In questo nuovo video: esperimenti segreti, infestazioni diaboliche e sanguinosi miracoli!
Tre eventi misteriosi, avvenuti nell’arco di sette secoli, sono legati tra di loro da un sorprendente segreto…
In questo nuovo video: esperimenti segreti, infestazioni diaboliche e sanguinosi miracoli!
Tre eventi misteriosi, avvenuti nell’arco di sette secoli, sono legati tra di loro da un sorprendente segreto…
Oggi Bizzarro Bazar compie 14 anni!
Ah signora mia, sembra ieri, come corre il tempo, ne è passata di acqua sotto i ponti, lacrimuccia e tutto il resto — e ok ci sono stati molti cambiamenti in questi 14 anni. Però, se devo dirla tutta, stamattina ho aperto la galleria del cellulare e la prima foto che mi è capitata sott’occhio è questa (NSFW), quindi non mi pare che la levatura dei miei interessi intellettuali abbia subìto chissà quali stravolgimenti.
A parte gli scherzi, sono ancora, come voi che mi leggete e mi supportate, alla ricerca di territori inediti, liminali, bislacchi e meravigliosi.
Però arriva puntuale anche il momento di tirare un po’ le somme dell’anno passato. È stato un periodo molto complicato per me ma estremamente stimolante; se ho scritto meno sul blog e un poco diradato la mia presenza online è anche perché ci sono tante cose che bollono in pentola che richiedevano la mia attenzione. In particolare annuncerò nei prossimi tempi un paio di progetti: uno di essi mi ha portato ad attraversare in lungo e in largo la penisola (e il viaggio non è ancora terminato); l’altro si discosta dai miei confini abituali ma è una nuova avventura nella quale spero vorrete provare a seguirmi.
Per adesso non posso dire di più quindi mi limito ad alzare il calice e brindare a noi, cercatori dell’incanto, e alla meraviglia! Keep The World Weird!
Qualche giorno fa ho visitato Maranzana, borgo del Monferrato noto per essere popolato da strani abitanti…
Anche l’ospedale, a Venezia, è un capolavoro rinascimentale: la facciata della Scuola Grande di San Marco, che si apre nel Campo SS. Giovanni e Paolo, è ritenuta uno dei massimi gioielli architettonici e artistici della città lagunare.
Proprio di fianco all’entrata principale, collocato negli spazi dell’antica Scuola di Santa Maria della Pace, è possibile visitare il piccolo Museo di Anatomia Patologica “Andrea Vesalio”.
La nascita della collezione si fa risalire al 1874, quando al dissettore anatomico dell’Ospedale venne raccomandato di preservare i reperti anatomopatologici più rilevanti. A partire da quel momento la raccolta fu integrata regolarmente, in particolare grazie all’attività di Giuseppe Jona. Nel museo è conservata la maschera mortuaria dello stesso Jona, straordinaria figura di medico e di uomo che sotto nel 1943 si suicidò pur di non rivelare alle autorità tedesche i nomi degli ebrei rimasti a Venezia.
Il Museo è costituito da un’unica stanzetta, e conta nove teche con preparati a secco e in liquido. Tra i reperti osteologici sono visibili tumori delle ossa, iperostosi, traumi, una collezione di 10 femori e di 32 calotte craniche che mostrano varie patologie. Una collezione di calcoli antichi mostra quanto questa affezione, ai tempi in cui non poteva essere curata tempestivamente, potesse diventare un problema gravissimo. I preparati in liquido, invece, sono principalmente pensati per illustrare alcune malattie che interessarono in particolare la laguna veneziana, legate alle epidemie (tubercolosi), a patologie un tempo comuni (lebbra) o alla lavorazione del vetro.
Ma è un preparato in particolare che attira l’attenzione, in una teca posta proprio al centro della saletta: il corpo intero di un maschio affetto da diverse malformazioni, tra cui cifosi e nanismo.
I dettagli sorprendenti di questo reperto, della statura di 67 cm e dell’età stimata attorno ai 50 anni, sono molteplici. Il corpo rinsecchito possiede ancora capelli, peli facciali ma soprattutto – particolare non comune – presenta ancora gli occhi in situ.
