Il Concilio cadaverico

Questa è la storia del processo post-mortem ad uno dei pontefici più perseguitati della storia, e dimostra come a Roma, tra la metà del IX secolo fino a metà del X secolo, essere papa non fosse certo una passeggiata.

Si trattava di un’epoca turbolenta, la capitale era in mano a diverse potenti famiglie aristocratiche in violenta lotta fra di loro e ognuna cercava con ogni mezzo di installare sullo scranno papale uno dei loro uomini di chiesa, protetti e sostenitori della famiglia in questione. Le rivalità per il potere, gli intrighi e l’efferatezza di queste casate, vista oggi, è certamente stupefacente: riuscivano a far deporre il pontefice in carica, o perfino ad ucciderlo per vendetta contro presunte offese e decisioni a loro sfavorevoli. Dall’872 al 965 si avvicendarono ben 24 papi, 7 dei quali assassinati. Giovanni VIII, ad esempio, venne avvelenato, ma poiché il veleno tardava a fare effetto gli venne fracassato il cranio con un martello. Stefano VIII cadde in un agguato e venne ucciso tramite orribili mutilazioni.
Visto che usualmente il nuovo papa era spalleggiato dalla famiglia nemica del papa precedente, egli spesso si accaniva sul suo predecessore, e ne annullava le decisioni. Secondo alcune fonti coeve, nel 904 Sergio III divenne il primo papa (e unico, per fortuna) ad ordinare l’uccisione di un altro papa, Leone V, incarcerato e strangolato.
In questa sanguinosa confusione le bizzarrie si sprecavano: Giovanni XI fu ordinato pontefice (si suppone) in quanto figlio illegittimo di un altro papa e imposto dalla madre-cortigiana, e Giovanni XII divenne papa quand’era ancora adolescente (incoronato a 18 anni, ricordato come uno dei papi più dissoluti e immorali).

Questo dovrebbe darvi un’idea del contesto in cui si svolse l’assurdo processo di cui stiamo per parlare, e che è a detta di molti studiosi, il “punto più basso dell’intera storia del papato”.


Papa Formoso era asceso al soglio pontificio nell’891. Il periodo, come abbiamo detto, non era dei migliori e Formoso era inviso a molti, tanto da essere stato addirittura scomunicato e poi riammesso alla Chiesa una quindicina d’anni prima. Appena diventato papa anche lui dovette far fronte alle pressioni politiche, incoronando il potente Lamberto di Spoleto come imperatore del Sacro Romano Impero. Con un coraggioso doppio gioco, però, Formoso chiamò i rinforzi dalla Carinzia, invitando il re Arnulfo a marciare su Roma e liberare l’Italia, cosa che costui fece occupando il nord Italia, fino ad essere finalmente incoronato imperatore nell’896 da Formoso. Anche per gli imperatori, a quell’epoca, le cose erano piuttosto turbolente.

Proprio mentre Arnulfo stava marciando su Spoleto per muovere guerra a Lamberto, venne colto da paralisi e non potè portare a termine la campagna. Questo spiega perché Lamberto e sua madre Ageltrude avessero, per così dire, il dente avvelenato verso papa Formoso.

Nell’aprile dell’896 Formoso morì. Dopo un papato “di passaggio”, quello di Bonifacio VI che regnò soltanto una decina di giorni, fu incoronato papa Stefano VI. Egli era appoggiato proprio da Lamberto da Spoleto (e dalla madre di lui), e come loro nutriva un odio viscerale per papa Formoso. Nemmeno la morte di quest’ultimo, avvenuta sette mesi prima, avrebbe fermato il suo odio, così terribile e devastante.

Sobillato da Ageltrude e Lamberto, Stefano VI nel gennaio dell’897 decise che Formoso, deceduto o non deceduto, andava comunque processato, e diede ordine di cominciare quello che negli annali sarà chiamato synodus horrenda, “Sinodo del cadavere” o “Concilio cadaverico”.
Fece riesumare la salma putrescente di Formoso, dispose che venisse vestita con tutti i paramenti pontifici e trasportata nella basilica di San Giovanni in Laterano.


