Francesco è un nostro affezionato lettore, e una delle migliori amicizie di penna che abbiamo avuto la fortuna di instaurare grazie a questo blog. Giovane, brillante, simpatico – in breve, una persona piena di idee interessanti. Un esempio: sei mesi fa, Francesco decide di tagliarsi i capelli, fino ad allora molto lunghi, e questo fatto che per qualsiasi altra persona sarebbe tutto sommato banale e scontato, diventa per lui un vero e proprio atto magico, un’occasione per instillare un po’ di meraviglia nella sua vita: invece di farli spazzolare via dal pavimento come rifiuti, decide di donare i propri capelli alla Banca dei Capelli, un’associazione che si occupa di fabbricare parrucche per i malati di cancro. “È strano pensare come questa persona, che non conosco, porterà in testa ogni giorno una parte così intima, in fondo, di me. Qualcuno avrà accanto a sé ben sei anni di emozioni e ricordi, e fra quelle ciocche tesserà anche il suo futuro di speranza. Saranno non solo un oggetto d’uso, ma una muta consolazione, una carezza a distanza ad uno sconosciuto”.
Francesco è una persona affascinante, e non vi abbiamo ancora detto tutto.
Francesco è biologicamente una femmina di nome Silvia.
Potrebbe sembrare che “siamo tutti uguali” oppure “siamo tutti differenti” siano due espressioni il cui risultato in fondo non cambia, eppure qui su Bizzarro Bazar abbiamo sempre dato più valore alla seconda. Sono le visioni alternative, le esperienze non conformi, le vite non allineate che stimolano la nostra ricerca (oltre a cambiare veramente le cose, visto che spesso sono proprio le minoranze che fanno la storia).
Abbiamo quindi deciso di approfondire la strana condizione di chi ogni giorno deve fare i conti con un corpo in cui non si riconosce: Francesco ha accettato di rispondere al fuoco di fila delle nostre domande. La doverosa premessa è che il nostro interlocutore si definisce gender-fluid, vale a dire che non si sente strettamente transessuale ma piuttosto un mix dinamico di elementi di entrambi i generi sessuali al tempo stesso (da questo il suo peculiare uso intercambiabile di pronomi e aggettivi maschili/femminili).
Quando si sono manifestati i primi turbamenti della sfera identitaria? Come e in che modo hai cominciato a comprendere che eri in parte estraneo al tuo genere biologico di nascita? Quali conseguenze pratiche (di socializzazione, di integrazione, di autoimmagine) ha comportato all’inizio? Che rapporto avevi con il tuo corpo durante la pubertà?
Io sono nata in un paese veramente piccolo: le conseguenze dei pettegolezzi e delle aspettative sono facili da immaginare. Ci sono state persone tanto invidiose della mia nascita da femmina da odiarmi.
La prima volta che ho avvertito il disagio di essere qualcosa che non mi corrispondeva è stato quando, in terza elementare mi sono dovuto confrontare per la prima volta con la guerra “maschietti contro femminucce”.
I maschi hanno cominciato ad evitarmi, ad accomunarmi alle bambine, a pretendere (insieme agli adulti) che io mi conformassi a loro ed ai loro giochi: a me non interessava, non volevo, l’ho fatto a forza per sembrare normale.
Non volevo mettere la gonna per uscire, non volevo imparare a truccarmi per essere bella anche se mi piaceva farlo per giocare. Ho provato per anni e anni a conformarmi, ma… non era semplicemente possibile farlo. Anche vestita da donna, sembravo (e sembro) una specie di mostro, qualcosa che non veste la sua vera pelle. Sembrare normale è la cosa che cerco di combattere ora: sono ossessionata dallo sguardo onnipresente e giudicante del mondo.
Poi a 14 anni ho provato a giocare con i vestiti da uomo e, beh, è stata una scoperta incredibile. Ci stavo bene, in un modo sorprendente. Solo adesso, che sono molto più grande, ho capito che quello non era un semplice cambio d’abito.
Credi che vi sia nel tuo caso un qualche tipo di rapporto fra il genere che avverti come tuo, e il tuo orientamento sessuale?
