatto alieno, o soprannaturale. Ma le sorprese sono appena iniziate.

Siamo in Thailandia. Veri e propri luoghi della meraviglia, i 33.000 templi buddisti che si trovano sparsi per tutto il paese offrono senza dubbio infinite declinazioni di bellezza e fascino; fra questi, il bizzarro tempio di Wat Rong Khun offre più di una curiosità. Si tratta di una recente costruzione realizzata sulla base di un edificio precedente: negli anni ’90 il tempio versava in pessime condizioni, e sarebbe sicuramente andato in rovina se il pittore Chalermchai Kositpipat, classe 1955, non si fosse fatto avanti.

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Kositpipat, uno dei pittori di maggior successo in Thailandia, è sempre stato un artista controverso. All’inizio della sua carriera, era accusato di confondere in modo sacrilego la tradizione e la modernità; una volta affermatosi, fu tacciato invece di essersi venduto all’establishment e di aver perso la sua vena dissacrante.
La notorietà per Kositpipat arrivò nel 1988 quando, dopo alcuni anni passati a dipingere locandine per film, gli venne affidata la decorazione del primo tempio buddista inglese, il Buddhapadipa di Londra, e i suoi murales causarono un putiferio. Nell’illustrare le diverse vite e reincarnazioni del Buddha, infatti, Kositpipat aveva inserito vicino alle raffigurazioni classiche alcune icone della cultura pop o della storia recente. In un affresco compaiono ad esempio Superman e Saddam Hussein; in un altro, tra i fedeli radunati in preghiera, fanno capolino Charlie Chaplin e un ragazzo che sfoggia una colorata cresta di capelli in stile punk. “Si lamentarono tutti – ricorda l’artista – il governo di Bangkok, i monaci e gli altri artisti, tutti dicevano che ciò che facevo non era vera arte Thai“.

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Decidendo, quasi dieci anni dopo, di restaurare il tempio di Rong Khun, l’artista dimostrò di non aver perso nulla della propria ispirazione, né peraltro della propria integrità. Kositpipat si sobbarcò infatti tutte le spese per la ricostruzione, che ad oggi ammontano a più di un milione di euro. L’entrata al tempio, fin dalla sua apertura a fine anni ’90, è rimasta gratuita, e le donazioni volontarie non possono superare i 10.000 baht (270 euro circa), in modo da salvaguardare il progetto dall’eventuale influenza di grandi mecenati.

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Questa follia architettonica e artistica accoglie il visitatore con una scena impressionante. Centinaia di mani, umane e mostruose, emergono e si allungano da un pozzo abissale, come per cercare di afferrare il passante. Potrebbero sembrare anime dannate, ma la simbologia che sottende questa installazione è invece un’altra: si tratta dei desideri (tṛṣṇā) che senza freno attanagliano gli uomini. Il ponte, attraverso il quale si supera questo pericolo, sta a significare l’abbandono delle brame sensuali e terrene, e varcandolo ci si prepara a lasciare alle spalle ogni avidità e tentazione.

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Fra statue che rappresentano creature mitologiche e altre immagini del Buddha, si arriva ai Cancelli del Cielo. I due guardiani, la Morte e Rahu, decidono il destino di chi varca il cancello. L’esterno dell’Ubosot riprende alcuni criteri dell’architettura classica tailandese, come ad esempio il tetto a tre sbalzi e l’utilizzo decorativo di naga (divinità serpente), animali e dragoni attorcigliati sugli angoli e sulle pareti.

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L’interno, come accade per molti altri templi thailandesi, è affrescato con dei murales che descrivono la vita del Buddha. Ma, come ci si può aspettare, i dipinti di Kositpipat sono tutto fuorché tradizionali. Ecco quindi che in questa esplosione di colori si trovano gli spregiudicati accostamenti che hanno reso famoso l’artista: i monaci e le figure sacre si trovano fianco a fianco con le icone pop più celebri, da Batman a Spiderman, da Elvis a Michael Jackson, da Freddy Krueger a Terminator, in un vortice kitsch di cui è difficile in un primo momento intuire veramente il senso.

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Eppure con questa infantile giustapposizione di astronavi, pompe di benzina, cataclismi vari, Harry Potter, Hello Kitty, l’attacco terroristico alle Torri Gemelle, Neo di Matrix, e chi più ne ha più ne metta, la spiazzante messe di simboli arriva a creare un teatrale affresco della contemporaneità con le sue contraddizioni, le sue violenze di massa, il suo degrado e i suoi miti moderni: in tutto questo “rumore”, sembra voler dire Kositpipat, è ancora più essenziale ritrovare la via interiore verso la pace e la serenità.