L’incisione visibile sul cranio è tipica di un’autopsia, ma sono le due grandi suture su petto e schiena a essere inusuali. Dopo l’autopsia, evidentemente questo signore venne preparato a fini museali. Inizialmente gli studiosi pensavano che il metodo utilizzato fosse la tannizzazione di Lodovico Brunetti, lo stesso anatomista che preparò la “Suicida Punita“. La tannizzazione era un processo di conservazione anatomica che prevedeva, dopo la pulitura e lo sgrassamento dei tessuti, l’utilizzo di acido tannico diluito con acqua demineralizzata e la disidratazione con aria calda compressa.
Ma quando questo reperto veneziano venne ispezionato radiograficamente, si scoprì che esso era privo di organi interni, sostituiti da un materiale di riempimento. Questo signore è stato insomma eviscerato, la sua pelle è stata rimossa, disidratata, e infine riposizionata sul suo scheletro trattato in precedenza, riempiendo con stoppa o altro materiale le cavità rimaste vuote. Si tratta dunque di una vera e propria tassidermia umana, lo stesso procedimento utilizzato per gli animali imbalsamati.
Mi è stato spesso chiesto, nel corso degli anni, perché non si “impagliano” gli esseri umani. La risposta è che qualcuno ci ha provato, ma i risultati non sono particolarmente buoni. Con il tempo la pelle umana essiccata tende a restringersi, diviene fragile e facile alle screpolature, ed eventuali occhi prostetici finiscono per emergere in maniera innaturale. Anche il colore dell’epidermide non si mantiene particolarmente fedele, e i risultati discutibili di questa tecnica si possono vedere nelle poche tassidermie presenti nei musei anatomici (qui sotto una teca di tassidermie umane al Museo dell’Arte Sanitaria di Roma).
Il reperto umano tassidermizzato di Venezia è davvero unico, sia appunto per la decisione di prepararlo in questo modo piuttosto inconsueto, sia per le patologie che illustra. E, come tutti i reperti anatomici “integrali”, favorisce anche una nostra reazione emotiva: impossibile non chiedersi che vita abbia avuto quest’uomo, nano e gobbo, nella Venezia della seconda metà dell’Ottocento; quali difficoltà e quali dolori abbia sofferto, ma anche quali desideri e felicità abbia conosciuto, prima di finire eternato in un museo. Il trattamento riservatogli, comunemente usato per gli animali, potrebbe sembrarci un ultimo affronto ma si ricollega in realtà a un periodo fervido di continue sperimentazioni, in cui si provavano innumerevoli tecniche diverse per perfezionare l’arte della preparazione anatomica.
Personalmente, dunque, trovo commoventi e umani entrambi gli aspetti speculari, il pathos e la pietas. Il pathos del soggetto umano che forma la base dell’oggetto anatomico, l’esistenza spesso anonima che sta dietro a qualsiasi preparato, con la sua unicità talvolta tragica; e la pietas che è insita nella vocazione medica così come nel desiderio di conservare la deformità e la malattia a fini di studio, per comprendere il loro mistero e cercare, se possibile, di curare e alleviare le sofferenze del prossimo.
La cura per la noia è la curiosità.
Non esiste cura per la curiosità.
(Dorothy Parker)
Bentornati! Prima di tuffarci nella nuova messe di meraviglie, comincio invitandovi domenica 16 aprile al Defrag di Roma: terrò un talk nel contesto davvero straordinario di Danza Macabra Expo, evento curato da CRUSH – Collettiva Arte Visiva. Oltre a una mostra d’arte collettiva, nel corso di questo mese l’evento sarà arricchito da una nutrita serie di appuntamenti tra performance, live music, giochi di ruolo, laboratori e conferenze. Potete dare un’occhiata al programma qui.
E ora sotto con le curiosità!
Sadismi musicali
È tutto, alla prossima!
Cresce, all’ombra del patibolo, un frutto mostruoso. Si tratta di un prodigioso afrodisiaco, ma funge anche da indispensabile ingrediente nel ricettario della strega — che, secondo la leggenda, lo mescola con il grasso di bambini nati morti creando così un unguento con cui può recarsi in volo al sabba.
Come raccontano Plinio e Dioscoride, questo anodino naturale era applicato come analgesico prima delle operazioni chirurgiche, per le discrete proprietà soporifere e sedative attribuitegli dalla medicina colta precedente al XVI secolo, che ne faceva uso in varie forme — dall’estratto del frutto, ai semi, alla radice vera e propria.
