Miracoli, misteri e polenta sanguinante

In questo nuovo video: esperimenti segreti, infestazioni diaboliche e sanguinosi miracoli!

Tre eventi misteriosi, avvenuti nell’arco di sette secoli, sono legati tra di loro da un sorprendente segreto…

 

Buon 14° compleanno!

Oggi Bizzarro Bazar compie 14 anni!

Ah signora mia, sembra ieri, come corre il tempo, ne è passata di acqua sotto i ponti, lacrimuccia e tutto il resto — e ok ci sono stati molti cambiamenti in questi 14 anni. Però, se devo dirla tutta, stamattina ho aperto la galleria del cellulare e la prima foto che mi è capitata sott’occhio è questa (NSFW), quindi non mi pare che la levatura dei miei interessi intellettuali abbia subìto chissà quali stravolgimenti.

A parte gli scherzi, sono ancora, come voi che mi leggete e mi supportate, alla ricerca di territori inediti, liminali, bislacchi e meravigliosi.

Però arriva puntuale anche il momento di tirare un po’ le somme dell’anno passato. È stato un periodo molto complicato per me ma estremamente stimolante; se ho scritto meno sul blog e un poco diradato la mia presenza online è anche perché ci sono tante cose che bollono in pentola che richiedevano la mia attenzione. In particolare annuncerò nei prossimi tempi un paio di progetti: uno di essi mi ha portato ad attraversare in lungo e in largo la penisola (e il viaggio non è ancora terminato); l’altro si discosta dai miei confini abituali ma è una nuova avventura nella quale spero vorrete provare a seguirmi.

Per adesso non posso dire di più quindi mi limito ad alzare il calice e brindare a noi, cercatori dell’incanto, e alla meraviglia! Keep The World Weird!

Il paese dei pupazzi

Qualche giorno fa ho visitato Maranzana, borgo del Monferrato noto per essere popolato da strani abitanti…

Il nano di Venezia

Anche l’ospedale, a Venezia, è un capolavoro rinascimentale: la facciata della Scuola Grande di San Marco, che si apre nel Campo SS. Giovanni e Paolo, è ritenuta uno dei massimi gioielli architettonici e artistici della città lagunare.
Proprio di fianco all’entrata principale, collocato negli spazi dell’antica Scuola di Santa Maria della Pace, è possibile visitare il piccolo Museo di Anatomia Patologica “Andrea Vesalio”.

La nascita della collezione si fa risalire al 1874, quando al dissettore anatomico dell’Ospedale venne raccomandato di preservare i reperti anatomopatologici più rilevanti. A partire da quel momento la raccolta fu integrata regolarmente, in particolare grazie all’attività di Giuseppe Jona. Nel museo è conservata la maschera mortuaria dello stesso Jona, straordinaria figura di medico e di uomo che sotto nel 1943 si suicidò pur di non rivelare alle autorità tedesche i nomi degli ebrei rimasti a Venezia.

Il Museo è costituito da un’unica stanzetta, e conta nove teche con preparati a secco e in liquido. Tra i reperti osteologici sono visibili tumori delle ossa, iperostosi, traumi, una collezione di 10 femori e di 32 calotte craniche che mostrano varie patologie. Una collezione di calcoli antichi mostra quanto questa affezione, ai tempi in cui non poteva essere curata tempestivamente, potesse diventare un problema gravissimo. I preparati in liquido, invece, sono principalmente pensati per illustrare alcune malattie che interessarono in particolare la laguna veneziana, legate alle epidemie (tubercolosi), a patologie un tempo comuni (lebbra) o alla lavorazione del vetro.

Ma è un preparato in particolare che attira l’attenzione, in una teca posta proprio al centro della saletta: il corpo intero di un maschio affetto da diverse malformazioni, tra cui cifosi e nanismo.
I dettagli sorprendenti di questo reperto, della statura di 67 cm e dell’età stimata attorno ai 50 anni, sono molteplici. Il corpo rinsecchito possiede ancora capelli, peli facciali ma soprattutto – particolare non comune – presenta ancora gli occhi in situ.

L’incisione visibile sul cranio è tipica di un’autopsia, ma sono le due grandi suture su petto e schiena a essere inusuali. Dopo l’autopsia, evidentemente questo signore venne preparato a fini museali. Inizialmente gli studiosi pensavano che il metodo utilizzato fosse la tannizzazione di Lodovico Brunetti, lo stesso anatomista che preparò la “Suicida Punita“. La tannizzazione era un processo di conservazione anatomica che prevedeva, dopo la pulitura e lo sgrassamento dei tessuti, l’utilizzo di acido tannico diluito con acqua demineralizzata e la disidratazione con aria calda compressa.