Qui si svolse il macabro processo: il cadavere, già in avanzato stato di decomposizione, venne seduto e legato su un trono nella sala del concilio. Di fronte a lui, un uguale seggio ospitava Stefano VII attorniato dai cardinali e dai vescovi, costretti dal papa a fungere da giuria per questa grottesca farsa. A quanto si racconta, il processo fu interamente dominato da Stefano VI, che in preda a un furore isterico si lanciò in una delirante filippica contro la salma: mentre il clero spaventato assisteva con orrore, il papa urlava, gridava insulti e maledizioni contro il cadavere, lo canzonava.

Di fianco ai resti di Formoso stava in piedi un giovane e terrorizzato diacono: il suo ingrato compito era quello di difendere il cadavere, ovviamente impossibilitato a controbattere. Di fronte alla furia del pontefice, il povero ragazzo restava ammutolito e tremante, e nei rari momenti di silenzio cercava di balbettare qualche debole parola, negando le accuse.

Manco a dirlo, Formoso venne giudicato colpevole di tutti i capi contestatigli. Il verdetto finale stabilì che egli era stato indegno d’essere nominato papa, che vi era riuscito soltanto grazie alla sua smodata ambizione, e che tutti i suoi atti sarebbero stati immediatamente annullati.

E così cominciò la carneficina. Le tre dita della mano destra con cui Formoso aveva dato la benedizione vennero amputate; le vesti papali furono strappate dal cadavere, che venne poi trascinato per le strade di Roma e gettato nel Tevere. Dopo tre giorni, il corpo verrà ritrovato ad Ostia da un monaco, e nascosto dalle grinfie di Stefano VI finché quest’ultimo rimase in vita.

L’orribile e selvaggia follia del Sinodo del cadavere però non passò a lungo inosservata: tutta Roma, rabbiosa e indignata per il maltrattamento delle spoglie di Formoso, insorse contro Stefano VI, che dopo pochi mesi venne imprigionato e strangolato nell’agosto dell’897.

I due pontefici successivi riabilitarono Formoso; le sue spoglie, nuovamente vestite con i paramenti pontifici, vennero inumate in pompa magna nella Basilica di San Pietro (non immaginatevi quella attuale, ovviamente, all’epoca una basilica costantiniana sorgeva sul medesimo sito). Tutte le decisioni prese da Formoso durante il suo pontificato vennero ristabilite.

Ma ancora non era del tutto finita. Vi ricordate quel papa che mandò a morte un altro papa, e che fece salire al soglio pontificio il suo figlio illegittimo? Costui era papa Sergio III, incoronato nel 904 e di fazione anti-Formoso; egli dichiarò nuovamente valido il Sinodo del cadavere, annullando così ancora una volta le disposizioni ufficiali del vecchio papa. A questo punto fu la Chiesa stessa ad insorgere, anche perché molti vescovi ordinati da Formoso avevano ormai a loro volta ordinato altri sacerdoti e vescovi… per evitare la baraonda, Sergio III dovette tornare sui suoi passi. Si prese la sua piccola rivincita comunque, facendo incidere sulla tomba di Stefano VI un epitaffio che ne esaltava l’operato e denigrava l’odiato Formoso.

Il setaccio del tempo, però, non gli renderà onore. Sergio III verrà giudicato come un assassino e un uomo dissoluto, e sarà ricordato principalmente per aver permesso a Teodora, madre della concubina con cui egli si intratteneva, di instaurare in Vaticano una primitiva forma di pornocrazia.
Papa Formoso, dal canto suo, arriverà quasi alle soglie della beatificazione. Eppure, ad oggi, non c’è mai stato un papa Formoso II. A dir la verità, il Cardinale Barbo, quando fu incoronato pontefice nel 1464, ci aveva fatto un pensierino, perché gli piaceva l’idea di essere ricordato come un papa di bella presenza (formosus, “bello”). I suoi cardinali, però, riuscirono a dissuaderlo, ed egli scelse il più tranquillo nome di Paolo II.

(Grazie, Alessandro & Diego!)

L’archiatra corrotto

ovvero, L’uomo che fece esplodere il Papa.