Innumerevoli sono i malanni che la mandragora si diceva potesse curare: essa era adoperata sia per uso esterno sia per uso interno, sia per guarire dalla sterilità e dall’impotenza (la sua rinomata valenza quale stimolante erotico è attestata persino da uno degli epiteti della dea greca dell’amore, Afrodite Mandragoritis, e, da parte dei più puritani, dai soprannomi che la vedono come mela o addirittura testicolo del diavolo), sia contro i disturbi mestruali, la febbre quartana, l’eccesso di bile nera (la temuta melancholia, causa di numerosi disturbi, anche di natura mentale), le malattie caratterizzate dall’infiammazione di una o più parti del corpo, dagli occhi all’ano, contro gli ascessi, gli indurimenti, e persino i tumori.
La mandragora veniva impiegata secondo i molti usi suggeriti dalla farmacopea premoderna, ma anche come feticcio: era venduta come amuleto dai root-diggers, una branca di mercanti specializzati nell’estrazione della pianta — che però, pare spacciassero al suo posto radici di brionia o di altre piante comuni, tatticamente intagliate.
Un vegetale all’intersezione con gli altri regni — quello minerale, per la sua origine ctonia, e quello animale, anzi, addirittura umano… — ricercato eppure temuto, mirabile e letale, la mandragora appartiene alla famiglia della famigerata belladonna, associata come la “sorella” alla stregoneria per le proprietà psicoattive dovute all’alta concentrazione di scopolamina, alcaloide tropanico presente soprattutto nelle radici. Essa è una solanacea, le cui intricate radici dalla forma vagamente antropomorfa hanno intrigato sin dall’antichità la fantasia umana, tanto che è stato attribuito loro un sesso (che ne determina la forma e il colore), dei genitali simili a quelli umani e un carattere piuttosto difficile, che la induce per esempio a nascondersi dalle persone impure e lasciarsi addomesticare solo da chi le mostra una croce o la spruzza di sangue mestruale o urina.
Questa sorta di personificazione ha fatto sì che la pianta venisse talvolta trattata come un piccolo individuo, fatto di carne viva: un homunculus, letteralmente, dotato tra l’altro di un potere esiziale. Attorno alla figura di questa pianta prodigiosa, aleggia per secoli, infatti, una fosca leggenda: si dice che essa gridi, se estratta dalla terra, con urla tali da far perdere il senno o addirittura uccidere sul colpo gli incauti “raccoglitori”. Questa micidiale capacità del pregiato bottino rende allora necessari complessi accorgimenti, con cui chi si accinge a cavare la mandragora dal suolo può preservare la propria salute (e sopravviverle).
I più diffusi escamotage seguono uno schema comune: al centro di tutte le varianti, vi è infatti il sacrificio di un cane (l’unica eccezione è quella che Frazer attribuisce alla tradizione giudaica, in cui si parla di un asino), il più delle volte dal pelo nero; a questo animale prima dell’alba di venerdì — non a caso, il giorno intitolato alla dea dell’amore — viene legata la pianta, delle cui radici un solo filamento viene lasciato ancora interrato. Il cane, appositamente affamato, poi viene fatto correre via con il richiamo di un boccone prelibato; così facendo strappa dal suolo l’intera pianta che prorompe in strilli micidiali i quali, purtroppo, causano la repentina morte dell’ignaro animale. Gli umani presenti – che fino a quel momento hanno tenuto le proprie orecchie ben coperte o persino tappate con cotone sigillato con pece o cera – possono allora avvicinarsi e raccogliere il vegetale che, così “sfogatosi”, è reso ormai inoffensivo.
Un aspetto affascinante della mandragora è la sua origine, secondo la leggenda, che ne fa un letterale frutto dell’impiccagione — il prodotto dell’incrocio tra l’uomo e la terra (Zarcone).
Certe tradizioni anglosassoni e germaniche chiamano questa pianta gallows man, mad plant e dragon doll, termini che rievocano la provenienza umana e in un certo senso mostruosa della mandragora. Il seme da cui si forma questo favoloso “fior di capestro” sarebbe infatti proprio quello umano, sparso in terra al momento della morte da parte del criminale sottoposto all’esecuzione infamante per antonomasia.
Già salendo i gradini del patibolo il morituro s’immagina sospeso tra cielo e terra, gettato in un limbo da cui solo il perdono divino potrebbe trarlo in salvo, nonché rigettato dalla comunità lì riunita per ammirare voracemente la sua agonia, in tutti i suoi risvolti fisiologici.