Ma quando questo reperto veneziano venne ispezionato radiograficamente, si scoprì che esso era privo di organi interni, sostituiti da un materiale di riempimento. Questo signore è stato insomma eviscerato, la sua pelle è stata rimossa, disidratata, e infine riposizionata sul suo scheletro trattato in precedenza, riempiendo con stoppa o altro materiale le cavità rimaste vuote. Si tratta dunque di una vera e propria tassidermia umana, lo stesso procedimento utilizzato per gli animali imbalsamati.

Mi è stato spesso chiesto, nel corso degli anni, perché non si “impagliano” gli esseri umani. La risposta è che qualcuno ci ha provato, ma i risultati non sono particolarmente buoni. Con il tempo la pelle umana essiccata tende a restringersi, diviene fragile e facile alle screpolature, ed eventuali occhi prostetici finiscono per emergere in maniera innaturale. Anche il colore dell’epidermide non si mantiene particolarmente fedele, e i risultati discutibili di questa tecnica si possono vedere nelle poche tassidermie presenti nei musei anatomici (qui sotto una teca di tassidermie umane al Museo dell’Arte Sanitaria di Roma).

Il reperto umano tassidermizzato di Venezia è davvero unico, sia appunto per la decisione di prepararlo in questo modo piuttosto inconsueto, sia per le patologie che illustra. E, come tutti i reperti anatomici “integrali”, favorisce anche una nostra reazione emotiva: impossibile non chiedersi che vita abbia avuto quest’uomo, nano e gobbo, nella Venezia della seconda metà dell’Ottocento; quali difficoltà e quali dolori abbia sofferto, ma anche quali desideri e felicità abbia conosciuto, prima di finire eternato in un museo. Il trattamento riservatogli, comunemente usato per gli animali, potrebbe sembrarci un ultimo affronto ma si ricollega in realtà a un periodo fervido di continue sperimentazioni, in cui si provavano innumerevoli tecniche diverse per perfezionare l’arte della preparazione anatomica.

Personalmente, dunque, trovo commoventi e umani entrambi gli aspetti speculari, il pathos e la pietas. Il pathos del soggetto umano che forma la base dell’oggetto anatomico, l’esistenza spesso anonima che sta dietro a qualsiasi preparato, con la sua unicità talvolta tragica; e la pietas che è insita nella vocazione medica così come nel desiderio di conservare la deformità e la malattia a fini di studio, per comprendere il loro mistero e cercare, se possibile, di curare e alleviare le sofferenze del prossimo.

Link, curiosità & meraviglie assortite – 27

La cura per la noia è la curiosità.
Non esiste cura per la curiosità.
(Dorothy Parker)

Bentornati! Prima di tuffarci nella nuova messe di meraviglie, comincio invitandovi domenica 16 aprile al Defrag di Roma: terrò un talk nel contesto davvero straordinario di Danza Macabra Expo, evento curato da CRUSH – Collettiva Arte Visiva. Oltre a una mostra d’arte collettiva, nel corso di questo mese l’evento sarà arricchito da una nutrita serie di appuntamenti tra performance, live music, giochi di ruolo, laboratori e conferenze. Potete dare un’occhiata al programma qui.

E ora sotto con le curiosità!

Sadismi musicali

  • Nel 2021 allo zoo di Nagasaki, la gibbone femmina Momo ha partorito un cucciolo. Di per sé non sarebbe una gran notizia, se non che Momo vive da sola e non ha mai avuto contatti con altri maschi. Com’è potuto accadere questo concepimento virginale? Dopo due anni di ricerche, e dei test del DNA, i responsabili sono arrivati alla conclusione che Momo sia rimasta incinta… attraverso un glory hole.
  • Nelle opere di Shakespeare, la mostruosità si esplicita nei corpi deformi, negli istinti nefandi e attraverso il linguaggio stesso: lo racconta Michela Compagnoni in un nuovo libro recensito in questo approfondito e affascinante articolo. (Grazie, Bruno!)
  • Il primo hamburger di carne coltivata in laboratorio venne presentato a Londra 10 anni fa. Da allora ne è passato del tempo: le tecnologie si stanno evolvendo, i costi gradualmente abbassando, e la carne sintetica sembra avviarsi a diventare, in futuro, una possibile alternativa etica ed ecologica alla carne tradizionale. Ma a questo punto, perché limitarsi a produrre risapute fettine di manzo quando possiamo creare ricette a base di animali estinti?
    Quella qui sotto, prodotta da un’azienda australiana, è una mega-polpetta di carne ricavata a partire dal DNA di un mammuth.
    Eppure non vi consiglierei di assaggiarla, perché gli scienziati stessi non hanno idea dei problemi allergici che una proteina vecchia di 5000 anni potrebbe causare nell’essere umano. (E così se ne va in fumo la mia idea per una nuova catena di fast food, “Jurassic Pork”.)