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Il 5 maggio 2014 il tempio venne danneggiato da un terremoto, e per qualche giorno sembrò che la struttura fosse destinata alla distruzione. Ma, dopo che un’équipe di ingegneri dichiarò che i danni non erano strutturali, Kositpipat annunciò che avrebbe dedicato la sua vita a riportare Wat Rong Khun al suo splendore originario. Oggi è possibile visitare soltanto l’esterno dell’Ubosot, ma già dall’anno prossimo anche gli interni saranno ripristinati ed accessibili.

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Il progetto prevede inoltre la costruzione di altri edifici, per un totale di nove strutture fra cui una cappella delle reliquie, una grande sala per la meditazione, una galleria d’arte e un monastero.
La fine dei lavori non avverrà prima del 2070. Impossibile dunque, per Chalermchai Kositpipat, vedere ultimata la sua opera, ma questo dettaglio non lo scoraggia. Per lui, il tempio di Wat Rong Khun è il capolavoro che gli garantirà l’immortalità: “soltanto la morte potrà interrompere il mio sogno, ma non fermerà il mio progetto“.

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I Templi dell’Umanità

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Il primo piccone colpì la roccia in una calda notte di agosto. Era una sera di sabato, nel 1978. […]
Cadde una stella nel cielo, grande e luminosa, che lasciò dietro di sé una striscia ben visibile di polvere dorata che ricadde sulla Terra.
Tutti pensarono che fosse un buon segno, e Oberto disse che in effetti indicava il momento perfetto per iniziare a scavare un Tempio, come quelli che da migliaia di anni non esistevano più. Si sarebbe fatto tutto grazie alla volontà e al lavoro delle mani…

Questo, secondo il racconto ufficiale, è l’inizio della straordinaria impresa portata avanti in gran segreto dai damanhuriani.

Damanhur è una cittadina egizia che sorge sul Delta del Nilo, e il suo nome significa “Città di Horus“, dal tempio che vi sorgeva dedicato alla divinità falco. I damanhuriani di cui stiamo parlando però non sono affatto egiziani, bensì italiani. Quell’Oberto che interpreta la stella cadente come buon auspicio è la loro guida spirituale, e (forse proprio in onore di Horus) a partire dal 1983 si farà chiamare Falco.

Gli anni ’70 in Italia vedono fiorire l’interesse per l’occulto, l’esoterismo, il paranormale, e per le medicine alternative: si comincia a parlare per la prima volta di pranoterapia, viaggi astrali (oggi si preferisce l’acronimo OBE), chakra, pietre e cristalli curativi, riflessologia, e tutta una serie di discipline mistico-meditative volte alla crescita spirituale – o, almeno, all’eliminazione delle cosiddette “energie negative”. Immaginate quanto entusiasmo potesse portare allora tutto questo colorato esotismo in un paese come il nostro, che non aveva mai potuto o voluto pensare a qualcosa di diverso dal millenario, risaputo Cattolicesimo.

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Oberto Airaudi, classe 1950, ex broker con una propria agenzia di assicurazioni, è da subito affascinato da questa nuova visione del mondo, tanto da cominciare a sviluppare le sue tecniche personali. Fonda quindi nel 1975 il Centro Horus, dove insegna e tiene seminari; nel 1977 acquista dei terreni nell’alto Canavese e fonda la prima comunità basata sulla sua concezione degli uomini come frammenti di un unico, grande specchio infranto in cui si riflette il volto di Dio. Nella città-stato di Damanhur, infatti, dovrà vigere un’assoluta uguaglianza in cui ciascuno possa contribuire alla crescita e all’evoluzione dell’intera umanità. Damanhur inoltre dovrà essere ecologica, sostenibile, avere una particolare struttura sociale, una Costituzione, perfino una propria moneta.
E un suo Tempio sotterraneo, maestoso e unico.

Così nel 1978, in piena Valchiusella, a 50 km da Torino, Falco e adepti cominciarono a scavare nel fianco della montagna – ovviamente facendo ben attenzione che la voce non si spargesse in giro, poiché non c’erano autorizzazioni né permessi urbanistici. Dopo un paio di mesi avevano completato la prima, piccola nicchia nella roccia, un luogo di ritiro e raccoglimento per meditare a contatto con la terra. Ma il programma era molto più ambizioso e complesso, e per anni i lavori continuarono mentre la comunità cresceva accogliendo nuovi membri. L’insediamento ben presto incluse boschi, aree coltivate, zone residenziali e un centinaio di abitazioni private, laboratori artistici, atelier artigianali, aziende e fattorie.

Il 3 luglio del 1992, allertati da alcune segnalazioni che parlavano di un tempio abusivo costruito nella montagna, i Carabinieri accompagnati dal Procuratore di Ivrea eseguirono l’ispezione di Damanhur. Quando infine giunsero ad esaminare la struttura ipogea, si trovarono di fronte a qualcosa di davvero incredibile.