La sospensione di cui il condannato era vittima ne avrebbe obliterato il corpo (Tarlow – Battel Lowman), annullandolo in quanto oggetto sociale, ponendolo in esilio in una zona liminale sia dal punto di vista geografico che metaforico (come avveniva d’altronde anche nell’esposizione del cadavere tramite gibbet); la corda, strumento dell’esecuzione, che pure teoricamente avrebbe dovuto fratturare o dislocare le vertebre cervicali superiori del condannato, portandolo rapidamente alla morte, finiva il più delle volte per strangolarlo, sconvolgendone così le fattezze e provocandogli inevitabili evacuazioni di feci, urina e, a seconda del sesso della vittima, sangue mestruale o liquido seminale.
Non è da trascurare il fatto che, in virtù della teoria magico-medica del trasferimento dell’energia vitale dal morto a chi gli sopravvive, si ricercava avidamente il contatto con il corpo del reo punito, ancora intriso di vitalità (che gli conferiva una preziosissima medical potency). Sono questi i segreti del cadavere, tramandati in una vera e propria letteratura di consumo in cui, come spiega Camporesi, l’occultismo terapeutico si unisce alla farmacopea negromantica e alla magia naturale, per coronare un sogno faustiano di lunga vita ed eterna giovinezza.
Secondo una logica che ritiene la putrefazione una copula nera in grado di rendere il morto una “sorgente di salute”, il vivo può mantenersi in salute predando sul defunto; può trasmettergli persino i propri mali, ricavandone l’energia che gli spiriti, in subbuglio in quegli ultimi attimi, ancora conferiscono al cadavere. Il morto è quindi paradossale dispensatore di vita (Camporesi).
Ecco perché lo stroke, ovvero il tocco dell’impiccato, era ritenuto curativo: la mano della salma veniva stretta o messa a contatto con le parti del corpo affette da malattie della pelle, inestetismi, gozzi ed escrescenze (dal porro alla verruca alla cisti sebacea), come spiegano magistralmente Davies e Matteoni. Figurarsi dunque quanta potenza può risiedere nell’eredità seminale lasciata dall’impiccato: la mandragora, disumana progenie della forca!
La pianta che accende l’eros e porta la morte, nasce dall’intersezione tra questi due stessi principi, ovvero dal climax raggiunto nella cosiddetta “lussuria angelica”.
Con questo eufemismo si designa il priapismo post mortem osservato sin dall’antichità nel cadavere del giustiziato, specialmente qualora morto per strangolamento. È questo un fenomeno che ha ispirato, oltre a vari saggi di sessuologia e psicologia della devianza, anche grandi romanzieri quali Sade, Musset, Joyce e Burroughs. Parliamo quindi di una “erezione mortale” cui seguiva anche sul patibolo, talvolta, l’eiaculazione, e proprio a questo fenomeno gli antichi erbari riconducevano l’origine della mandragora, sorta dal seme emesso dai condannati nell’attimo del decesso.
La possibilità di esibire un’erezione letteralmente terminale e culminante tra l’altro in un’eiaculazione, era una componente decisiva nella nomea che qualificava questa modalità d’esecuzione quale “morte infamante”. L’impiccagione appare infatti come la più vergognosa delle dipartite nel corso della storia occidentale (e non solo, stando al veterotestamentario Deuteronomio, dove si associa in quest’aura ignominiosa alla crocifissione, altro esempio di morte per sospensione). Sia che fosse considerata degradante perché comminata ai criminali di più umile estrazione e/o spregevole delitto, o al contrario comminata a costoro proprio perché sentita come disonorevole, l’impiccagione era in ogni caso la tipologia di esecuzione più diffusa; secondo la tradizione, era anche la morte degli ultimi e dei peggiori, come ci ricordano le apocrife ultime vicende di Giuda, vittima di un’agonia grottesca e studiatamente umiliante. Tale aura d’infamia è probabilmente il motivo per cui, come nota Owens in Stages of Dismemberment, l’impiccagione è pressoché assente nell’agiografia, e potrebbe essere sorta proprio dai fenomeni fisiologici “imbarazzanti” che accompagnano questa forma di morte particolarmente spettacolare.