  • Sull’Indiscreto, gran pezzo di Alessio Montagner sul pene di Gesù, la vagina di Maria e più in generale la densità simbolica dei genitali nell’arte sacra. (Grazie, Gaberricci!)
  • Rifatevi gli occhi con queste lacrime.
  • Park Van Tassel (1853-1930) fu un pioniere di stunt aerei americano. Originariamente barista di Albuquerque, si appassionò di volo areostatico a partire dal 1879 e decise di diventare un daredevil di professione; le sue esibizioni consistevano nel lanciarsi col paracadute dalla sua mongolfiera. Ma nonostante oggi sia considerato una figura importante per alcune innovazioni tecniche e per aver introdotto le donne (vale a dire, sua moglie e le figlie) a questo sport, all’epoca non tutti lo ritenevano particolarmente abile. Molte delle sue bravate non finivano esattamente come previsto, e Van Tassel finiva spesso per ferirsi o schiantarsi al suolo col suo pallone, tanto che spesso la folla lo fischiava o addirittura sabotava la mongolfiera. Come riporta Jan Bondeson in Strange Victoriana, in un caso uno spettatore finì steso privo di sensi a causa di una zavorra lanciata in maniera disattenta da Van Tassel; in un altro, lo spericolato aeronauta rischiò la morte quando le sue gambe rimasero impigliate nelle corde di sostegno della mongolfiera mentre il suo paracadute si era già aperto; in un altro ancora, un matrimonio che doveva celebrarsi in aria dovette essere cancellato perché nessun prete o giudice di pace accettò (comprensibilmente) di ascendere in pallone assieme a Van Tassel.
    E avevano ragione: volare con lui non era davvero un buon affare, come dimostrò tragicamente l’episodio avvenuto nel 1889 a Honolulu. Van Tassel e il suo copilota Joe Lawrence avevano appena preso il volo di fronte a una folla incuriosita, quando la mongolfiera venne spostata dal vento verso l’oceano; incapaci di controllarla, Van Tassel e il collega si gettarono con il paracadute, ma mentre scendevano dolcemente si accorsero che là sotto li aspettava un destino ancora peggiore… Van Tassel riuscì a raggiungere la riva illeso, ma il povero assistente finì sbranato dagli squali.

  • Nella prima delle mie conferenze milanesi accennavo a un peculiare procedimento giudiziario svoltosi in Francia nel 1659, in cui a finire sotto processo furono le scarse capacità erettili di un nobiluomo, accusato dalla moglie di non assolvere ai suoi doveri coniugali — dato che l’impotenza, all’epoca, era pressoché l’unica motivazione perché una donna potesse chiedere il divorzio. Questo processo, in cui l’imputato si trovò a dover provare la sua virilità tentando la copula di fronte a una attenta giuria di medici e magistrati, non era un caso isolato. Ecco un articolo che parla della storia dei processi per impotenza.
  • C’è chi guarda una foto di quando aveva 16 anni, e ripensando a quel periodo dice: “ero un po’ immaturo, ma in fondo ero sempre io”. E c’è chi invece si chiede: “ma ero davvero io, quello?”, come se non si riconoscesse più.
    Alcuni di noi, insomma, avvertono naturalmente una continuità (un “arco narrativo”, direbbe uno sceneggiatore) nella loro esperienza di vita, mentre altri si sentono soggetti a metamorfosi talmente continue e profonde da rendere il passato affollato di molte versioni di sé, obsolete e ormai estranee. Io appartengo senz’altro alla seconda categoria.
    Ormai esiste una buona mole di ricerche psicologiche che mostrano proprio come la percezione identitaria legata al passato cambi molto da persona a persona, tanto che gli studiosi hanno perfino coniato due termini per indicare le due diverse tipologie di approccio. E voi, siete continuer o divider?
  • «Fu verso la quarta campana del turno di guardia centrale, il “turno del cimitero”, come vengono chiamate le quattro ore dopo la mezzanotte, che accadde. Noi ufficiali eravamo sul ponte: gli uomini a prua, Burton e io sotto il frangiflutti, e il signor Thomas che passeggiava sulla poppa sopra le nostre teste. All’improvviso, apparentemente vicino, a babordo, si udì un urlo spaventoso e lamentoso, spettrale nella sua agonia e intensità. Non si trattava di un volume eccessivo — una ventina di uomini che avessero gridato insieme avrebbero potuto sollevare un urlo altrettanto forte — ma l’indescrivibile calibro e l’agonia dell’urlo ci fecero quasi gelare il sangue nelle vene. […] Anche il vecchio ne fu svegliato e salì sul ponte. Tutti ascoltavano intensamente, tendendo gli occhi nel buio che ci avvolgeva. Passarono uno o due momenti e poi, mentre ascoltavamo, meravigliati e silenziosi, risuonò di nuovo quell’urlo spaventoso, che saliva fino a divenire una tortura quasi insopportabile e si spegneva follemente in mugolii spezzati. Nessuno fece nulla, né parlò. Rimanemmo come pietre, semplicemente a fissare il buio carico di mistero.»
    Sembra un passaggio tratto da un racconto di William Hope Hodgson, e invece è il resoconto veritiero di un urlo notturno sentito in mare dall’equipaggio di un veliero, nei primi anni del Novecento, e tuttora rimasto senza spiegazione.