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Corridoi, vetrate, specchi, pavimenti decorati, mosaici, pareti affrescate: i “Templi dell’Umanità”, così Airaudi li aveva chiamati, si snodavano come un labirinto a più piani nelle viscere della terra. I cinque livelli sotterranei scendevano fino a 72 metri di profondità, l’equivalente di un palazzo di venti piani. Sette sale simboliche, ispirate ad altrettante presunte “stanze interiori” dello spirito, si aprivano al visitatore lungo un percorso iniziatico-sapienziale, in un tripudio di colori e dettagli ora naif, ora barocchi, nel più puro stile New Age.

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I damanhuriani cominciarono quindi una lunga battaglia con le autorità, per cercare di revocare l’ordine di demolizione per abusivismo e nel 1996, grazie all’interessamento della Soprintendenza, il governo italiano sancì la legalizzazione del sito. Ormai però il segreto era stato rivelato, così i damanhuriani cominciarono a permettere visite controllate e limitate agli ambienti sacri. Nel 2001 il complesso di templi vinse il Guinness World Record per il tempio ipogeo più grande del mondo.

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Ma perché tenere nascosta questa opera titanica? Perché costruirla per quasi quindici anni nel più completo riserbo?

In parte propaggine del sogno hippie, l’idilliaca società di Damanhur proietta un’immagine di sé ecologica, umanistica, spirituale ma, nella realtà, potrebbe nascondere una faccia ben più cupa. Secondo l’Osservatorio Nazionale Abusi Psicologici, infatti, quella damanhuriana non sarebbe altro che una vera e propria setta; opinione condivisa da molti ex aderenti alla comunità, che hanno raccontato la loro esperienza di vita all’interno del gruppo in toni tutt’altro che utopistici.

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La storia delle sette ci insegna che i metodi utilizzati per controllare e plagiare gli adepti sono in verità pochi – sempre gli stessi, ricorrenti indipendentemente dalla latitudine o dalle epoche. La manipolazione avviene innanzitutto tagliando ogni ponte con l’esterno (familiari, amici, colleghi, ecc.): la setta deve bastare a se stessa, chiudersi attorno agli adepti. In questo senso vanno interpretati tutti quegli elementi che concorrono a far sentire speciali gli appartenenti al gruppo, a far loro condividere qualcosa che “gli altri, là fuori, non potranno mai capire”.

Almeno a un occhio esterno, Damanhur certamente mostra diversi tratti di questo tipo. Orgogliosamente autosufficiente, la comunità ha istituito addirittura una valuta complementare, cioè una moneta valida esclusivamente al suo interno (e che pone non pochi problemi a chi, dopo anni di lavoro retribuito in “crediti damanhuriani”, desidera fare ritorno al mondo esterno).

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Inoltre, a sottolineare la nuova identità che si assume entrando a far parte della collettività di Damanhur, ogni proselito sceglie il proprio nome, ispirandosi alla natura: un primo appellativo è mutuato da un animale o da uno spirito dei boschi, il secondo da una pianta. Così, sbirciando sul sito ufficiale, vi potete imbattere in personaggi come ad esempio Cormorano Sicomoro, avvocato, oppure Stambecco Pesco, scrittore con vari libri all’attivo e felicemente sposato con Furetto Pesca.

Oberto Airaudi, oltre ad aver operato le classiche guarigioni miracolose, ha soprattutto insegnato ai suoi accoliti delle tecniche di meditazione particolari, forgiato nuove mitologie ed elaborato una propria cosmogonia. Poco importa se a un occhio meno incline a mistici entusiasmi il tutto sembri un’accozzaglia di elementi risaputi ed eterogenei, un sincretico potpourri che senza scrupoli mescola reincarnazione, alchimia, cromoterapia, tarocchi, oracoli, Atlantide, gli Inca, i riti pagani, le correnti energetiche, i pentacoli, gli alieni… e chi più ne ha più ne metta.

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In questo senso è evidente come il Tempio dell’Umanità possa aver rappresentato un tassello fondamentale, un aggregatore eccezionale. Non soltanto i damanhuriani condividevano tra loro la stessa visione del mondo, ma erano anche esclusivi depositari del segreto di un’impresa esaltante – un lavoro non unicamente spirituale o di valore simbolico, ma concreto e tangibile.
Inoltre la costruzione degli spazi sacri sotterranei potrebbe aver contribuito ad alimentare la cosiddetta “sindrome dell’assedio”, vale a dire l’odio e la paura per i “nemici” che minacciano continuamente la setta dall’esterno. Ecco che le autorità, anche quando stavano semplicemente applicando la legge nei confronti di un’opera edilizia abusiva, potevano assumere agli occhi degli adepti il ruolo di osteggiatori ciechi alla bellezza spirituale, gretti e malvagi antagonisti degli “eletti” che invece facevano parte della comunità.

