Death and Broken Cups

This article originally appeared on The Order of the Good Death. I have already written, here and here, about the death positive movement, to which this post is meant as a small contribution.

___________

As soon as the grave is filled in, acorns should be planted over it, so that new trees will grow out of it later, and the wood will be as thick as it was before. All traces of my grave shall vanish from the face of the earth, as I flatter myself that my memory will vanish from the minds of men”.

This passage from the will of the Marquis de Sade has always struck a chord with me. Of course, he penned it as his last raging, disdainful grimace at mankind, but the very same thought can also be peaceful.
I have always been sensitive to the poetic, somewhat romantic fantasy of the taoist or buddhist monk retiring on his pretty little mountain, alone, to get ready for death. In my younger days, I thought dying meant leaving the world behind, and that it carried no responsibility. In fact, it was supposed to finally free me of all responsibility. My death belonged only to me.
An intimate, sacred, wondrous experience I would try my best to face with curiosity.
Impermanence? Vanishing “from the minds of men”? Who cares. If my ego is transient like everything else, that’s actually no big deal. Let me go, people, once and for all.
In my mind, the important thing was focusing on my own death. To train. To prepare.

I want my death to be delicate, quiet, discreet”, I would write in my diary.
I’d prefer to walk away tiptoe, as not to disturb anyone. Without leaving any trace of my passage”.

Unfortunately, I am now well aware it won’t happen this way, and I shall be denied the sweet comfort of being swiftly forgotten.
I have spent most of my time domesticating death – inviting it into my home, making friends with it, understanding it – and now I find the only thing I truly fear about my own demise is the heartbreak it will inevitably cause. It’s the other side of loving and being loved: death will hurt, it will come at the cost of wounding and scarring the people I cherish the most.

Dying is never just a private thing, it’s about others.
And you can feel comfortable, ready, at peace, but to look for a “good” death means to help your loved ones prepare too. If only there was a simple way.

The thing is, we all endure many little deaths.
Places can die: we come back to the playground we used to run around as kids, and now it’s gone, swallowed up by a hideous gas station.
The melancholy of not being allowed to kiss for the first time once again.
We’ve ached for the death of our dreams, of our relationships, of our own youth, of the exciting time when every evening out with our best friends felt like a new adventure. All these things are gone forever.
And we have experienced even smaller deaths, like our favorite mug tumbling to the floor one day, and breaking into pieces.

It’s the same feeling every time, as if something was irremediably lost. We look at the fragments of the broken mug, and we know that even if we tried to glue them together, it wouldn’t be the same cup anymore. We can still see its image in our mind, remember what it was like, but know it will never be whole again.

I have sometimes come across the idea that when you lose someone, the pain can never go away; but if you learn to accept it you can still go on living. That’s not enough, though.
I think we need to embrace grief, rather than just accepting it, we need to make it valuable. It sounds weird, because pain is a new taboo, and we live in a world that keeps on telling us that suffering has no value. We’re always devising painkillers for any kind of aching. But sorrow is the other side of love, and it shapes us, defines us and makes us unique.

For centuries in Japan potters have been taking broken bowls and cups, just like our fallen mug, and mending them with lacquer and powdered gold, a technique called kintsugi. When the object is reassembled, the golden cracks – forming such a singular decoration, impossible to duplicate – become its real quality. Scars transform a common bowl into a treasure.

I would like my death to be delicate, quiet, discreet.
I would prefer to walk away tiptoe, as not to disturb anyone, and tell my dear ones: don’t be afraid.

You think the cup is broken, but sorrow is the other side of love, it proves that you have loved. And it is a golden lacquer which can be used to put the pieces together.
Here, look at this splinter: this is that winter night we spent playing the blues before the fireplace, snow outside the window and mulled wine in our glasses.
Take this other one: this is when I told you I’d decided to quit my job, and you said go ahead, I’m on your side.
This piece is when you were depressed, and I dragged you out and took you down to the beach to see the eclipse.
This piece is when I told you I was in love with you.

We all have a kintsugi heart.
Grief is affection, we can use it to keep the splinters together, and turn them into a jewel. Even more beautiful than before.
As Tom Waits put it, “all that you’ve loved, is all you own“.