  • Com’è nata l’idea dei Marziani? Quella qui sopra è una delle mappe di Marte realizzate da Schiaparelli a fine Ottocento. L’astronomo battezzò quelle misteriose formazioni rettilinee “canali” — termine erroneamente tradotto in inglese con canals, che per definizione implica l’idea che essi siano artificiali. Presto molti altri studiosi si convinsero che quelle strane strutture fossero troppo regolari per essere dei semplici fiumi, e di lì all’idea che esseri intelligenti potessero abitare la superficie del pianeta il passo fu breve. Quando le prime sonde fotografarono e mapparono Marte più da vicino, ci si rese conto che i canali erano solo illusioni ottiche; ma senza questo errore chissà se avremmo mai avuto la fantascienza come la conosciamo oggi.
  • A Waterloo, una delle battaglie più cruente della storia, morirono 20.000 soldati, più migliaia di cavalli. Ma allora dove sono finite tutte quelle ossa? Un recente studio storico ha fornito una risposta sorprendente: vennero illegalmente dissotterrate tra il 1834 e il 1860 per raffinare e sbiancare lo zucchero. (Grazie Vito, RIP)
  • Parliamo ancora di ossa. In un solo anno, nel 1657, a causa della peste Genova perse i due terzi della sua popolazione. I morti erano talmente tanti da dover ricorrere a numerose fosse comuni. Una di queste venne ritrovata nel 1835 , durante i lavori di ristrutturazione del Parco dell’Acquasola; si decise allora di traslare i resti nei cunicoli che si sviluppano nel sottosuolo dell’area. Così ancora oggi, proprio a pochi metri sotto i piedi di chi porta a spasso il cane e dei bambini che giocano, si nascondono montagne di ossa accatastate.
    Le gallerie non sono visitabili, ma ecco alcune foto scattate dagli speleologi.
  • La divinità più minimalista.
  • La cartolina funebre più geniale.
  • L’animale più AAARGH.
  • Le basi del vaiolo è un manoscritto compilato (probabilmente in un unico esemplare) alla fine del XVII o all’inizio del XVIII secolo dal medico giapponese Kanda Gensen. I fogli sono stati lavorati in modo da illustrare le piaghe del vaiolo in rilievo.

È tutto, alla prossima!

La mandragora: il frutto del patibolo

Guestpost di Costanza De Cillia

Cresce, all’ombra del patibolo, un frutto mostruoso. Si tratta di un prodigioso afrodisiaco, ma funge anche da indispensabile ingrediente nel ricettario della strega — che, secondo la leggenda, lo mescola con il grasso di bambini nati morti creando così un unguento con cui può recarsi in volo al sabba.
Come raccontano Plinio e Dioscoride, questo
anodino naturale era applicato come analgesico prima delle operazioni chirurgiche, per le discrete proprietà soporifere e sedative attribuitegli dalla medicina colta precedente al XVI secolo, che ne faceva uso in varie forme — dall’estratto del frutto, ai semi, alla radice vera e propria.