Tra questi eventi corporei, l’orgasmo celeste di cui abbiamo già parlato — che nel cadavere femminile ha il suo contrappunto nella possibilità di una perdita di sangue dalla vagina, accompagnata da un’irrorazione di labbra e clitoride, in una mestruazione spontanea causata dall’azione della gravità sull’utero con conseguente prolasso degli organi sessuali — è semplicemente il più “scandaloso” perché riguarda i genitali. Come racconta vividamente Hurren in Dissecting the Criminal Corpse, molti condannati urinavano e/o defecavano, al momento fatale; altri, vittime della suggestione, si macchiavano le vesti di sperma eiaculato; vi erano scambi gassosi provocati dalla digestione del defunto, e il sangue in decomposizione fuoriusciva dalla bocca e dalle narici, in una purgazione resa ancora più sconcertante dal rigor mortis, durante il quale i gas, non potendo uscire interamente dall’ano o dal naso, passavano dalla trachea, dando l’impressione che il cadavere gemesse e gracchiasse come se fosse stato ancora vivo e dolente.
Nonostante la vita, come comunemente intesa, non risiedesse più nelle membra dell’impiccato, restava qualcosa che sembrava sfidare la giustizia che era stata fatta. Dall’erezione invicibile, ossia dalle ultime “lacrime” — come veniva poeticamente chiamata questa eiaculazione in articulo mortis — sparse dal criminale in terra, si sarebbe poi formata, sotto il suo cadavere lasciato appeso, la mandragora.
Questa pianta terapeutica e pericolosa — un vero e proprio pharmakon, rimedio e veleno, nella duplice accezione greca — costituisce insomma, al pari della corda usata per giustiziare il criminale o del tocco risanante della mano dell’impiccato, un altro esempio delle modalità postume mediante le quali il condannato, una volta morto, passa da nefasto a salvifico per la comunità che l’ha espulso. Infatti una volta pentitosi, è come se il criminale venisse reinserito nella comunità tramite la sua stessa esecuzione, passando dallo stato di individuo contaminato e contaminante a quello di elemento “salutare”.
La salma del criminale giustiziato, attraverso le virtù medicamentose dei suoi resti mortali o attraverso la generazione della mandragora, acquista dunque una vita sociale “postuma” tramite la distribuzione delle sue energie, e diviene la sede in cui, in modo tangibile, si verifica la salvezza che risiede nel pentimento.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di Lo-fi? È vero che il nastro dei VHS è fatto di un materiale alieno? Perché l’orrore ci piace tanto? Dal declino delle piattaforme resusciterà la sala cinematografica? Harmony Korine è un regista pazzo? Il buio è un luogo amico?
Domenica 5 marzo interverrò a un evento davvero inusuale: la prima edizione del VHS FilmFest, organizzato da Durian Presenta (anomalo progetto dietro cui si nasconde il regista Fulvio Risuleo, di cui ho già parlato un paio di volte qui sul blog).
In un piccolo teatrino non lontano dal parco della Caffarella saranno proiettati alcuni film… in videocassetta originale, su un televisore a tubo catodico!
Dal comunicato stampa:
Dai primi anni ’80 con l’arrivo del VHS comincia l’era dell’home video. Il momento in cui gli spettatori hanno potuto portarsi a casa i loro film preferiti per vederli e rivederli. Per qualcuno è l’inizio della “fine della sala cinematografica”, per altri è la rivoluzione già immaginata da Philip K. Dick e altri autori di fantascienza, per poter finalmente fruire dei film in maniera privata. Il VHS FILMFEST è il modo per portare quell’esperienza in una sala di Roma, quando ormai il supporto a nastro è più che superato. Un rituale solitario che diventa collettivo, simulazione di un passato utile per riflettere sul futuro. Con un totem, al centro: la televisione a tubo catodico 29 pollici. Davanti a esso la scelta: un tappeto su cui sedersi, oppure una platea da trenta posti (più comoda, ma ovviamente più lontana dal totem).
I film sono stati selezionati per creare un percorso che racconti il nastro magnetico sotto diversi punti di vista; per i più feticisti, sarà possibile visionare Trash Humpers (2009), film cult di Harmony Korine, nella versione VHS da lui stesso disegnata e personalizzata.
Qui sotto il programma dettagliato. Come potete vedere, io presenterò l’ultima videocassetta della giornata, ovvero il seminale horror Ringu (1998) di Hideo Nakata.
Non sarà assolutamente un evento improntato su vacue nostalgie e snobismo rétro, ma piuttosto un’occasione per riflettere e confrontarci su come l’evoluzione dei supporti modifichi la nostra fruizione cinematografica — e soprattutto un modo per alimentare la fantasia: sia che siate degli attempati cinefili che ricordano i tempi delle videocassette, sia che non abbiate mai visto un film su VHS, quando vi ricapiterà di fare un’esperienza simile?