Gesù Cristo in Giappone

Tutti conosciamo la storia ufficiale: Gesù di Nazaret visse 33 anni, morì crocifisso sul Calvario, giustiziato dai Romani sotto pressioni delle autorità ebraiche e, per chi è credente, risorse dalla tomba dopo tre giorni.
In seguito vennero gli immaginifici Baigent, Leigh e Lincoln che nel loro saggio Il santo Graal raccontavano di come Cristo fosse in realtà sfuggito alla condanna, fosse emigrato in Francia, avesse sposato Maria Maddalena e fondato la stirpe dei Merovingi (“la loro malafede è così evidente che il lettore vaccinato può divertirsi come se facesse un gioco di ruolo“, ebbe a dire al riguardo Umberto Eco). Se conoscete anche questa versione, ci sono buone possibilità che l’abbiate scoperta grazie al best-seller di Dan Brown, Il Codice Da Vinci, che pescava a piene mani dal controverso saggio fantastorico dei tre autori inglesi.

Ma la nostra variante preferita della storia del Messia è quella che lo vede sbarcare sulle coste giapponesi e ritirarsi con moglie e figli in uno sperduto villaggio montano, a coltivare aglio fino all’età di 118 anni.

Il pittoresco paesino di Shingo (prefettura di Aomori), meno di 3.000 anime, è immerso nella natura, ed è conosciuto soltanto per tre specialità: lo yogurt, il delizioso aglio locale e la tomba di Gesù Cristo.

Il Nazareno, infatti, secondo la leggenda sarebbe arrivato in Giappone quando aveva 21 anni, per completare la sua formazione teologica (era evidentemente interessato allo studio delle religioni comparate); tornato a Gerusalemme, all’età di 33 anni… riuscì a far crocifiggere suo fratello al suo posto.
Per inciso, anche suo fratello Isukuri (traducibile in italiano all’incirca come “Esù Cri“) è sepolto a Shingo, o almeno il suo orecchio.
Confusi? Procediamo per ordine.

La tomba di Gesù.

deux_tombes

La tomba di Esù.

Il Festival di Cristo.

La tomba esiste, e attira ogni anno circa 10.000 visitatori. Vi si tiene perfino un Festival di Cristo – anche se, a onor del vero, si tratta di una cerimonia shintoista a “tema” cristiano. Vicino alla tomba di Gesù (e di suo fratello Esù) c’è un piccolo museo che chiarisce la vicenda. Nelle brochure turistiche si può leggere l’intera storia:

Quando aveva 21 anni, Gesù Cristo venne in Giappone e studiò teologia per 12 anni. Tornò in Giudea all’età di 33 anni per predicare, ma la gente di laggiù rifiutò i Suoi insegnamenti e Lo arrestò per crocifiggerlo.
Nonostante questo, fu Suo fratello minore Isukuri (イスキリ) che casualmente prese il Suo posto e finì la sua vita in croce. Gesù Cristo, essendo sfuggito alla crocifissione, ricominciò i Suoi viaggi e finalmente tornò in Giappone, e si stabilì in questo villaggio, Herai, dove visse fino all’età di 106 anni (Nota: altre versioni fanno menzione dell’età di 118 anni e del nome di sua moglie, Miyu).
In questo sacro luogo, la tomba sulla destra è dedicata a Gesù Cristo, mentre la tomba a sinistra commemora suo fratello, Isukuri. Tutto questo è scritto nel testamento di Gesù Cristo.

Enjoy Coca-Cola.

Interno del museo.

Il testamento giapponese di Gesù.

Il testamento, redatto di suo pugno dal Messia stesso, è consultabile nel museo, anche se si tratta di una copia dato che l’originale è andato purtroppo perduto in un bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale. Fa parte della serie di antichi documenti che il famoso ricercatore Kyomaro Takeuchi ha scoperto nel 1935: da queste carte risulta inoltre che i proprietari del terreno su cui sorge la tomba, la famiglia Sawaguchi, sono i veri e propri discendenti di Gesù Cristo.

D’altronde, i Sawaguchi non sono forse più alti della media, con il naso più allungato della media, e con la pelle più chiara della media? Lo stemma dei Sawaguchi non ricorda forse una stella di David a cui manca una punta? E il signor Sawaguchi non ha un profilo particolarmente occidentale, e anche piuttosto familiare?

Il signor Sawaguchi in posa romana.

Lo stemma araldico dei Sawaguchi.

Esterno del museo con stemma.