Innumerevoli sono i malanni che la mandragora si diceva potesse curare: essa era adoperata sia per uso esterno sia per uso interno, sia per guarire dalla sterilità e dall’impotenza (la sua rinomata valenza quale stimolante erotico è attestata persino da uno degli epiteti della dea greca dell’amore, Afrodite Mandragoritis, e, da parte dei più puritani, dai soprannomi che la vedono come mela o addirittura testicolo del diavolo), sia contro i disturbi mestruali, la febbre quartana, l’eccesso di bile nera (la temuta melancholia, causa di numerosi disturbi, anche di natura mentale), le malattie caratterizzate dall’infiammazione di una o più parti del corpo, dagli occhi all’ano, contro gli ascessi, gli indurimenti, e persino i tumori.
La mandragora veniva impiegata secondo i molti usi suggeriti dalla farmacopea premoderna, ma anche come feticcio: era venduta come amuleto dai
root-diggers, una branca di mercanti specializzati nell’estrazione della pianta — che però, pare spacciassero al suo posto radici di brionia o di altre piante comuni, tatticamente intagliate.

Un vegetale all’intersezione con gli altri regni — quello minerale, per la sua origine ctonia, e quello animale, anzi, addirittura umano… — ricercato eppure temuto, mirabile e letale, la mandragora appartiene alla famiglia della famigerata belladonna, associata come la “sorella” alla stregoneria per le proprietà psicoattive dovute all’alta concentrazione di scopolamina, alcaloide tropanico presente soprattutto nelle radici. Essa è una solanacea, le cui intricate radici dalla forma vagamente antropomorfa hanno intrigato sin dall’antichità la fantasia umana, tanto che è stato attribuito loro un sesso (che ne determina la forma e il colore), dei genitali simili a quelli umani e un carattere piuttosto difficile, che la induce per esempio a nascondersi dalle persone impure e lasciarsi addomesticare solo da chi le mostra una croce o la spruzza di sangue mestruale o urina.

Questa sorta di personificazione ha fatto sì che la pianta venisse talvolta trattata come un piccolo individuo, fatto di carne viva: un homunculus, letteralmente, dotato tra l’altro di un potere esiziale. Attorno alla figura di questa pianta prodigiosa, aleggia per secoli, infatti, una fosca leggenda: si dice che essa gridi, se estratta dalla terra, con urla tali da far perdere il senno o addirittura uccidere sul colpo gli incauti “raccoglitori”. Questa micidiale capacità del pregiato bottino rende allora necessari complessi accorgimenti, con cui chi si accinge a cavare la mandragora dal suolo può preservare la propria salute (e sopravviverle).
I più diffusi escamotage seguono uno schema comune: al centro di tutte le varianti, vi è infatti il sacrificio di un
cane (l’unica eccezione è quella che Frazer attribuisce alla tradizione giudaica, in cui si parla di un asino), il più delle volte dal pelo nero; a questo animale prima dell’alba di venerdì — non a caso, il giorno intitolato alla dea dell’amore — viene legata la pianta, delle cui radici un solo filamento viene lasciato ancora interrato. Il cane, appositamente affamato, poi viene fatto correre via con il richiamo di un boccone prelibato; così facendo strappa dal suolo l’intera pianta che prorompe in strilli micidiali i quali, purtroppo, causano la repentina morte dell’ignaro animale. Gli umani presenti – che fino a quel momento hanno tenuto le proprie orecchie ben coperte o persino tappate con cotone sigillato con pece o cera – possono allora avvicinarsi e raccogliere il vegetale che, così “sfogatosi”, è reso ormai inoffensivo.

Un aspetto affascinante della mandragora è la sua origine, secondo la leggenda, che ne fa un letterale frutto dell’impiccagione — il prodotto dell’incrocio tra l’uomo e la terra (Zarcone).
Certe tradizioni anglosassoni e germaniche chiamano questa pianta
gallows man, mad plant e dragon doll, termini che rievocano la provenienza umana e in un certo senso mostruosa della mandragora. Il seme da cui si forma questo favoloso “fior di capestro” sarebbe infatti proprio quello umano, sparso in terra al momento della morte da parte del criminale sottoposto all’esecuzione infamante per antonomasia.