Papa Pio XII (Papa Pacelli) ebbe in sorte un pontificato particolarmente duro che coincise con gli anni della Seconda Guerra Mondiale; alcune delle sue scelte sono tutt’oggi controverse, e per gli storici rimangono ancora dibattuti il suo presunto collaborazionismo con il Terzo Reich così come il mancato riconoscimento dell’Olocausto. Ma ciò che ci interessa qui è l’incredibile scandalo che lo riguardò, non certo per sua colpa, proprio sul letto di morte.

Con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, all’inizio del mese di ottobre del 1958, a Castel Gandolfo i dottori erano in subbuglio. Il Sacro Pontefice viene seguito, come tutti sanno, da una folta ed efficiente équipe di medici; il capomedico di questa squadra è chiamato archiatra, ed è una figura di grande spicco, esperienza ed autorità all’interno della comunità medico-scientifica. O, almeno, così dovrebbe essere.

L’archiatra pontificio di Pio XII (all’estrema destra nella foto precedente) si chiamava Riccardo Galeazzi Lisi, oculista, membro onorario della Pontificia Accademia delle Scienze, e fratello di un celebre e rispettato architetto. Ma Galeazzi Lisi sarebbe stato ricordato come l’ “archiatra corrotto”, per la sua assenza di scrupoli e per il grottesco spettacolo che causò ai funerali del pontefice.

La voglia di servirsi della sua posizione per far soldi (e far parlare di sé) era già risultata evidente fin dai primi problemi di salute di Pio XII, quando  il dottore cominciò a vendere abusivamente notizie riservate sulla salute del pontefice, e sui consulti medici che faceva, ai giornali.

Appena Papa Pacelli lo venne a sapere, non rivolse più la parola all’archiatra. Non volle cacciarlo con disonore dal Palazzo Apostolico unicamente per rispetto del fratello architetto, così lo dispensò da qualsiasi servizio sanitario – anche se di fatto non si serviva di lui già da mesi. Il Papa non lo privò ufficialmente del titolo di archiatra perché, disse, “non voglio affamare né svergognare nessuno… se vuole stare in Vaticano che stia, ma faccia in modo che io non lo veda”.

L’errore di tenere Galeazzi Lisi in Vaticano si rivela sempre più madornale man mano che la malattia si aggrava: quando il Papa è ormai agonizzante, l’archiatra, utilizzando una piccola Polaroid nascosta nella giacca, scatta due foto al pontefice. Nella prima si distingue il Papa su un lettino adattato per l’occasione e messo di traverso. Nella seconda, un impietoso primo piano, è visibile anche la cannuccia per l’ossigeno che arriva alla sua bocca. Le fotografie, definite vergognose e irrispettose, vengono vendute a Paris Match dal medico senza scrupoli. Ma è solo l’inizio dello scandalo.

Alle 3:52 del 9 ottobre 1958 a causa di un’ischemia circolatoria e di collasso polmonare, all’età di 82 anni, Pio XII muore a Castel Gandolfo. Qui comincia il vero e proprio calvario del suo corpo, affidato alle mani, manifestamente incompetenti, di Galeazzi Lisi.

Incaricato dell’imbalsamazione delle spoglie del pontefice, il medico si era inventato un metodo nuovissimo e, a sua detta, rivoluzionario, che avrebbe permesso una perfetta conservazione della salma. A quanto sosteneva, ne aveva parlato con Pacelli quando quest’ultimo era ancora in vita: siccome il Papa era restio all’idea dell’imbalsamazione, e desiderava mantenere tutti gli organi interni così come Dio li aveva voluti, Galeazzi Lisi l’aveva convinto vantandosi di aver studiato il suo metodo sperimentale a partire dagli oli e dalle resine utilizzati, udite udite, addirittura sul cadavere di Gesù Cristo.

Quando però lui e il suo collega, il professor Oreste Nuzzi, si trovarono a lavorare sulle spoglie di Pio XII, non tutto – anzi, per meglio dire, niente – andò per il verso giusto. Il “geniale” procedimento del medico consisteva nell’avvolgere il corpo dentro una serie di strati di cellophane, insieme a erbe e prodotti naturali. Così, invece di cercare di tenerlo fresco, i due innalzarono la temperatura del cadavere e accelerarono irreversibilmente il processo di putrefazione grazie a questo impacco di nylon.

