La Contessa sanguinaria

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Articolo a cura della nostra guestblogger Veronica Pagnani

Erzsébet Báthory nacque nel 1560 a Nyírbátor, nell’odierna Ungheria, ma trascorse i primi anni della sua infanzia nella proprietà di famiglia in Transilvania. Meglio nota come Contessa Dracula o Contessa Sanguinaria, è considerata la più feroce e famosa assassina seriale in Ungheria ed in Slovacchia, con un numero di vittime che oscillerebbe da 100 a 300, tra accertate e sospette. I testimoni vociferavano anche di un certo diario, appartenuto alla contessa, in cui sarebbero trascritti minuziosamente i nomi di ben 650 vittime, il che la renderebbe la più prolifica serial killer di sempre, anche se gli storici sono soliti sostenere la prima stima di circa 300 vittime. I crimini sarebbero tutti avvenuti fra il 1585 e il 1610.

Erzsébet proveniva dalla nobile famiglia dei Báthory-Ecsed, che poteva vantare nel suo albero genealogico vari eroi di guerra ed addirittura un re di Polonia; ma, anche a causa di vari matrimoni tra consanguinei, molti membri della casata portavano i segni evidenti di disturbi mentali e schizofrenia. La stessa Erzsébet, fin dall’età di sei anni, era solita passare da uno stato di quiete ad uno di folle collera, disordine alimentato anche dai numerosi episodi cruenti a cui era costretta, nonostante la sua giovane età, ad assistere. Vide un giorno dei soldati torturare uno zingaro colpevole di aver venduto i propri figli ai turchi; la condanna consisteva nel tagliare il ventre di un cavallo tenuto fermo tramite delle corde, inserire il condannato nel ventre del cavallo per poi ricucirlo. All’età di 13 anni, poi, incontrò un suo cugino, il principe di Transilvania, il quale davanti ai suoi occhi ordinò di tagliare naso e orecchie a 54 persone colpevoli di aver sostenuto una rivolta di contadini.

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Appena quindicenne sposò Ferenc Nádasdy, anch’egli nobile di nascita e d’indole violenta: il suo passatempo preferito consisteva nel torturare i servi senza però ucciderli, o cospargere di miele una ragazza nuda che veniva poi legata vicino alle arnie di sua proprietà. I due sposi si scambiarono alcune dritte sui metodi di tortura, e a quanto pare Erzsébet, che era ben acculturata sulle tecniche più efficaci, istigò il marito ad alcune feroci pratiche.

Essendo Nádasdy il più delle volte impegnato a combattere contro i turchi, Erzsébet cominciò a frequentare sua zia, la contessa Karla, e a partecipare alle orge da lei stessa organizzate. Nello stesso periodo conobbe Dorkò , una donna che assieme al suo servo Thorko incoraggiò le tendenze sadiche della contessa insegnandole la stregoneria.

Crescendo, sia Erzsébet che suo marito (di circa sei anni più grande di lei) cominciarono a sfogare tutta la loro collera e follia sui servi, i quali, dal canto loro, potevano fare ben poco per difendersi. Molti erano quelli che cercavano di fuggire, ma che spesso venivano recuperati per poi essere torturati selvaggiamente. Nessuna forma di umanità veniva mossa dai due nei confronti dei servi. Si racconta di una donna la quale si rifiutò un giorno di lavorare perché ammalata e i due sposi, sospettosi riguardo a questa presunta malattia, decisero di infilarle tra le dita dei pezzi di carta impregnati d’olio a cui fu poi dato fuoco. Da quel momento furono in pochi quelli che osarono ribellarsi alla loro follia.

In un giorno come tanti, dopo aver schiaffeggiato una serva, Erzsébet notò che, in un punto della sua mano, dove poco prima era caduta una goccia di sangue della poveretta, la sua pelle era come ringiovanita. Corse così immediatamente dagli alchimisti di corte per chiedere delucidazioni riguardo a questo episodio e questi, pur di compiacerla, le diedero ragione spiegandole che già da tempo era stato provato che il sangue delle vergini possedeva queste eccezionali qualità. La contessa si convinse, dunque, che fare abluzioni nel sangue delle vergini (o addirittura berlo) le avrebbe garantito un’eterna giovinezza.

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Per trovare le sue vittime, le quali avrebbero dovuto essere non solo giovani e belle, ma anche del suo stesso status sociale, Erzsèbet istituì nel suo castello un’accademia che, ufficialmente, aveva la funzione di educare le giovani provenienti da famiglie agiate. Col passare del tempo, e con l’aumentare del numero di denunce di scomparsa pervenute alla Chiesa Cattolica, l’imperatore Mattia II intervenne ordinando delle indagini sulla nobildonna. Gli inviati dell’imperatore, che entrarono di nascosto nel castello, colsero Erzsèbet sul fatto; nelle stanze e nelle prigioni vennero ritrovate decine di cadaveri in putrefazione recanti i segni della tortura, e altre ragazze ancora vive con gli arti amputati. A seguito di un rapido processo, Erzsèbet e i suoi fedeli, i quali si resero complici dei crimini efferati, vennero murati vivi nelle loro stanze, con un unico foro per ricevere il cibo, mentre Dorko fu bruciata sul rogo, dopo essere stata incriminata di stregoneria.