Non esattamente. Mi ha creato e mi crea problemi, questo sì. La mia omosessualità (in realtà sono bisessuale, ma caso ha voluto che ultimamente abbia avuto solo compagne donne) è stata una specie di trauma.
Tutt’oggi sono in terapia per gli attacchi di panico, per il terrore, che mi provoca anche solo ammettere che mi piacciano le donne… figurarsi il resto.
Il fatto che io sia poi gender-fluid peggiora la situazione: ti porta a pensare che non sarai mai abbastanza per una persona. Chi vorrebbe stare con un ibrido che non è né uomo né donna?
L’androgino o l’ermafrodito sono figure simboliche estremamente potenti (certo, potresti dirmi che c’è differenza fra la simbologia e la vita pratica e quotidiana; ma non ne sono così convinto). Tu ti vedi davvero come “un ibrido che non è né uomo né donna”, oppure potresti pensarti positivamente come un ibrido che è sia uomo che donna?
Dipende dalle giornate. Ci sono volte in cui mi vedo in modo molto positivo, in cui mi sento parte della bellezza del tutto. In quei momenti mi sento un essere completo e felice, ma più spesso…
Più spesso è soltanto doloroso, perché non è facile capirsi, perché semplicemente non sono un ermafrodito perfetto quindi ci sono cose che mi sono precluse dal mio stesso corpo. È come essere spezzati. Mi ci è voluto tempo per comprendere che non si trattava di doppia personalità o qualcosa di simile: Francesco e Silvia non sono due entità separate, ma una sfumatura di colore che va dall’una all’altro.
Come gestisci il divario (se c’è) fra il privato e l’immagine che di te hanno gli altri?
Lo sto affrontando da quando mi sono trasferito: ora riesco a vestirmi come voglio (che non vuol necessariamente dire sempre da uomo, anzi; il mio stile è maglione sformato, jeans e scarpa da ginnastica), a parlare e a comportarmi come voglio.
Attualmente, per quanto riguarda il fisico, sto lavorando un po’ di più: la mia forma non mi permette di fingermi facilmente un ragazzo. Dopo un mese di pianti (l’ho già detto che sono pauroso?), ho comprato un binder (un accessorio simile a una canottiera che serve per modellare il petto) ed i miei primi veri vestiti da uomo. Ho tagliato i capelli proprio per non dover indossare una parrucca… e per sentirmi più me stesso.
Al lavoro e in famiglia mi chiamano tutti Silvia, ma i miei amici e talvolta anche altre persone mi chiamano col mio nome maschile, Francesco, e alcuni usano anche (per rispetto) il maschile per parlare. Per me il genere è indifferente, anche se mi piacerebbe che ci fosse un neutro o un modo per non doverlo specificare, come in inglese.
I movimenti LGBT, le lotte sociali, ti interessano oppure, pur riconoscendone l’importanza, sei uno di quelli che preferisce mantenere certe questioni nel privato?
Credo che il modo migliore di combattere sia far vedere al mondo che circonda me cosa voglia dire la vera felicità e la normalità della mia vita.
Alcune culture non distinguevano soltanto due generi sessuali, come la nostra, ma ne contemplavano un terzo, una via di mezzo fra i due principali, che spesso veniva considerato sacro: hai sentito o senti la nostra società come un peso oppressivo?
Sì, decisamente, perché tutti ti chiedono di scegliere. Io invece… non credo di voler MAI scegliere. Non ho bisogno di farlo, non ne provo il desiderio. Sono una via di mezzo e trovo SPLENDIDE le vie di mezzo come me. Un ragazzo con la gonna, un Kathoey, una ragazza vestita da uomo o meglio ancora un androgino/a sono quanto di più bello io possa contemplare.
Questa è una realizzazione degli ultimi mesi: finalmente ho capito che, se gli altri scelgono (per così dire) un ruolo preciso, non lo devo per forza fare anch’io.
Nella vita di tutti i giorni, in fondo, i caratteri sessuali non sono così definiti: anche le donne hanno i baffi, gli uomini possono avere il seno, i peli crescono anche sulla pelle femminile, così come gli uomini in molte culture si truccano. È troppo facile dividere tutto con una riga netta, senza la minima sfumatura.