È nostra consuetudine, in queste pagine, cercare il più possibile di lasciare le conclusioni a chi legge. Risulta però difficile, con tutta la buona volontà, ignorare i segnali che arrivano dalla cronaca. Se non fosse per l’eccezionale costruzione dei Templi dell’Umanità, infatti, il copione che riguarda Damanhur sarebbe lo stesso che si ripete per quasi ogni setta: ex-membri che denunciano presunte pressioni psicologiche, manipolazioni o abusi; famigliari che lamentano la “perdita” dei propri cari nelle spire dell’organizzazione; e, in tutto questo, il guru che si sposta in elicottero, finisce indagato per evasione ed è costretto a versare un milione e centomila euro abbondanti al Fisco.

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Il controverso Oberto Airaudi, alias Falco, è morto dopo una breve malattia nel 2013. Tutto si può dire di lui, ma non che gli mancasse il dono dell’immaginazione.
Il suo progetto dei Templi dell’Umanità, infatti, non è ancora finito. La struttura esistente non rappresenta che il 10% dell’opera completa. Ma i damanhuriani stanno già pensando al futuro, e a una nuova formidabile impresa:

È importante che i rappresentanti di popoli e culture si incontrino in luoghi speciali, capaci di creare un effetto di risonanza sul pianeta. I cittadini di Damanhur, che stanno creando un nuovo popolo, si sono impegnati a costruire uno di questi “centri nervosi spirituali”, che hanno chiamato “il Tempio dei Popoli”.
In questo luogo sacro, tutti i piccoli popoli potranno incontrarsi per dare vita a un parlamento spirituale […] Come i Templi dell’Umanità, il Tempio dei Popoli sarà all’interno della terra, in un luogo di incontro di Linee Sincroniche, perché non è un edificio per impressionare gli esseri umani – come i palazzi del potere delle nazioni – ma deve essere una dimostrazione del cambiamento, della volontà e delle capacità umane alle Forze della Terra.

Le donazioni sono ovviamente ben accette e, riguardo alla possibilità di detrazione fiscale, è possibile chiedere informazioni alla responsabile. Che, lo confessiamo, porta (assieme all’avv. Cormorano Sicomoro) il nostro nome damanhuriano preferito: Otaria Palma.

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Potete fare un tour virtuale all’interno dei Templi dell’Umanità a questo indirizzo.
Il sito del CESAP (Centro Studi Abusi Psicologici) ospita una esauriente serie di articoli su Damanhur, e in rete è facile trovare informazioni riguardo alle caratteristiche settarie della comunità; se invece volete sentire la campana dei damanhuriani, potete dare un’occhiata al sito personale di Stambecco Pesco oppure dirigervi direttamente al sito ufficiale di Damanhur.

Il Tempio delle Torture

Wat Phai Rong Wua.

Se visitate la Thailandia, ricordatevi questo nome. Si tratta di un luogo sacro, unico e assolutamente weird, almeno agli occhi di un occidentale. Tempio buddista, mèta annuale di migliaia di famiglie, è celebre per ospitare la più grande scultura metallica del Buddha. Ma non è questo che ci interessa. È famoso anche per il suo Palazzo delle Cento Spire, ma nemmeno questo ci interessa. Quello che segnaliamo qui sono le dozzine di figure e complessi statuari che descrivono torture e sevizie riservate dai demoni dell’inferno alle anime in pena.

Infilzate in faccia, o intrappolate nelle fauci di orrendi mostri, con le interiora esposte, trafitte da spade e lance, queste sculture lasciano ben poco all’immaginazione: se non diciamo le preghierine alla sera, non ce la passeremo tanto bene nell’aldilà. Questo macabro e violentissimo “parco di attrazioni” ha per i fedeli un valore educativo. È una visualizzazione grafica e figurativa della sofferenza e dell’inferno.

Certo, c’è da dire che il rapporto dei thailandesi con la morte è meno travagliato del nostro; eppure, per quanto a prima vista il giardino delle torture di Wat Phai Rong Wua possa sembrare una soluzione estrema per colpire la fantasia dell’uomo illetterato, ricordiamoci che anche le nostre chiese abbondano di dipinti e allegorie non meno violente o macabre. Ormai abituati all’arte del Novecento, che si è man mano astratta dal bisogno di veicolare o avere un significato, ci dimentichiamo facilmente del ruolo avuto anche nella nostra storia dell’arte figurativa: quella di educare le masse, di proporsi come libro illustrato, e di servire quindi alla formazione di un immaginario anche per quanto riguarda i mondi a venire.

Scoperto via Oddity Central.