Ci sono altri lampanti indizi che indicano la presenza storica di Gesù Cristo in questi luoghi. Per esempio, l’usanza di disegnare una croce sulla fronte dei neonati in segno di buon augurio. E, ancora, una filastrocca che tuttora si canta in paese, ma di cui nessuno conosce il senso:

Naniyaa dorayayo (ナニヤアドラヤヨ)
Naniyaa donasare inokie (ナニヤアドナサレイノキエ)
Naniyaa doyarayo (ナニヤアドラヤヨ)

Visto che questo non è giapponese, si è perso il significato originario delle parole. Ma quel nasare al centro del secondo verso ricorda in maniera sospetta il nome della città di Nazaret.
Altri indizi: il villaggio di Shingo un tempo si chiamava Herai, che forse deriva da Hebrai, quindi probabilmente l’insediamento originale era costituito da ebrei. Se questo non bastasse, il costume tradizionale locale presenta una sconvolgente somiglianza con il tipico completo ebraico.

Insomma, la faccenda è seria, e con tutta questa abbondanza di prove inconfutabili risulta evidente che la tomba di Gesù Cristo è davvero autentica. Qualche dubbio rimane su quella di suo fratello, ma secondo alcune fonti lì sarebbe sepolto soltanto il suo orecchio, tagliato dalle guardie romane e conservato da Gesù come souvenir.

E, come souvenir, i visitatori del gift shop del museo possono portarsi a casa una tazza da tè con le parole della misteriosa canzoncina locale.
O un barattolo di gelato all’aglio per scacciare i vampiri.
O il sakè di Cristo.
O una foto ricordo nei panni della Sacra Famiglia, versione nipponica.

Chawan (tazza da tè) di Gesù.

Gelato all’aglio “Dracula”.

Sakè di Cristo.

Cheese! Alleluja!

Incredibile come, anche di fronte all’evidenza, non manchino i soliti scettici, impegnati a sostenere che si tratti solo di una bufala messa in piedi dalla famiglia Sawaguchi con il consenso del Comune, al fine di attirare un po’ di turismo.

Alcuni cinici arrivano perfino a mettere in discussione il ritrovamento, a 3 chilometri dalla tomba di Gesù Cristo, di due piramidi più antiche di quelle egiziane o messicane, scoperte sempre nel 1935, sempre dal famoso ricercatore Kyomaro Takeuchi, e sempre sul terreno di proprietà dei Sawaguchi.

Ma, si sa, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

La Piramide del Dio della Grande Roccia, e la Piramide Superiore del Dio della Grande Roccia.

Una roccia recante delle antichissime e misteriose iscrizioni. Il cartello spiega che purtroppo la roccia è caduta proprio sul lato delle incisioni, che quindi non si possono ammirare. Che sfortuna.

L’incredibile Piramide di Shingo.

Donare il proprio corpo alla scienza

Siamo restii, qui su Bizzarro Bazar, a pubblicare notizie di attualità, tanto meno di politica. Facciamo uno strappo alla regola per un’iniziativa che ha in qualche modo a che vedere con alcuni degli argomenti affrontati spesso su questo blog. Sembra che finalmente anche in Italia si stia dibattendo una proposta bipartisan per un tipo di donazione che tuttora nel nostro paese non è consentita. Da un’ANSA di Silvia Gasparetto:

Disporre che il proprio corpo, dopo la morte, finisca sul tavolo operatorio delle facoltà di medicina, per preparare i buoni chirurghi del futuro, prima di essere restituito ai familiari, in condizioni ”civili e rispettose della dignità ”. È la nuova normativa (4 i progetti di legge presentati finora) su cui sta lavorando la commissione Affari Sociali della Camera, per regolamentare e promuovere la donazione della propria salma alla scienza, visto che la pratica della ”dissezione di cadavere” è attualmente in disuso, nonostante all’unanimità le società scientifiche ritengano che sia ”insostituibile”.

L’ipotesi al vaglio è quella della ”donazione volontaria” e che ha come linea guida, sottolinea il relatore, Gero Grassi, ”il rispetto totale e la dignità del corpo, anche se morto”. I vincoli, infatti, saranno quelli ”dell’integrità della salma” e della sua ”riconsegna” alle famiglie, una volta terminati gli studi. […]

Sarà, insomma, un nuovo testamento, che non dovrebbe trovare, però, intoppi nel suo cammino parlamentare, visto che le proposte arrivate all’attenzione dei deputati sono firmate da quasi tutti i gruppi e che si è registrata, nelle prime sedute sull’argomento, una volontà ‘bipartisan’ di andare incontro alle esigenze del mondo scientifico. […]

Ecco la notizia completa.