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Dopo quasi 500 anni, la storia di Erzsèbet è viva più che mai nei racconti e nelle leggende dell’est europeo, mentre, nel resto del mondo, la sua figura è associata il più delle volte a Vlad III Dracula, proveniente dalla Valacchia, anche se, dopo attenti studi sull’albero genealogico della contessa, di etnia magiara, non è mai stato scoperto alcun antenato romeno.

[Nota: Le penultime due immagini sono tratte da uno degli episodi del film Racconti Immorali (1974) di Walerian Borowczyk, che narra le gesta della contessa sanguinaria.]

La canzone dei suicidi

Articolo a cura della nostra guestblogger Veronica Pagnani

Nel 1933, dopo numerosi e vani tentativi di raggiungere il successo attraverso la musica, Rezső Seress, pianista ungherese autodidatta, venne abbandonato dalla storica compagna a seguito di una furiosa litigata. Seress, colto dallo strazio e dalla frustrazione, decise così di comporre di getto un brano al pianoforte dal titolo Gloomy Sunday (Domenica tetra).

http://www.youtube.com/watch?v=PIOat9w8Mtk

Strano a dirsi, è proprio grazie a questo brano che Rezső finalmente riesce a riscuotere il meritato successo: il 78 giri appena prodotto fa il giro del mondo, e Rezső ormai crede di aver realizzato il suo sogno. Eppure una serie di fatti terribili e al tempo stesso misteriosi gli faranno cambiare idea.


A Berlino, dopo aver chiesto ad un gruppo musicale di suonare Gloomy Sunday, un giovane si spara un colpo di pistola alla testa, non riuscendo a sopportare l’opprimente melodia che ormai ossessionava la sua mente; soltanto sette giorni dopo una commessa, sempre a Berlino, viene ritrovata impiccata nella sua casa: accanto al suo corpo, uno spartito di Gloomy Sunday.

Una giovane donna di New York si suicidò con il gas. Accanto al suo corpo venne ritrovata una lettera in cui chiedeva che Gloomy Sunday venisse suonata al suo funerale.

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Persino a Roma vengono registrati nello stesso periodo casi di suicidio legati alla canzone maledetta: un uomo di 82 anni si butta dalla finestra dopo averla suonata al pianoforte, mentre una ragazza, colta da una profonda angoscia, si getta da un ponte.

Infine una donna, in Gran Bretagna, fu ritrovata morta a causa dei barbiturici dalla polizia allertata dai vicini, che non riuscivano più a sopportare l’alto volume con cui la donna era solita ascoltare la canzone.

I giornali dell’epoca riportano di almeno 19 suicidi legati a Gloomy Sunday. Si è molto discusso riguardo a questi casi di suicidio. Sono infatti molti a pensare che in realtà le indagini siano state truccate o “reinterpretate” dalla stampa, e gran parte delle morti sono difficilmente verificabili. Tuttavia, per scongiurare ulteriori morti e giudicandola deprimente, la BBC nel 1941 decise di non trasmettere la versione del brano interpretata da Billie Holiday, in un periodo già particolarmente triste a causa dei bombardamenti tedeschi.


Ironia della sorte, lo stesso Seress rimase vittima della sua canzone: non essendo mai andato negli Stati Uniti per raccogliere i soldi dei diritti d’autore del suo hit mondiale, trascorse la vita nella povertà e nella depressione, gettandosi infine dalla finestra del suo appartamento a Budapest nel 1968. Sopravvisse alla caduta, ma in ospedale riuscì a strangolarsi a morte con un cavo. Di lì a poco anche la sua amata avrebbe messo fine ai suoi giorni avvelenandosi. La leggenda urbana della “canzone ungherese dei suicidi” aveva avuto una degna conclusione.

Oggi la versione di Seress è forse la meno nota, soppiantata dalle più celebri (e meno deprimenti) versioni di Sarah Brightman, Bjork, Emilie Autumn, l’italiana Norma Bruni, Diamanda Galas, Sam Lewis e, naturalmente, Billie Holiday.

Sarolta Bàn

Sarolta Bàn è un’artista del fotoritocco di 27 anni, di Budapest. Dopo essere stata designer di gioielli, si è dedicata alla fotografia e alla creazione di immagini ritoccate con Photoshop. Per completare uno dei suoi “quadri” le occorrono da poche ore a giorni di lavoro, e oltre 100 livelli diversi per singola immagine.

Le sue opere sono molto surreali, e hanno un’atmosfera magica e sospesa.  “Mi piace usare elementi comuni e, combinandoli, regalare loro varie storie, personalità. Spero che il significato delle mie immagini non sia mai troppo limitato, che resti aperto in qualche modo, così che ogni spettatore lo possa far divenire personale. Sono felice se diverse persone trovano diversi significati nelle mie immagini”.

Lasciatevi conquistare dalle strane e misteriose opere di questa giovane artista ungherese.

Trovate le altre opere sul photostream di Sarolta Bàn sul suo account Flickr.