Amici, parenti, genitori: come hanno affrontato la cosa, e come si è evoluta la loro posizione nel tempo? Come vivi oggi la tua condizione e quali progetti hai per il futuro (“piccole” e “grandi soluzioni” incluse, ma non solo)?
La maggioranza non sa della mia condizione. Questo a volte mi fa star male, perché vengono dette piccole cose (come insinuare che fingo, o chiedermi costantemente di prendere una decisione, di avere un figlio, di adeguarmi o rassegnarmi al fatto che io sia solo donna e che non possa essere altrimenti) che mi feriscono a fondo.
È anche vero che non posso biasimarli. Non è un modo di vivere che conoscono, non possono capire cosa si provi. Non è colpa loro, se mi feriscono.
Per il momento solo la mia compagna e alcune amiche sanno di me. Hanno avuto reazioni molto diverse, ma sostanzialmente tutte e tre dicono la medesima cosa: sii quello che ti senti. Sono la mia forza per combattere la paura. Parlarne è già un modo di sconfiggerla e cercare di andare oltre.
Attualmente la vivo con meno disagio rispetto a prima: qui posso anche infilarmi i vestiti da uomo e uscire, perfino parlare al maschile, nessuno osa dirmi nulla. Sul sesso (inteso come rapporto fra le coperte) ho ancora molti dubbi, molte paure.
Vorrei semplicemente continuare a capirmi, sconfiggere il terrore, operarmi e… beh, essere ME.
Aspetta un secondo… “operarmi”? Hai appena detto che non vuoi scegliere, che vorresti rimanere per sempre una “via di mezzo”…
Vorrei farmi sistemare il seno. È veramente di troppo per me, e qualunque cosa io faccia al proposito falsa la mia impressione sugli altri. Per i fianchi larghi, il sedere e la pancia posso anche soprassedere o al limite lavorarci dimagrendo e andando in palestra, per questo maledetto seno non posso fare nulla se non operarmi. Il problema è che, come saprai, queste operazioni sono abbastanza pericolose, hanno una degenza lunga, costano molto e se non sono eseguite bene il risultato è spesso deludente. Vorrei sostanzialmente adeguare il mio aspetto a me stesso… e poi si vedrà. Non credo di avere la necessità (né la voglia) di operarmi anche ai genitali.
Mi hai confidato che sei credente: Dio, se c’è, ti ha fatto un’ingiustizia o un regalo? La tua è una battaglia o un percorso di crescita? Nasciamo e moriamo su questo piccolo pianeta: c’è una risposta che sei riuscito a darti, sul perché nello schema delle cose ti sia capitata questa strana avventura?
Non credo che Dio abbia deciso di farmi soffrire. E lo dico semplicemente perché, da credente, SO che è un essere che mi ama, qualunque sia la sua forma, il suo nome, il suo aspetto.
Se mi ha creata così, se mi ha messa in questo corpo, c’è una ragione. Gli chiedo spesso perché l’abbia fatto proprio con me, ma in definitiva le mie domande a Lui non sono di solito riferite a me stessa: mi ritengo una persona molto fortunata.
Non credo neppure, dal momento che sono cattolico, che mi odi per come vivo. È stata certamente una cosa che mi ha molto pregiudicato, e lo fa tutt’ora. Io non mi cambio con le donne negli spogliatoi, né accarezzo bambini, perché, purtroppo, mi vedo come un germe contagioso. Non voglio rischiare di infettarli, anche se razionalmente so che, beh, sono solo un po’ sfasato.
Sì, è vero, ho dei problemi, ma non sono nulla di paragonabile al dolore che provano altri: non so cosa sia la fame, non so cosa sia la paura, né ho provato la guerra, nessuno mi ha mai fatto del male (consapevolmente).
Dio ha messo sulla mia strada le persone più belle che io abbia mai visto, e di questo e di molto altro posso essere grato: mi ha regalato un mondo che è talmente pieno di bellezza, amore e sogni, che sono fortunato anche solo a poterlo gustare.