Sono molto felice di comunicarvi che prossimamente sarò a Milano con tre appuntamenti mensili, organizzati dall’associazione Uno Più Uno Più Uno (Facebook, Instagram) nella storica cornice dei Frigoriferi Milanesi.
Si tratta di un ciclo di tre conferenze dedicate ai diversi modi in cui lo studio dell’anatomia umana si è spinto “oltre” il suo stesso limite, travalicando i confini specifici di disciplina medico-scientifica per assumere un respiro culturale più ampio.
Ogni mio talk sarà arricchito da un intervento a cura di una figura accademica esperta del settore, che offrirà una diversa prospettiva sui temi affrontati nella serata.
Tutti gli appuntamenti sono a ingresso gratuito, ma è consigliabile prenotare tramite Eventbrite (qui sotto trovate i link).
Vi aspetto!
Venerdì 24 Febbraio 2023, ore 19
INGRESSO GRATUITO
Ivan Cenzi
La donna anatomica:
seduzione e dissezione del corpo femminile
Greta Plaitano
Il “vero” ideale: morfologie maschili e femminili
nell’arte tra Ottocento e Novecento
In questo primo appuntamento scopriremo come l’anatomia non fosse storicamente priva di accenti ideologici: in particolare la dissezione del corpo femminile divenne, dal Medioevo in poi, un motivo iconografico e teorico utilizzato per sabotare il potere seduttivo della donna.
A seguire, un intervento di Greta Plaitano, esperta di iconografie del corpo, sull’influenza che i dispositivi fotografici e pre-cinematografici ottocenteschi ebbero sulla visione della figura femminile e di quella maschile nel mondo dell’arte.
Maggiori info & prenotazioni → Link Eventbrite
Venerdì 24 Marzo 2023, ore 19
INGRESSO GRATUITO
Ivan Cenzi
Statue di carne: i pietrificatori di cadaveri
Francesca Monza
L’esposizione dei resti umani tra etica e museologia
Una delle tecniche di conservazione anatomica più sconcertanti è la cosiddetta “pietrificazione”, sviluppata nell’Ottocento da diversi ricercatori, e in grado di far assumere ai tessuti una consistenza lapidea. Fissati virtualmente in eterno, questi reperti sono tra i preparati più straordinari di sempre; così come eccentriche furono le vite dei pietrificatori, figure apparentemente anomale ma in realtà ben calate nella temperie storica e culturale della loro epoca.
A seguire, l’esperta di etica museale Francesca Monza ci introdurrà al dibattito contemporaneo sull’esposizione dei resti umani all’interno delle collezioni anatomiche.
Maggiori info & prenotazioni → Link Eventbrite
Venerdì 21 Aprile 2023, ore 19
INGRESSO GRATUITO
Ivan Cenzi
Surreali anatomie: il sogno del corpo umano
Claudia Manini
Colori, forme e suoni dell’anatomia
In quest’ultimo incontro, seguiremo un sorprendente percorso storico-iconografico sui rapporti tra surrealismo e anatomia, a partire dalla medicina degli albori per approdare ai più interessanti artisti contemporanei.
Infine, l’anatomopatologa Claudia Manini ci farà scoprire come, nelle sale autoptiche e nei laboratori, anche il corpo patologico possa talvolta avere una sua sorprendente, inaspettata bellezza.
Maggiori info & prenotazioni → Link Eventbrite
La strana moda degli eremiti da giardino.
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Un altro anno è alle spalle, uno nuovo inizia.
Questo può sembrare un evento che ha a che fare con il passare del tempo, ma è relativo allo spazio: l’anno esiste perché ci muoviamo, trasportati dal nostro pianeta-arca lungo la sua traiettoria siderale attorno a un astro infuocato.
Il capodanno insomma ci ricorda che, anche quando ci pare di stare fermi, in realtà siamo sempre in viaggio.
E io da qualche mese ho ricominciato a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia, al lavoro su alcuni libri di cui svelerò i dettagli nei prossimi tempi. Spero che il frutto delle mie peregrinazioni possa essere abbastanza invitante da farvi venire voglia di abbandonarvi proprio all’ebbrezza surreale del viaggio!
Per ora vi faccio i miei più sentiti auguri per un 2023 ricco di stranezze e bizzarrie… Keep The World Weird!