Già salendo i gradini del patibolo il morituro s’immagina sospeso tra cielo e terra, gettato in un limbo da cui solo il perdono divino potrebbe trarlo in salvo, nonché rigettato dalla comunità lì riunita per ammirare voracemente la sua agonia, in tutti i suoi risvolti fisiologici.
La sospensione di cui il condannato era vittima ne avrebbe obliterato il corpo (Tarlow – Battel Lowman), annullandolo in quanto oggetto sociale, ponendolo in esilio in una zona liminale sia dal punto di vista geografico che metaforico (come avveniva d’altronde anche nell’esposizione del cadavere tramite
gibbet); la corda, strumento dell’esecuzione, che pure teoricamente avrebbe dovuto fratturare o dislocare le vertebre cervicali superiori del condannato, portandolo rapidamente alla morte, finiva il più delle volte per strangolarlo, sconvolgendone così le fattezze e provocandogli inevitabili evacuazioni di feci, urina e, a seconda del sesso della vittima, sangue mestruale o liquido seminale.

Non è da trascurare il fatto che, in virtù della teoria magico-medica del trasferimento dell’energia vitale dal morto a chi gli sopravvive, si ricercava avidamente il contatto con il corpo del reo punito, ancora intriso di vitalità (che gli conferiva una preziosissima medical potency). Sono questi i segreti del cadavere, tramandati in una vera e propria letteratura di consumo in cui, come spiega Camporesi, l’occultismo terapeutico si unisce alla farmacopea negromantica e alla magia naturale, per coronare un sogno faustiano di lunga vita ed eterna giovinezza.

Secondo una logica che ritiene la putrefazione una copula nera in grado di rendere il morto una “sorgente di salute”, il vivo può mantenersi in salute predando sul defunto; può trasmettergli persino i propri mali, ricavandone l’energia che gli spiriti, in subbuglio in quegli ultimi attimi, ancora conferiscono al cadavere. Il morto è quindi paradossale dispensatore di vita (Camporesi).
Ecco perché lo
stroke, ovvero il tocco dell’impiccato, era ritenuto curativo: la mano della salma veniva stretta o messa a contatto con le parti del corpo affette da malattie della pelle, inestetismi, gozzi ed escrescenze (dal porro alla verruca alla cisti sebacea), come spiegano magistralmente Davies e Matteoni. Figurarsi dunque quanta potenza può risiedere nell’eredità seminale lasciata dall’impiccato: la mandragora, disumana progenie della forca!

La pianta che accende l’eros e porta la morte, nasce dall’intersezione tra questi due stessi principi, ovvero dal climax raggiunto nella cosiddetta “lussuria angelica”.
Con questo eufemismo si designa il priapismo post mortem osservato sin dall’antichità nel cadavere del giustiziato, specialmente qualora morto per strangolamento. È questo un fenomeno che ha ispirato, oltre a vari saggi di sessuologia e psicologia della devianza, anche grandi romanzieri quali Sade, Musset, Joyce e Burroughs. Parliamo quindi di una “erezione mortale” cui seguiva anche sul patibolo, talvolta, l’eiaculazione, e proprio a questo fenomeno gli antichi erbari riconducevano l’origine della mandragora, sorta dal seme emesso dai condannati nell’attimo del decesso.

La possibilità di esibire un’erezione letteralmente terminale e culminante tra l’altro in un’eiaculazione, era una componente decisiva nella nomea che qualificava questa modalità d’esecuzione quale “morte infamante”. L’impiccagione appare infatti come la più vergognosa delle dipartite nel corso della storia occidentale (e non solo, stando al veterotestamentario Deuteronomio, dove si associa in quest’aura ignominiosa alla crocifissione, altro esempio di morte per sospensione). Sia che fosse considerata degradante perché comminata ai criminali di più umile estrazione e/o spregevole delitto, o al contrario comminata a costoro proprio perché sentita come disonorevole, l’impiccagione era in ogni caso la tipologia di esecuzione più diffusa; secondo la tradizione, era anche la morte degli ultimi e dei peggiori, come ci ricordano le apocrife ultime vicende di Giuda, vittima di un’agonia grottesca e studiatamente umiliante. Tale aura d’infamia è probabilmente il motivo per cui, come nota Owens in Stages of Dismemberment, l’impiccagione è pressoché assente nell’agiografia, e potrebbe essere sorta proprio dai fenomeni fisiologici “imbarazzanti” che accompagnano questa forma di morte particolarmente spettacolare.