Appena fu vestito ed esposto nella Sala degli Svizzeri, a Castel Gandolfo, il volto di Pio XII si ricoprì di migliaia di piccole rughe. Nessuno vi fece caso sul momento, ma da lì a pochi minuti sarebbe iniziata la “più veloce e ributtante decomposizione in diretta che la storia della medicina legale ricordi”.

Racconta il dottor Antonio Margheriti a proposito della foto qui sopra: “È iniziato un furioso succedersi di fenomeni cadaverici trasformativi: è la decomposizione in diretta sotto gli occhi inorriditi degli astanti, in seguito all’aberrante “imbalsamazione” brevettata e praticata dall’archiatra Galeazzi Lisi. In questa foto il cadavere del papa si è gonfiato nella zona del ventre in seguito ai gas putrefattivi che son venutisi creando da subito; per la stessa ragione è diventato grigio in viso, e dagli orifizi, specie dalla bocca, versa liquame scuro che gli scorre lungo il volto e si deposita nelle orbite degli occhi. È visibile sul volto delle guardie nobili l’enorme  sforzo di resistere all’odore nauseabondo che esala dal cadavere del Papa: l’alternarsi dei turni di guardia saranno da questo momento sempre più frequenti, per evitare una eccessiva esposizione ai gas mefitici, e perché molte guardie nobili regolarmente svengono sfinite da quell’odore di morte. Ma il peggio deve ancora venire”.

Il peggio arriva proprio nel momento meno opportuno, cioè quando la salma sta per essere esposta ai fedeli. Durante il trasporto da Castel Gandolfo alle porte di Roma, di colpo il cadavere del Papa, già enormemente gonfio, emette un grosso e sinistro scoppio che provoca l’esplosione del torace e lo squarciarsi del petto. Una volta arrivati al Laterano, si deve, in fretta e furia e sfidando orribili miasmi, riparare alla bell’e meglio la devastazione del papa esploso – affinché il trasporto all’interno della Basilica risulti il meno osceno possibile per l’oceanica folla assiepata a San Pietro.

Il problema è che, secondo il rito, il corpo di un Papa deve essere sempre visibile durante tutte le esequie; così, riguardo al trasporto all’interno della basilica petrina, riporta ancora Margheriti: “molti presenti all’evento ricordano ancora, lungo la navata della basilica, le zaffate tremende che si riversavano sulla folla al passaggio del cataletto nonché l’aspetto mostruoso del papa: diventato nerastro, gli cadde il setto nasale ed i muscoli facciali, orribilmente ritratti, facevano risaltare la chiostra dei denti in una risata agghiacciante”.

Nella notte fra il primo e il secondo giorno di esposizione del Papa in San Pietro, qualcuno ricorda che a porte chiuse il corpo venne tirato giù dal catafalco e sdraiato nudo sul pavimento della chiesa. Qui si procedette a una nuova imbalsamazione, che in realtà era più che altro un tentativo di limitare i danni ormai incontenibili. Per dissimulare l’aspetto eccessivamente rivoltante del cadavere, al volto venne applicata una maschera di lattice.

Dopo questi rovinosi e grotteschi funerali, cosa successe al nostro Riccardo Galeazzi Lisi? Il dottore oculista, considerato un ciarlatano e un traditore, venne licenziato in tronco, radiato dall’Ordine dei Medici e bandito a vita dal Vaticano. Per fortuna aveva scattato un’altra ventina di foto al cadavere del Papa mentre lo imbalsamava; vendette gli scatti a qualche rivista francese, e nel 1960 provò a dare la sua versione dei fatti in un libro, Dans l’ombre et dans la lumière de Pie XII … che, guardacaso, riproponeva le fotografie di Papa Pacelli durante l’agonia e l’imbalsamazione. Morì nel 1968, dieci anni dopo quei fatidici giorni in cui era passato dal nobile titolo di “archiatra pontificio” a quello, molto meno ambìto, di “archiatra corrotto”.

Gran parte delle info provengono da La Morte del Papa – Riti, cerimonie e tradizioni dal Medio Evo all’età contemporanea, di Antonio Margheriti, consultabile a questa pagina. Altre testimonianze qui.

(Grazie, TanoM e Diego!)