Tra questi eventi corporei, l’orgasmo celeste di cui abbiamo già parlato — che nel cadavere femminile ha il suo contrappunto nella possibilità di una perdita di sangue dalla vagina, accompagnata da un’irrorazione di labbra e clitoride, in una mestruazione spontanea causata dall’azione della gravità sull’utero con conseguente prolasso degli organi sessuali — è semplicemente il più “scandaloso” perché riguarda i genitali. Come racconta vividamente Hurren in Dissecting the Criminal Corpse, molti condannati urinavano e/o defecavano, al momento fatale; altri, vittime della suggestione, si macchiavano le vesti di sperma eiaculato; vi erano scambi gassosi provocati dalla digestione del defunto, e il sangue in decomposizione fuoriusciva dalla bocca e dalle narici, in una purgazione resa ancora più sconcertante dal rigor mortis, durante il quale i gas, non potendo uscire interamente dall’ano o dal naso, passavano dalla trachea, dando l’impressione che il cadavere gemesse e gracchiasse come se fosse stato ancora vivo e dolente.

Nonostante la vita, come comunemente intesa, non risiedesse più nelle membra dell’impiccato, restava qualcosa che sembrava sfidare la giustizia che era stata fatta. Dall’erezione invicibile, ossia dalle ultime “lacrime” — come veniva poeticamente chiamata questa eiaculazione in articulo mortis — sparse dal criminale in terra, si sarebbe poi formata, sotto il suo cadavere lasciato appeso, la mandragora.

Questa pianta terapeutica e pericolosa — un vero e proprio pharmakon, rimedio e veleno, nella duplice accezione greca — costituisce insomma, al pari della corda usata per giustiziare il criminale o del tocco risanante della mano dell’impiccato, un altro esempio delle modalità postume mediante le quali il condannato, una volta morto, passa da nefasto a salvifico per la comunità che l’ha espulso. Infatti una volta pentitosi, è come se il criminale venisse reinserito nella comunità tramite la sua stessa esecuzione, passando dallo stato di individuo contaminato e contaminante a quello di elemento “salutare”.

La salma del criminale giustiziato, attraverso le virtù medicamentose dei suoi resti mortali o attraverso la generazione della mandragora, acquista dunque una vita sociale “postuma” tramite la distribuzione delle sue energie, e diviene la sede in cui, in modo tangibile, si verifica la salvezza che risiede nel pentimento.

Costanza De Cillia è Dottoressa in Filosofia e Scienze delle Religioni. I suoi principali campi di ricerca sono l’estetica della violenza e l’ antropologia dell’esecuzione capitale. 

VHS FilmFest, bizzarria cinefila vintage

Ma di cosa parliamo quando parliamo di Lo-fi? È vero che il nastro dei VHS è fatto di un materiale alieno? Perché l’orrore ci piace tanto? Dal declino delle piattaforme resusciterà la sala cinematografica? Harmony Korine è un regista pazzo? Il buio è un luogo amico?

Domenica 5 marzo interverrò a un evento davvero inusuale: la prima edizione del VHS FilmFest, organizzato da Durian Presenta (anomalo progetto dietro cui si nasconde il regista Fulvio Risuleo, di cui ho già parlato un paio di volte qui sul blog).

In un piccolo teatrino non lontano dal parco della Caffarella saranno proiettati alcuni film… in videocassetta originale, su un televisore a tubo catodico!
Dal comunicato stampa:

Dai primi anni ’80 con l’arrivo del VHS comincia l’era dell’home video. Il momento in cui gli spettatori hanno potuto portarsi a casa i loro film preferiti per vederli e rivederli. Per qualcuno è l’inizio della “fine della sala cinematografica”, per altri è la rivoluzione già immaginata da Philip K. Dick e altri autori di fantascienza, per poter finalmente fruire dei film in maniera privata. Il VHS FILMFEST è il modo per portare quell’esperienza in una sala di Roma, quando ormai il supporto a nastro è più che superato. Un rituale solitario che diventa collettivo, simulazione di un passato utile per riflettere sul futuro. Con un totem, al centro: la televisione a tubo catodico 29 pollici. Davanti a esso la scelta: un tappeto su cui sedersi, oppure una platea da trenta posti (più comoda, ma ovviamente più lontana dal totem).

I film sono stati selezionati per creare un percorso che racconti il nastro magnetico sotto diversi punti di vista; per i più feticisti, sarà possibile visionare Trash Humpers (2009), film cult di Harmony Korine, nella versione VHS da lui stesso disegnata e personalizzata.
Qui sotto il programma dettagliato. Come potete vedere, io presenterò l’ultima videocassetta della giornata, ovvero il seminale horror Ringu (1998) di Hideo Nakata.

Non sarà assolutamente un evento improntato su vacue nostalgie e snobismo rétro, ma piuttosto un’occasione per riflettere e confrontarci su come l’evoluzione dei supporti modifichi la nostra fruizione cinematografica — e soprattutto un modo per alimentare la fantasia: sia che siate degli attempati cinefili che ricordano i tempi delle videocassette, sia che non abbiate mai visto un film su VHS, quando vi ricapiterà di fare un’esperienza simile?

Tre appuntamenti milanesi

Sono molto felice di comunicarvi che prossimamente sarò a Milano con tre appuntamenti mensili, organizzati dall’associazione Uno Più Uno Più Uno (Facebook, Instagram) nella storica cornice dei Frigoriferi Milanesi.

Si tratta di un ciclo di tre conferenze dedicate ai diversi modi in cui lo studio dell’anatomia umana si è spinto “oltre” il suo stesso limite, travalicando i confini specifici di disciplina medico-scientifica per assumere un respiro culturale più ampio.

Ogni mio talk sarà arricchito da un intervento a cura di una figura accademica esperta del settore, che offrirà una diversa prospettiva sui temi affrontati nella serata.

Tutti gli appuntamenti sono a ingresso gratuito, ma è consigliabile prenotare tramite Eventbrite (qui sotto trovate i link).
Vi aspetto!

Venerdì 24 Febbraio 2023, ore 19
INGRESSO GRATUITO

Ivan Cenzi
La donna anatomica:
seduzione e dissezione del corpo femminile

Greta Plaitano
Il “vero” ideale: morfologie maschili e femminili
nell’arte tra Ottocento e Novecento

In questo primo appuntamento scopriremo come l’anatomia non fosse storicamente priva di accenti ideologici: in particolare la dissezione del corpo femminile divenne, dal Medioevo in poi, un motivo iconografico e teorico utilizzato per sabotare il potere seduttivo della donna.

A seguire, un intervento di Greta Plaitano, esperta di iconografie del corpo, sull’influenza che i dispositivi fotografici e pre-cinematografici ottocenteschi ebbero sulla visione della figura femminile e di quella maschile nel mondo dell’arte.

Maggiori info & prenotazioni → Link Eventbrite

Venerdì 24 Marzo 2023, ore 19
INGRESSO GRATUITO

Ivan Cenzi
Statue di carne: i pietrificatori di cadaveri

Francesca Monza
L’esposizione dei resti umani tra etica e museologia

Una delle tecniche di conservazione anatomica più sconcertanti è la cosiddetta “pietrificazione”, sviluppata nell’Ottocento da diversi ricercatori, e in grado di far assumere ai tessuti una consistenza lapidea. Fissati virtualmente in eterno, questi reperti sono tra i preparati più straordinari di sempre; così come eccentriche furono le vite dei pietrificatori, figure apparentemente anomale ma in realtà ben calate nella temperie storica e culturale della loro epoca.

A seguire, l’esperta di etica museale Francesca Monza ci introdurrà al dibattito contemporaneo sull’esposizione dei resti umani all’interno delle collezioni anatomiche.

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Venerdì 21 Aprile 2023, ore 19
INGRESSO GRATUITO

Ivan Cenzi
Surreali anatomie: il sogno del corpo umano

Claudia Manini
Colori, forme e suoni dell’anatomia

In quest’ultimo incontro, seguiremo un sorprendente percorso storico-iconografico sui rapporti tra surrealismo e anatomia, a partire dalla medicina degli albori per approdare ai più interessanti artisti contemporanei.

Infine, l’anatomopatologa Claudia Manini ci farà scoprire come, nelle sale autoptiche e nei laboratori, anche il corpo patologico possa talvolta avere una sua sorprendente, inaspettata bellezza.

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Cercasi eremita!

La strana moda degli eremiti da giardino.

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Buon 2023!

Un altro anno è alle spalle, uno nuovo inizia.
Questo può sembrare un evento che ha a che fare con il passare del tempo, ma è relativo allo spazio: l’anno esiste perché ci muoviamo, trasportati dal nostro pianeta-arca lungo la sua traiettoria siderale attorno a un astro infuocato.
Il capodanno insomma ci ricorda che, anche quando ci pare di stare fermi, in realtà siamo sempre in viaggio.

E io da qualche mese ho ricominciato a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia, al lavoro su alcuni libri di cui svelerò i dettagli nei prossimi tempi. Spero che il frutto delle mie peregrinazioni possa essere abbastanza invitante da farvi venire voglia di abbandonarvi proprio all’ebbrezza surreale del viaggio!

Per ora vi faccio i miei più sentiti auguri per un 2023 ricco di stranezze e bizzarrie… Keep The World Weird!